"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

mercoledì 19 ottobre 2011

Sala Baganza : altra puntata del "fotovoltaico insieme" della Provincia

E' entrato in funzione il 28 Agosto scorso ma inaugurato ieri, 15 ottobre, il parco fotovoltaico di Castellaro di Sala Baganza. L'impianto ha una potenza di 243 Kwe ed è in grado di produrre 240.000 Kw annui. La spesa è stata di 693.000 euro, a totale carico della ditta Sthrold di Reggio Emilia che incamererà anche il totale degli incentivi statali per i prossimi vent'anni. Alla tariffa di 0,263 euro per Kw prodotto ( tariffa agosto 2011) la ditta costruttrice introiterà nei vent'anni 1.302.000 euro, quasi il doppio dell'investimento effettuato. 
Al comune andranno 21.000 euro annui, in pratica i soldi che Enel pagherà alla ditta per la vendita dell'energia prodotta alla tariffa di 0,09 euro a Kw e che la ditta girerà al comune. 

La Provincia si vanta di aver portato nel nostro territorio oltre 120 milioni di euro di investimenti per costruire parchi fotovoltaici in project-financing in quasi ogni comune. Non si capisce, tuttavia, di cosa si vanti. L'energia elettrica è tutta acquistata da Enel a 0,09 euro, la metà di quanto la fa poi pagare ai cittadini. I soldi degli incentivi, versati dalle nostre bollette, finiscono tutti in tasca a finanziarie e ditte private. Ai comuni non va nè elettricità a basso costo, nè la massa dei soldi delle nostre bollette per investirli od usarli a nostro vantaggio. A loro in pratica resta solo un affitto per gli ettari occupati dai parchi fotovoltaici. Una compensazione, non altro. Hanno forse sbagliato quei piccoli comuni come Monchio, Neviano e Montechiarugolo che hanno fatto debiti per intestarseli diventandone proprietari ? Non ci pare proprio. Con gli incentivi realizzati e la vendita dell'elettricità hanno i fondi per le rate del debito e gli resta un gruzzolo consistente da investire in altre iniziative come l'avvio della ristrutturazione dei borghi per il risparmio energetico o per l'impianto di biodigestori per lo smaltimento delle deiezioni animali degli allevamenti industriali. Un'amministrazione provinciale avrebbe dovuto garantire anche che il fotovoltaico finisse sui tetti, come tutti a parole si auguravano, e invece occupa ettari su ettari di superficie agricola che dopo vent'anni di uso dei pannelli perderà del tutto la sua fertilità. Gli impianti sui tetti delle case avrebbero coinvolto anche i cittadini in cambio di un minor costo dei loro consumi di elettricità. 

Insomma, il fotovoltaico come energia rinnovabile è probabilmente la maggior occasione di rinnovamento dell'assetto energetico del territorio e la maggior occasione di democrazia energetica ed economica. Non sfruttare i soldi delle nostre bollette per questo ci pare un grave errore. 

Serioli Giuliano

martedì 18 ottobre 2011

TRECASALI : LA CENTRALE E IL SINDACO

Nella delibera n° 51 del 26 luglio 2011 sulle Rinnovabili la Regione, nel prescrivere le normative, esclude espressamente da queste gli accordi intercorsi con la Sadam Eridania del 15 novembre 2010, che qui vi allego. 

" di prevedere che non siano soggetti alle disposizioni del presente atto, ai soli fini localizzativi e fermo restando l.’obbligo del rispetto delle prescrizioni tecniche previste ai sensi del presente atto, i procedimenti per l.’istallazione degli impianti: Progr. n. 51 12 1. per i quali, alla data di pubblicazione sul BURERT del presente atto, sia stata presentata domanda di accesso a finanziamento pubblico; 2. che siano previsti nei progetti di sviluppo o riconversione del settore bieticolo-saccarifero, in attuazione della normativa comunitaria e nazionale in materia, ivi compresi gli impianti derivanti dagli accordi interprofessionali sottoscritti in data 15 novembre 2010 fra le Associazioni bieticole con Eridania-Sadam COPROB/Italia Zuccheri, e Unionzucchero" 

In altre parole, la Regione, nell'ambito della riconversione del settore bieticolo-saccarifero, dichiara di di aver deciso di non porre limiti agli impianti a biomassa derivanti dagli accordi intercorsi tra associazioni bieticole e Sadam Eridania. Da qui il suo VIA dell'agosto scorso per gli impianti di Russi e Trecasali. 
Che il consiglio comunale si sia espresso contrario all'impianto, peraltro con grave ritardo e a cose ormai fatte, non può intaccare minimamente il piano regionale. Il sindaco dovrebbe opporsi alla realizzazione dell'impianto in qualità di massima autorità sanitaria del territorio comunale e chiamare alla mobilitazione l'intera cittadinanza. 

