"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

domenica 17 giugno 2012

PALANZANO : LA MINACCIA ALLA FOOD VALLEY SALE IN MONTAGNA

Un non meglio definito "Consorzio val Cedra val d'Enza", composto da 8
allevatori che vanno da Albazzano a Miscoso, da Neviano Arduini a
Palanzano, da Ranzano a Ramiseto, richiede dal 2010
al comune di Palanzano di autorizzare un complesso energetico in
località Nacca di Vaestano.
Tale polo energetico dovrebbe essere costituito, stando ai proponenti,
da un gassificatore a biomassa della potenza di 999 Kw e da un impianto
a biogas da 999 Kw.
Il gassificatore si prevede venga alimentato con 85.000 quintali annui
di cippato di legna vergine e con una quantità non ben definita di
digestato prodotto dall'impianto a biogas adiacente. Una tale quantità
di legna corrisponde grosso modo ad 1 Km2 di boschi dei dintorni da
tagliare ogni anno.
L'impianto a biogas, adiacente il gassificatore e con la stessa rete
idrica di smaltimento delle  acque di prima pioggia, verrebbe alimentato
con 153 tonnellate giornaliere di letame e liquami di detti allevatori,
nonchè con insilato di mais, glicerolo e siero di  latte.
Le emissioni previste per il gassificatore sono a dir poco incredibili.
Una quantità  di fumi da cogenerazione di 32.000.000 di Nmc/annui.
Di cui 36.000 tonnellate annue di CO2, 9,3 t. di monossido di carbonio,
9,3 t. di ossidi di azoto, 6,7 t. di COV ( composti organici volatili),
1,0 t. di ossidi di zolfo, 0,5 t. di polveri sottili e
1,1 kg annui di diossine, furani e idrocarburi policiclici aromatici(
PCCD+PCDF+IPA).
Oltre a tutto ciò bisogna,poi, considerare le ceneri e il rilascio di
grandi quantità di acqua necessaria per raffreddare il syngas e ridurlo
a temperatura utile per essere bruciato nei motori a cogenerazione.
Ovviamente a tali emissioni  nocive si devono poi sommare i fumi causati
dalla cogenerazione del biogas e le ulteriori emissioni odorigene dello
stesso.
A tutto ciò si sono opposti duramente il comitato Giarola e il comitato
Vaestano, che hanno raccolto più di 1.400 firme di cittadini e che si
sono unificati da poco in associazione ambientale.
Ma il sindaco di Palanzano Maggiali,a dispetto dell'opinione dei suoi
compaesani, ha già concesso la DIA per entrambi gli impianti.
Va detto, peraltro, che quel lungo elenco di emissioni nocive sono state
considerate ammissibili dalle istituzioni preposte, sia da parte della
Ausl che da parte di Arpa.
L'associazione si è già rivolta a Provincia e Regione senza ottenere
aiuto alcuno.
Nonostante sia chiaro a tutti che i due impianti sono di fatto uno solo,
che hanno carattere  solamente speculativo, che recherebbero grave danno
al patrimonio boschivo dell'area, che procurerebbero un grave
inquinamento delle acque superficiali e delle falde,  nonchè  alla
purezza dell'aria,  nessuna istituzione sembra prendere in
considerazione la voce dei cittadini.
La zona delle due valli ha una vocazione agronomica importante. E' sede
di prosciuttifici artigianali e di caseifici dove si produce il tipico
parmigiano-reggiano di montagna.
La Food-Valley ha assoluto bisogno dell'apporto della montagna.
E' il suo serbatoio di aria buona e di acqua pura.
La  montagna costituisce addirittura la possibilità  della sua  futura
espansione nel  sempre maggior rispetto della produzione biologica.

