"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

mercoledì 25 luglio 2012

Tagli boschivi: ceduazione o diradamento?


Sono i boscaioli stessi a mettere in discussione i progetti silvoculturali di Regione,Comunità montana e Provincia.
Per rifornire le centrali a legna, tali enti si propongono di convertire con tagli graduali il ceduo all'alto fusto. 
Per avviare all’alto fusto una zona di bosco è necessario il diradamento. 
Per un diradamento fino al 40% non è necessaria alcuna autorizzazione, basta darne comunicazione.
I tagliaboschi non sono d’accordo. Forse per i cerri, ma per i faggi dicono che non ha senso. 
Il loro apparato radicale è troppo superficiale, una bufera di vento rischia di stenderli se troppo alti e diradati, perché meno protetti dalla massa compatta del bosco.
Ma soprattutto hanno da ridire sulle conseguenze per il sottobosco che diventava nudo, totalmente privo di vegetazione perché il sole fatica a penetrarvi. 
In tal modo, nei ripidi pendii quando piove, il suolo è soggetto ad un dilavamento in grado di asportare humus e terreno fino ad indebolire l'apparato radicale delle piante che, poi,un forte vento scalzerebbe.
Insomma, secondo il loro giudizio c’è da abbandonare la politica delle fustaie nel faggio per tornare al bosco ceduo, com’era sempre stato nell’antichità.  In sovrappiù, ci sarebbe da vigilare che le regole di taglio vengano rispettate, che le matricine rilasciate siano in numero consono e non così sottili da spezzarsi sotto il peso della neve alla prima abbondante nevicata o peggio se arriva i vetro ghiaccio.

Da una ricerca pedologico-forestale fatta sulle dolomiti si ricavano al riguardo indicazioni e spunti di riflessione interessanti che confermano le loro preoccupazioni.

Nelle faggete, la cessazione della ceduazione con il conseguente passaggio a formazioni che si stanno evolvendo verso l’altofusto, sta facendo emergere problemi di instabilità meccanica che devono far riflettere sui criteri della futura gestione dei popolamenti forestali.
I processi pedogenetici nei terreni dei versanti scoscesi risultano essere fortemente condizionati negativamente dall’intenso e prolungato sfruttamento derivato dalle utilizzazioni forestali (trattamento a ceduo semplice con tagli ravvicinati nel tempo) che ha comportato, come inevitabile conseguenza, un notevole impoverimento del suolo.
Tale impoverimento è stato accentuato anche dai processi erosivi i quali, facilitati molto spesso dalle pendenze elevate, hanno interessato il terreno messo a nudo dai frequenti e ripetuti tagli.