Solo una tale levata di scudi potrebbe far rimangiare la decisione presa dalla Regione. Non altro. 

ReteAmbienteParma 
Serioli Giuliano

PIANO DELLA REGIONE, TRECASALI, APPENNINO

"Nonostante la situazione sia in costante miglioramento, l'inquinamento atmosferico rimane per l'Emilia Romagna una criticità da affrontare, che le problematiche principali riguardano inquinanti secondari (articolato atmosferico, ossidi di azoto, ozono) e che la qualità dell'aria è fortemente influenzata dalle emissioni derivanti dalla combustione di biomasse, se si considera che una quota rilevante delle emissioni di PM 10 proviene da combustione da biomasse non industriali (riscaldamento), che per il PM10 e il diossido di azoto NO2 i dati rilevati dal monitoraggio della qualità dell'aria hanno evidenziato in varie zone del territorio il superamento di valori limite stabiliti dalla direttiva 2008/50/ CE attuata con D. Lgs. 155/2010....delega la giunta regionale in relazione alla criticità delle diverse aree a formulare i criteri per l'individuazione del computo emissivo per gli impianti con potenza maggiore di 250 Kwt."( Delibera della Regione sulle rinnovabili ) Su tali considerazioni si fonda la pretesa virtuosità della regione. Ammettere solo centrali a biomassa sotto il Mw per uso termico, per il teleriscaldamento dei borghi. Con due significative eccezioni, la centrale a legna della Sadam Eridania di Russi da 30 MWe e quella della Sadam Eridania di Trecasali da 15 MWe. Di fronte ai potentati economici e ai ricatti sindacali non c'è principio che tenga, nè criticità della situazione ambientale. La Regione fa finta di niente, al limite contratterà compensazioni. Ma anche le piccole centrali termiche abbattono ben poco delle emissioni nocive. I loro filtri meccanici a ciclone o multiciclone servono solo a trattenere la fuliggine e a raccogliere le ceneri. Tutto il resto, dalle polveri sottili agli NO2, agli ossidi di metalli pesanti va nelI'aria dove, trovando il cloro volatile della depurazione IREN degli acquedotti, diventa anche diossina. Quindi, mentre nel nostro Appennino si diffondono sempre più stufe a pellet con abbattimento automatico dei fumi ed emissioni sotto i 5 mg x m3, Regione e Provincia vogliono diffondere l'installazione di centrali termiche a cippato che, nella migliore delle ipotesi, hanno emissioni 10 volte superiori rispetto alle stufe a pellet, cioè 50 mg x m3, e questo solo se il cippato non ha un'umidità che supera il 20%, caso estremamente raro. Il cippato fresco ha umidità del 45-50% che provoca valori di emissione doppi o tripli rispetto ai 50 mg prima citati. Le stufe a legna sono inquinanti perchè vecchie, sporcano e sono poco pratiche per le famiglie. La gente in montagna ha trovato per suo conto un'alternativa valida nelle stufe a pellet, ma le amministrazioni vogliono buttare soldi nelle centrali a cippato costose ed inquinanti col loro mantra della filiera corta che dovrebbe essere il toccasana di ogni sostenibilità. In provincia di Parma ce ne sono 5 : la centrale della fattoria sperimentale Stuard della Provincia (100 KWt), le due centrali del comune di Palanzano da 35 KWt ciascuna, per palestra, scuola e casa per anziani, la centrale di Neviano Arduini di cui deve essere ancora assegnato il bando, quella dell'ospedale di Borgotaro da 700 KWt e quella di Monchio da 1 MWt, ma utilizzata al 15% perchè collegata soltanto a palestra, scuola, casa della forestale, casa anziani, utenze per le quali sarebbero bastati i 70 KWt di Palanzano. Se il solare è costoso e l’eolico poco conveniente se non sui crinali, ci si butta sulle biomasse che, in una montagna praticamente abbandonata, significa solo tagli boschivi e legna da ardere. Vorrebbero riempire di centrali a legna quei poveri borghi disabitati. Si inizia col teleriscaldamento per poi finire fatalmente a produrre energia elettrica dalla legna. Nello sfruttamento industriale dei pioppeti i tagli annuali dovevano limitarsi al 4% della superficie boschiva, pena il suo rapido deperimento. Erano i pioppeti del Po, quelli dallo sviluppo decennale. Ora, però, per rifornire le centrali a biomassa che vogliono impiantare nella bassa padana al posto degli zuccherifici chiusi, si parla di