"L'associazione Giarola-Vaestano per il territorio" chiede il sostegno
del comitato ambientale di Felino contro la  centrale a biogas, nonchè
quello del consorzio del Parmigiano-reggiano e del Consorzio del
prosciutto di Langhirano, affinchè sia dichiarata la moratoria delle DIA
del sindaco Maggiali e sia disposta una valutazione ambientale
strategica (VAS) da parte della Provincia per valutare tutte le
considerazioni della cittadinanza finora inascoltate.


Serioli Giuliano

venerdì 8 giugno 2012

Considerazioni sul biogas a S. Michele Tiorre

Il piano di sviluppo aziendale presentato dall'azienda 'La Grande' certifica, di fatto, la sua trasformazione dal carattere agricolo a quello industriale. 
Il biodigestore anaerobico da 1 Mw assorbirebbe in toto la sua produzione agraria, non più indirizzata ad alimentare le vacche da latte, ma ad alimentare lo stesso con coltivazioni espressamente dedicate. Non solo, il suo sovradimensionamento costringe l'azienda stessa ad affittare ettari di terreno per coprire tale produzione e nel contempo cercare di ottemperare alle normative per la spandimento del digestato, senza, peraltro, arrivare ad avere gli ettari richiesti dalla normativa. A nostro parere è necessario tener conto principalmente del fatto che le colture che accompagnano la realizzazioni di impianti di questa levatura e la produzione del digestato che da essi consegue hanno ricadute su tutto il territorio circostante. 
Tale ricaduta configura la pericolosità degli effetti dell'insilato di mais e di tutti gli altri insilati vegetali in un territorio vocato alla produzione del grana e che la DOP del consorzio del Parmigiano-Reggiano evidenzia da tempo. 
Il diffondersi di tali impianti sovradimensionati nel vicino Cremonese, alimentati principalmente con coltivazioni dedicate e solo in subordine con deiezioni animali, deve farci riflettere sul carattere eminentemente speculativo che le energie rinnovabili possono assumere nell'ambito delle biomasse. Abbiamo già assistito alla trasformazione dell'agricoltura in agroindustria e dell'allevamento in allevamento intensivo-industriale con sofferenze e problemi cui occorre assolutamente porre mano, come l'eccesso di azoto ammoniacale nei suoli. 
Non si può accettare che l'introduzione delle rinnovabili nell'ambito agricolo stravolgano del tutto il territorio, assoggettandolo completamente alla speculazione industriale. 
Nel nostro territorio ci sono due visioni opposte circa lo smaltimento delle deiezioni zootecniche. 
Da una parte, quella dell'azienda che col suo biodigestore da 1 Mw tra Corcagnano e Carignano, ha fatto da apripista all'attuale richiesta dell'azienda 'La grande', configurandosi come mera speculazione col pretesto dello smaltimento delle deiezioni. 
Dall'altra, il progetto del comune di Montechiarugolo che intende affrontare a livello comprensoriale il problema dello smaltimento, attraverso due impianti separati da 500 Kw ciascuno con trattamento SBR dell'azoto e senza il rilascio del digestato nei campi. Da ciò si evince che la linea di demarcazione tra l'uso delle biomasse per pura speculazione e il loro uso sostenibile è estremamente sottile e quindi è assolutamete necessario che sia esplicitata da parte delle istituzioni. 
Le istutuzioni debbono adottare norme inequivocabili in tal senso. 