All'interno di formazioni di faggio che un tempo erano interamente governate a ceduo, da osservazioni dirette emerge che all’interno di complessi boscati, in uno stadio di pieno sviluppo e pertanto ancora ben lontani dal raggiungere quello di maturità, con una certa frequenza singole piante cadono a terra sotto la spinta del vento o sotto il peso della neve. 
Le altre piante del popolamento (tranne quelle eventualmente coinvolte direttamente nella caduta), anche se distanti solo pochi metri dalla pianta schiantata e  con caratteristiche biometriche del tutto simili a questa, non subiscono alcun danno.
Tale situazione la si riscontra diffusamente in quasi tutti i popolamenti puri di faggio invecchiati, sottoposti o meno a tagli di avviamento all’altofusto.
Quelle che cadono a terra risultano essere sempre quelle di maggior diametro presenti all’interno della faggeta.
Il suolo poco profondo, ricco di scheletro ( parti rocciose) e spesso in forte pendenza, può infatti fornire un ancoraggio solo fino a quando la pianta non ha raggiunto quel punto critico che ne determina l’instabilità meccanica.
Le piante cadono al suolo prevalentemente nei mesi estivi, in concomitanza di giornate ventose soprattutto dopo eventi piovosi di una certa entità che hanno il duplice effetto di appesantire la chioma e di rendere meno solido e stabile il terreno.
Nei mesi autunnali gli schianti si manifestano invece con minore intensità e sono causati dalle prime nevicate della stagione che possono trovare i faggi con la chioma ancora densa in quanto non hanno iniziato a perdere le foglie.
L’entità dell’incidenza del fenomeno si presenta abbastanza variegata. Si possono osservare aree dove gli schianti interessano alcune decine di piante ad ettaro, altre dove sono solo qualche unità le piante cadute al suolo.
Come termine di paragone di quanto in precedenza illustrato è doveroso evidenziare che in epoca passata, quando era praticato il governo a ceduo dei boschi di faggi non sussistevano problemi di instabilità meccanica.
Le ceppaie della faggeta governata a ceduo, infatti, danno origine ad un soprassuolo con una altezza minore rispetto all’altofusto e soprattutto con una massa legnosa per ceppaia molto inferiore a quella di una singola pianta alta diverse decine di metri e con diametri a volte superiori ai 50 centimetri.
L’apparato radicale può pertanto ben garantire nel caso del bosco ceduo, a differenza di quanto si verifica nell’altofusto, un solido ancoraggio al terreno.
Si riaffaccia l’ipotesi di un ritorno al governo a ceduo delle formazioni forestali, o di ampie porzioni di esse, che sono maggiormente soggette ai fenomeni di instabilità meccanica. 
Questa soluzione, però, va a scontrarsi da un lato con le disposizioni normative che non consentono la conversione da fustaia a bosco ceduo (a maggior ragione all’interno di un’area protetta qual è un parco nazionale) e dall’altro con la difficoltà pratica di mantenere il governo a ceduo in popolamenti forestali che, in considerazione dell’ubicazione e delle collegate difficoltà di esbosco, risultano essere a macchiatico decisamente negativo.
Uno degli interventi è quello di aumentare  la profondità del terreno.
Per ottenere l’aumento della profondità del terreno è necessario agire prevalentemente mediante l’accumulo di sostanza organica. Al riguardo, anche in considerazione delle recenti esperienze sull’importante ruolo della necromassa legnosa all’interno degli ecosistemi forestali non va ritenuto sufficiente il solo apporto della biomasssa fogliare; se si vuole infatti favorire un più rapido processo di miglioramento del suolo è necessario il contributo di materiale legnoso morto anche di notevoli dimensioni.
In considerazione del fatto che il problema degli schianti sta attualmente interessando formazioni forestali di “giovane” costituzione, non è da escludersi che in futuro l’instabilità meccanica vada ad interessare non più solamente soggetti isolati, bensì gruppi di piante o zone più o meno ampie dei complessi boscati.
Secondo  i progetti delle amministrazioni il taglio, per essere economico, dovrebbe svilupparsi sempre più in modo industriale, con carraie all’interno dei boschi per il transito di mezzi meccanici. Avrebbe vinto come sempre il criterio di economicità a tutto svantaggio del mantenimento delle risorse.
Un diradamento generalizzato dimagrirebbe i boschi ben oltre la rinnovabilità. 
Il taglio industriale non potrebbe mai risultare sostenibile. E' lo stesso principio di economia di scala ad essere in antitesi all’idea di sostenibilità.

I boschi costituiscono un patrimonio che solo negli ultimi 40 anni si è risollevato da una ceduazione cronica, da tagli massicci e troppo ravvicinati nel tempo.
Un patrimonio da conservare, invece, da accrescere come filtro rispetto ai veleni della pianura padana.  Come area di assorbimento di CO2 e di conservazione dell’umidità del suolo a fronte di un cambiamento climatico incombente.
Invece di incentivare il disboscamento per il recupero di aree a prato senza più ragion d’essere per l'assenza di bestiame al pascolo, la Regione dovrebbe dare incentivi in denaro perché i privati non taglino i loro boschi per vendere legna. Della serie, ti pago lo stesso ammontare che ti sarebbe derivato dalla legna da ardere ricavata e tu non tagli per 30 anni. La UE ha immaginato addirittura la possibilità che possano essere le stesse aziende a tirar fuori i soldi perché i boschi di una certa area restino integri per anni ancora.  L'idea sarebbe questa :  ti compro la legna da ardere di quel bosco e te la pago, ma non la taglio, anzi lascerò che cresca di volume a tuo futuro interesse, perchè come azienda devo pareggiare la CO2 che emetto.
Per la conservazione dei boschi, non sono certo i boscaioli a costituire un problema. Ognuno di loro non può tagliare più di tanto con le proprie mani. Inoltre, sono necessari per l'autoconsumo reale dei borghi per l’inverno. 
Occorre opporsi che sorgano aziende dotate di mezzi per il taglio industriale che, oltre a massimizzare il tagliato, disseminerebbero la montagna di nuovi tratturi e strade forestali, spezzettando l’integrità della foresta e movimentando e distruggendo il suolo.


Serioli Giuliano