pioppeti triennali. A Russi, in Romagna, al posto dell’Eridania sorgerà una centrale a biomassa da 30 MW per la produzione di energia elettrica. Il suo rendimento è solo del 15% e per produrre 250 milioni di KWh annui dovrebbe bruciare circa 300.000 tonnellate di legna, mentre una centrale a gas metano, dal rendimento del 90%, avrebbe consumato molto meno : 1/6 della quantità di metano equivalente alla legna. Stimando la resa del pioppeto in 80 t. per ettaro, occorrerebbero 5000 ettari ogni anno, quindi 15.000 ettari nei tre anni della rotazione della crescita, vale a dire 150 Km2 di pianura padana da sottrarre ai coltivi alimentari di pregio. In pratica, un rettangolo di 30Km x 5Km. Un’enormità! Ma è un’enormità anche quella da 15 MW di Trecasali che avrebbe bisogno di 75 Km2 di pioppeti triennali, vale a dire 15 Km X 5Km di terra della bassa da sottrarre a coltivi ( per capirci : la superficie del comune di Monchio è di 69 Km2). Ma se a quei pioppeti occorrerebbero 3 anni di crescita, ai faggi e alle querce della montagna ne occorrono 30 di anni, per ricrescere. La realtà delle centrali a biomassa già esistenti nel nostro paese è un’altra. Bruciano tutto quello che trovavano e fanno arrivare la legna da dove ce n’è, anche dall’estero via nave, ma in futuro con la pensata della filiera corta si tratterà del nostro Appennino. La crescita a dismisura dei tagli in montagna non trova nessuno che si preoccupi della loro sostenibilità. I sindaci non vogliono inimicarsi nessuno ed altrettanto la comunità montana. Ma c’è la possibilità che la cosa l’abbiano anche studiata. Nessuno dice niente perché così la gente si abitua ad una nuova fonte di denaro, cui non potrebbe certo rinunciare volentieri in futuro. Stanno preparando il terreno per tagli ancor più consistenti per quando le centrali termiche da impiantare in montagna ne avranno bisogno. Legami omertosi con la gente di montagna, rendendola dipendente dalla speculazione del mercato della legna e disponibile al ricatto economico. Una volta che quei soldi si è cominciati a prenderli, ogni anno se ne vorrà di più. Il progetto della regione parla di centrali termiche per il teleriscaldamento dei paesi. Qualche sindaco ha fatto da battistrada e l'ha già impiantata, ma non funziona che al 15% della potenza, perché ci sarebbe da sventrare i borghi per posare i tubi del teleriscaldamento e la cosa costa. Ma costava già di suo l’impianto stesso, la centrale, per cui ci sono rate di debito da pagare. Insomma, quelle centrali termiche sono antieconomiche. I borghi d’inverno si svuotano e con poche utenze allacciate, è fatale che la centrale funzioni per una minima frazione della sua potenza. Eccezion fatta per quella di Borgotaro che serve l’ospedale( e la diossina ?). Erano stati così improvvidi quei sindaci che hanno già cominciato? Lo è la regione e la provincia che addirittura parlano di estenderle a tutta la montagna? No. Sono strategici. Il loro progetto è di mettere la gente davanti al fatto compiuto della centrale costruita, per poi convincerla che sarebbe follia non utilizzarla anche per produrre energia elettrica. La regione Piemonte, col progetto Bresso, aveva dichiarato apertamente di voler ricavare circa l’8% del suo fabbisogno elettrico dalle centrali a legna. La regione Emilia segue apparentemente una via più graduale, ma porterebbe alla stessa conclusione, il diradamento massiccio del patrimonio boschivo col taglio industriale. Le grandi amministrazioni hanno stabilito di sfruttare le risorse della montagna sempre più disabitata ed economicamente ricattabile. Non intendono fermare la speculazione della legna in atto perché pregiudicherebbe la loro rielezione, ma soprattutto perché gioca a loro favore, abituando già da ora a come sarà la montagna col taglio industriale dei boschi che vogliono instaurare. La Regione ha già stanziato 2,5 milioni di euro per l'acquisto di macchinari ( harwester e cippatrice) necessari ai progetti di filiera 10 e di filiera 41 di taglio industriale dei boschi nella provincia di Parma. Sarà una bella gara tra il mercato della legna da ardere ed il taglio industriale del bosco per produrre cippato. Forse non vincerà nessuno, più probabilmente vinceranno