Reteambiente ritiene che gli impianti a biogas debbano essere ritagliati sull'effettiva esigenza di smaltimento delle deiezioni animali da parte di ciascuna azienda agricola in base ai capi allevati. Ritiene, altresì, che gli incentivi pubblici debbano servire principalmente ad aiutare l'azienda a coprire i costi di depurazione dall'azoto del digestato, arrivando così ad evitare il suo spandimento. Confagricoltura ha delineato un'ampia fascia del territorio provinciale, comprendente l'area collinare e tutta la pedemontana fino alla città, come suolo a rischio, in cui occore limitare lo spandimento di azoto a 170 kg. per ettaro, dimezzando così quello usuale. 
Le emissioni odorigene del biodigestore sito tra Corcagnano e Carignano ammorbano ogni sera i quartieri della città tra via Langhirano e via Montanara, costringendo i cittadini tener chiuse le finestre anche d'estate. Le emissioni odorigene del progettato biodigestore della ditta 'La Grande' ammorberebbero l'intero assetto pedemontano in questione a chiara vocazione agroturistica. 
Non crediamo, infine, nonostante le rassicurazioni prodotte, che l'azienda in questione si servirà principalmente delle sue produzioni vegetali, ma che piuttosto le acquisirà da industrie specializzate del Cremonese, o addirittura dallo steesso Consorzio agrario di Cremona, come è solita fare un'azienda di Selvanizza che, per il suo biodigestore da 250 Kw, usa una miscela di nutrienti per microorganismi chiamata CH4 SPRINT, composta da farina di granoturco, panello di germe di granoturco e melasso di canna. 
Questi impianti da 1 Mw sono forniti, ormai, chiavi in mano da società per azioni. 
Le stesse propongono al cliente una partnership energetico-finanziaria, che prevede un preciso scaglionamento dei costi per anno : 490.000 euro per manutenzione, consumi elettrici e gestione impianto; 450.000 euro per circa 17-18.000 t. di miscele vegetali ; 400.000 euro per quota ammortamento investimento. 
A fronte di ricavi annui totali di 2.240.000 euro, restano 900.000 euro netti di reddito annuo. 

Da tutto questo si evince che lo smaltimento dei liquami per costoro diventa solo pretesto per far soldi. Che il digestato risultante conterrà tutto l'azoto dei componenti iniziali. Che il suo spandimento pregiudicherà gravemente i suoli del territorio, la produzione del grana e la vocazione agrituristica dell'intera zona. 

Le minacce di tali speculatori di adire a vie legali contro i comuni per rivalersi del mancato benestare e dei mancati introiti negli anni a venire : 36 milioni di euro, devono essere respinte. Di tali minacce devono essere messi al corrente i cittadini, gli unici in grado di garantire sostegno alle istituzioni medesime.

Serioli Giuliano

lunedì 4 giugno 2012

Centrali a biomassa: una minaccia per l'Appennino

I cittadini di Palanzano e Vaestano, organizzatisi in associazione ambientale, si oppongono fermamente a che venga costruito un gassificatore in località Nacca di Vaestano che si alimenterebbe con 8.500 t. annue di cippato di legna e con 2.500 t. annue di digestato di letame.

Oltre per le emissioni inquinanti e le ceneri, sono preoccupati per il loro patrimonio boschivo.

Le 8.500 t. annue di cippato che finirebbero nel gassificatore corrispondono ad 1 Kmq di bosco che ogni anno sparirebbe. Al sindaco di Palanzano, Maggiali, che ha concesso da tempo la DIA senza minimamente tener conto della loro opinione, hanno intimato che se non revoca l'autorizzazione alla ditta privata che l'ha richiesta si rivolgeranno al TAR.

Il sindaco di Monchio, comune finora considerato virtuoso, ha annunciato che intende ricavare 150.000 euro di incentivi dalla produzione di energia elettrica con la centrale a cippato.

Attalmente la centrale è sottoutilizzata. Funziona al 20% e brucia circa 3.000 quintali di cippato con gravi problemi dovuti alla cattiva combustione. Funzionando in cogenerazione per produrre energia elettrica, arriverebbe a bruciare dieci volte tanto, circa 30.000 quintali di legna, tanto scarso è il suo rendimento e quello della combustione del cippato fresco. Si tratterebbe di 1/3 di kmq di boschi da tagliare ogni anno per farla funzionare.

Che aziende private mirino a speculare sulle energie rinnovabili non ci sorprende più, capita ormai dappertutto e i cittadini si costituiscono ovunque in comitati per contrastarle.

Ma che gli stessi enti pubblici locali svendano le risorse della montagna per quattro soldi ci sorprende e ci preoccupa, anche perchè temiamo che le centrali termiche che stanno sorgendo un pò dappertutto nella nostra montagna potrebbero seguirne l'esempio.

Noi di Reteambienteparma sosteniamo, infatti, che sono inquinanti ed antieconomici anche i piccoli inceneritori sorti per produrre solo energia termica. Per intenderci, quelli sotto il Mw di cui Regione e Provincia stanno finanziando l'installazione in tutto l'Appennino.

Tre sono già funzionanti, a Monchio, Palanzano e Borgotaro e 5 sono già stati finanziati.

Dall'Olio, funzionario della Provincia e candidato alle primarie del Pd, ha firmato un documento che comproverebbe la larga disponibilità di legna utilizzabile dal punto di vista energetico nonostante i massicci tagli dovuti alla speculazione sulla legna da ardere, arrivando ad affermare che di tali inceneritori a cippato se ne potrebbero installare, senza problemi, addirittura una trentina nei borghi del nostro Appennino.

Gli argomenti addotti per giustificare tale scelta sono ormai dei mantra.

Frasi fatte, ripetute ad ogni piè sospinto e ritenute certezze intoccabili.

Sarebbe il caso, invece, di sottoporli a giudizio critico.

1) il primo mantra è dato dalla certezza che la combustione delle biomasse non contribuisca all'effetto serra. Viene detto che la stessa CO2 assorbita durante la crescita viene restituita durante la combustione. Cioè sarebbero impianti a somma zero di emissioni CO2.

In astratto è vero : la CO2 emessa è quella incorporata nel legno.

Ma non si considera il fattore tempo. In natura le piante hanno una vita di molte decine di anni e ne impiegano altrettanti, una volta morte, a seccarsi, marcire, diventare humus e rilasciare CO2.

Nel concreto, dalla combustione industriale di cippato di legna viene emessa anidride carbonica in quantità tale che gli ettari di bosco, tagliati per rifornirla, impiegheranno anni prima di avere la massa arborea sufficiente a ricatturare la stessa quantità di CO2 di prima.

2) il secondo mantra è dato dalla certezza che una centrale termica a cippato, fornendo teleriscaldamento in sostituzione delle vecchie caldaie a legna delle case, abbia emissioni meno nocive di queste e che l'aria dei borghi in inverno diventi addirittura più salubre.

Sbagliato. La gente ha già provveduto in questi ultimi anni a dotarsi di moderne caldaie funzionanti sia a pellet che a legna, con abbattimento dei fumi. La caldaia è programmata per accendersi automaticamente col pellet ed è poi rifornita manualmente di legna durante la giornata. Il pellet ha un contenuto idrico dell'8%. La legna usata è secca, stagionata due anni, ha un contenuto di umidità inferiore al 20% e produce basse emissioni, ulteriormente abbattute dal filtro della caldaia. L'acquist,poi, di nuove caldaie è conveniente perchè è detraibile al 55% dalla dichiarazione dei redditi.

La centrale a biomassa, al contrario, brucia cippato fresco con umidità del 50-60%. Produce una cattiva combustione con eccesso di fumi e con residui di ceneri anche del 5%. Supera ampiamente il range massimo di 100 mg/Nm3 di polveri previsto dalla normativa nazionale. Infine, dalla combustione di sostanze vegetali ed animali, come da quella del petrolio, si generano idrocarburi ciclici aromatici, che combinandosi col cloro presente nell'aria, anche per la sola depurazione degli acquedotti, si generano diossine.

L'ingegner Saviano della SIRAM, la ditta costruttrice della centrale a cippato dentro l'ospedale di Borgotaro, ha dovuto inventarsi alchimista. Ha dovuto servirsi della caldaia a metano, già esistente, per dosare la quantità di calore di questa con quella della caldaia a cippato in modo che la stessa non si dovesse accendere e spegnere a seconda dell'input del termostato, ma rimanesse sempre accesa a circa il 70% della sua potenza e avere la minor quantità di emissioni e di ceneri possibile per un ospedale. Non solo, ha dovuto approviggionarsi di cippato di legna stagionata, per non servirsi più di cippato fresco, di così difficile combustione e così inquinante.