entrambi, distruggendo il patrimonio boschivo. Quei politici si riempiono la bocca di ambientalismo ma nei loro intenti di rinnovabile ci sono solo le chiacchiere. Consumeranno il patrimonio boschivo e quindi anche tutto il resto, acqua, aria pura ed ogni ipotesi di un artigianato alimentare di qualità. Nelle centrali a biomassa il bilancio delle emissioni di CO2 è a somma zero, dicono i teorici dell’effetto serra. Si tratta solo di una verità contabile. Tutta apparenza. I boschi da tagliare, crescendo, incorporano CO2. Bruciandoli, dicono, si rimette in atmosfera solo quella che avevano tolto dalla circolazione. La verità è che le piante tagliate non vengono sostituite da altre. Al loro posto vengono lasciate solo poche matricine che per anni non assorbiranno certo la stessa quantità di CO2 delle precedenti. Ma c’è di peggio. Con “la pulizia del bosco”, come loro chiamano la cippatura del secco e delle ramaglie tagliate di fresco, non si creerebbe più l’effetto riducente e la conseguente formazione di nuovo humus. Il bosco lasciato a se stesso, al suo ciclo naturale di degrado, lo produrrebbe a beneficio del suolo, ma la sua colonizzazione industriale no. Tutto quel disastro per niente. Quelle centinaia di migliaia di tonnellate di legna produrrebbero ben poca elettricità. Un bilancio ben poco conveniente, se non ci fossero incentivi statali per le rinnovabili. Ecco qual’à il succo della cosa : le amministrazioni riuscirebbero a finire in attivo solo rastrellando i soldi delle nostre bollette. Cosa importa se quella elettricità a tutti noi costerebbe di più che ad importarla dall’estero! Cosa importa a quelli se si mette a grave rischio il patrimonio boschivo e perciò anche quello dell’acqua e della fauna? Il paesaggio di montagna ne ricaverebbe un danno enorme, impedendo qualsiasi progetto di artigianato alimentare di qualità e qualsiasi seria iniziativa turistica. Se si permettesse che ogni sindaco di montagna si faccia bello coi propri elettori a spese dei boschi nascerebbero tante centrali a biomassa quanti sono i borghi. Centrali che produrrebbero poca elettricità e a carissimo prezzo e teleriscaldamento per gli edifici pubblici e poco altro. I danni sarebbero enormi anche per l’acqua e per l’aria. L’emissione di polveri nocive e di fumi inquinanti sfuggirebbe ad ogni possibilità di controllo che solo le grandi centrali come quelle dell'Alto Adige possono permettersi. Infatti i filtri meccanici delle centrali a legna sotto il MW sono dieci volte più inquinanti delle stufe a pellet. L’aria di montagna non sarà più così pura, anzi, data la presenza di cloro nell’acqua per la depurazione industriale degli acquedotti, le polveri emesse dalle centrali troverebbero l’ingrediente adatto perché si formi anche diossina. Le centrali avrebbero bisogno di molta acqua di raffreddamento che poi tornerebbe ai torrenti ad elevata temperatura, alterandone il ciclo termico, inquinandoli e facendo fuori la fauna ittica. Pur richiesti dalla primavera, i dati degli ettari di bosco chiesti al taglio nel 2010 nella nostra provincia non sono ancora disponibili. Pur avendoli non li danno. Ma l'accenno fatto da Bovis, sindaco di Langhirano, alle migliaia di euro di multa che sarebbe giusto comminare per l'esagerazione dei tagli la dice lunga sul disastro, che chiunque giri per le valli può vedere direttamente. A provocarlo non sono i singoli boscaioli, i tagli artigianali, quanto quelle nuove figure di impresari della montagna che acquistano le richieste di taglio all'ingrosso, mettono le motoseghe in mano ad albanesi (Pianadetto), macedoni (Ramiseto) o romeni (Borgotaro), li pagano in nero e al m3, al punto che si dice che lavorino anche di notte, alla luce artificiale, per aumentare la cubatura e prendere più soldi. Questi montanari coi soldi si sono inventati impresari da un giorno all'altro con la speculazione che corre. Qualcuno di loro è arrivato a tagliare fino a 20.000 t. di legna nel solo 2010, mentre un boscaiolo di Monchio, nello stesso anno, ha tagliato 800 tonnellate lavorando al massimo. La speculazione per viaggiare ha bisogno di autorità compiacenti e di speculatori. Non la fa chi lavora solo con le sue braccia. 

Parma 
4/10/ 2011 

Serioli Giuliano