3) Il terzo mantra è dato dalla certezza del risparmio con la centrale a cippato.

Forse è vero rispetto al gasolio che si usava prima, ma non rispetto ad altre possibilità.

Il costo di una centrale come quella di Palanzano, con due caldaie da 350 Kw l'una, è di 426.000 euro e il costo di quella di Monchio, da 926 Kw, è di 650.000 euro. Il costo aggiuntivo della rete di teleriscaldamento è di 500 euro al metro. Monchio ha già speso 100.000 euro solo per una parte della rete di teleriscaldamento. Il comune di Palanzano, viste le conseguenze nel bruciare cippato fresco : grandi emissioni di fumi e grosse quantità di ceneri, è passato a bruciare pellet. Costa di più ma rende molto di più, ha emissioni e ceneri 10 volte inferiori al cippato fresco.

Forti di questa esperienza, avrebbero risparmiato molto di più se avessero messo piccole caldaie a pellet in ognuno dei 5 fabbricati del comune, senza bisogno dei costi del teleriscaldamento. Una caldaia automatica a pellet da 60 Kw di potenza, capace di riscaldare una superficie di 800 m2, costa 36.000 euro( iva e installazione comprese), detraibili al 55% in 10 anni. Il costo reale diventerebbe di 16.000 euro.

Con neanche 100.000 euro avrebbero risolto il problema e avrebbero potuto destinare il resto dei finanziamenti regionali ad interventi di ristrutturazione per il risparmio energetico, creando così anche lavoro.

4) il quarto mantra è che non si intacca il patrimonio forestale perchè il cippato deriva solo dalla pulizia dei boschi.

Falso.

La pulizia dei boschi la si faceva una volta quando la legna era poca e la gente tanta.

Ora non la fa più nessuno, tantomeno i boscaioli o le cooperative di taglio.

Se una cooperativa di taglio dovesse basare il suo lavoro e gli introiti dalla raccolta delle ramaglie abbandonate sul posto dai boscaioli, fallirebbe. Tale raccolta èantieconomica.

Il cippato fresco, infatti, deriva proprio dal taglio meccanizzato del bosco. Dall'esbosco a pianta intera, con cui il tronco diventa tondame da lavoro e i rami e il cimale, una volta tagliati, vengono subito cippati con foglie e tutto il resto. Per un tale taglio meccanizzato è prevista anche l'apertura di nuove strade. Si assisterebbe, quindi, ad un'ulteriore rimaneggiamento del bosco e ad una sua maggiore esposizione al taglio generalizzato in atto per la speculazione sulla legna da ardere che ha già superato la sostenibilità e che sta intaccando la rinnovabilità.

Una cooperativa di pulizia del bosco, quindi, non pulirebbe un bel niente, tagierebbe soltanto.

5) Il quinto mantra è che l'investimento strutturale nel teleriscaldamento sia necessario nei piccoli borghi perchè gli anziani non sono più in grado di essere autonomi nemmeno a casa loro.

Tutta da ridere. Lo vadano a raccontare a chi, ad 80 anni, va ancora in giro a funghi.

Per chi non ce la fa, poi, ci sono già in ogni borgo le case di riposo attrezzate.

Sono necessari, invece, investimenti strutturali per creare lavoro, cosa che le centrali a cippato non fanno minimamente. Investimenti per la ristrutturazione dei borghi finalizzata al risparmio energetico ed alla ricezione agrituristica ed ospitativa, capaci di creare lavoro nell'edilizia e nell'indotto e a seguire nel turismo, ormai moribondo.

Ma nella nostra montagna, altrettanto grave dell'abbandono dei borghi e della mancanza di lavoro è il taglio dei boschi causato dalla speculazione sulla legna da ardere. Le tonnellate di cippato che bruceranno nelle decine di future centrali termiche si andranno a sommare alle migliaia di tonnellate di legna che ogni anno vengono portate via su camion, con grave dissesto per i boschi, i versanti dei monti e le strade delle valli.

Su circa 300.000 tonnellate potenzialmente prelevabili dai boschi del nostro Appennino, stando ai dati delle comunità montane, nel 2009 ne sono state effettivamente tagliate 190.000, sotto la voce di autoconsumo.

Ma questa parola, in borghi semiabbandonati, è ormai un eufemismo.

Era valida quando le case erano tutte abitate, ma non certo ora che lo è una casa su quattro.

Tutta quella legna viene portata via dal nostro territorio e venduta a caro prezzo chissà dove.

Il prezzo di mercato della legna da ardere stagionata 3 mesi è di 11 euro al quintale, arriva anche a 18 euro se stagionata 2 anni.

Di quei soldi in montagna resta ben poco. Gli anziani dei borghi che fanno tagliare i loro boschi di proprietà incamerano solo 1.000 euro all'ettaro.

La gran parte dei soldi del taglio finisce giù in città.

A coloro che vi si sono trasferiti da tempo e che hanno conservato la proprietà della casa e di appezzamenti boschivi. Certo, qualche boscaiolo in ogni borgo mette in tasca un pò di più, 4 o 5.000 euro per ogni ettaro tagliato, ma col sudore della fronte non si arricchisce di sicuro.

Nè quel pò di euro in più che girano per i borghi ne cambiano l'assetto economico.

I soldi veri finiscono nelle tasche dei commercianti e dei grossisti della filiera della legna da ardere. Gente che non tornerà certo ad investirli lassù.

I dati degli ettari richiesti al taglio nel 2011 non sono ancora disponibili, ma non lo sono nemmeno quelli del 2010, nonostante siano stati richiesti per un anno intero.

Tutti i boscaioli dicono che si è tagliato molto di più, forse molto più del doppio e che sono nate delle aziende che hanno assunto in nero extracomunitari che tagliano a più non posso e pagati un tanto a mc.

A confermare l'enormità dei tagli e il mancato rispetto spesso delle regole minime sono le parole stesse del sindaco Bovis di Langhirano ad un'assemblea aperta del Pd sullo stato della montagna del settembre scorso : " Se dovessimo punire quest'anno chi ha sgarrato dalle regole dei tagli, dovremmo comminare ammende per alcune decine di migliaia di euro. Ma non so se è il caso di farlo : alcune aziende fallirebbero."

Ma se i tagli hanno ormai superato la sostenibilità e stanno intaccando la rinnovabilità dei nostri boschi, non si può più accettare che le autorità amministrative impongano il silenzio ai funzionari preposti. La risorsa verde dei boschi non è "il nuovo petrolio su cui siamo seduti", come affermato da un funzionario della Provincia, ma una risorsa preziosa che va salvaguardata proprio nell'interesse della montagna, di chi vi abita e del suo futuro possibile.

"Ogni burocrazia si adopera per rafforzare la superiorità
della sua posizione mantenendo segrete le sue informazioni
 e le sue intenzioni. Cerca di sottrarsi alla visibilità del
 pubblico, perchè questo è il modo migliore per difendersi
 dallo scrutinio critico." ( Max Weber )

Serioli Giuliano

venerdì 1 giugno 2012

Risposta di Rete Ambiente Parma alla Meo

Accolgo le sue precisazioni e volentieri rispondo.
Nelle considerazioni del comunicato fatto ieri riprendevamo il comunicato di Reteambienteparma del 15-09-2011, in cui si rendeva noto della visita ad Eridania di S.Quirico di Pierluigi Ferrari, vicepresidente Provincia, e Tiberio Rabboni, assessore regionale all'agricoltura, che riferivano all'azienda in merito alla VIA depositata dall'azienda il 27 luglio in regione, come da lei confermato.
La notizia era comparsa il 10-09-2011 su "Gazzetta di Parma" e "La Sera". 
Nell'articolo si affermava espressamente che la visita era da mettere in relazione alla concessione della VIA,  da considerarsi ormai cosa fatta come per lo stabilimento di Russi. 
Lei stessa, consigliere Meo, nella sua interpellanza chiedeva quali impianti più inquinanti  andassero chiusi, in caso di rilascio dell'autorizzazione per tale progetto di centrale a biomassa.
Quindi, a quel tempo, anche per lei la Regione era tutt'altro che contraria alla chiusura positiva per Eridania della VIA e al rilascio dell'autorizzazione.
Di più, era girata voce nel comune di Trecasali che il procedimento della VIA fosse stato aperto il 27 e chiuso lo stesso 5 agosto seguente, senza attendere le considerazioni di comuni interessati e comitati.
I giornali riportavano, infatti, lo sconcerto del sindaco di Trecasali perchè dalla Regione non c'era stata nessuna risposta alle considerazioni di inopportunità per la centrale depositate dalla giunta e dal consiglio comunale. 
Il sindaco, a quel punto, aveva deciso di opporsi al progetto, proponendo che l'impianto a biomasse si riducesse all'effettivo bisogno energetico dell'azienda, cioè  massimo 2 o 3 Mwe con un consumo di cippato di "sole" 30.000 t. annue.
Il nostro comunicato, apparso negli organi di stampa e on line, non era stato  smentito da nessuno.
Solo nel novembre successivo Bernazzoli e Provincia si dicevano contrari all'impianto per motivi di opportunità ambientale, chiedendo un tavolo di consultazione tra azienda, istituzioni locali, Provincia e Regione, ovviamente per addivenire ad un compromesso, presumibilmente la soluzione proposta dal sindaco di Trecasali.  
Tutto questo, dopo che diversi consigli comunali della "bassa" si erano espressi decisamente contro l'impianto a biomassa.
Impressione nostra e di tanti altri era che la Regione avesse già una sua opinione al riguardo e fosse arrivata ad un accordo con Sadam Eridania, che la Provincia avesse già avallato la cosa e che solo l'opposizione determinata della popolazione abbia prima ritardato e poi bloccato il parere favorevole della Regione.
Solo a questo punto devono essere parse significative alla  giunta regionale le sue interpellanze ed interrogazioni tese a non considerare l'Eridania di S.Quirico non assoggettabile, come invece quella di Russi, alle più stringenti norme della Regione. 
La sua interpellanza, consigliera  Meo, a nostro avviso meritoria e degna di stima, deve essere apparsa, a quel punto, alla Regione come l'unica strada percorribile per non perdere del  tutto la faccia sia verso i cittadini che verso la stessa azienda Sadam- Eridania.
Per tutte queste considerazioni, anche se il procedimento della VIA è rimasto formalmente aperto fino ai nostri giorni, ci sentiamo di affermare che Regione e Provincia fossero favorevoli alla centrale di S.Quirico e che solo l'opposizione dei cittadini, del  comitato e dei comuni abbia imposto alle istituzioni di cambiare parere. 
Nostra convinzione è che, stanti gli  alti valori dei Pm 10 nell'area e l'opposizione dei cittadini, abbiano proposto ad Eridania un dimagrimento della centrale fino a 3 Mwe. 
A quel punto l'interesse speculativo per l'azienda si era ridotto a tal punto da  farla desistere del tutto, come sabato scorso ha comunicato.

Onestamente, consigliere Meo,  per quanto tempo le sue interpellanze affinchè il progetto di centrale a biomassa di S. Quirico fosse assoggettato a norme più stringenti sono rimaste inascoltate dalla giunta regionale?

Per quanto riguarda la sua proposta di moratoria di nuovi impianti a biomasse e biogas in Regione, peraltro richiesta a gran voce da comitati di cittadini e sindaci, ci vede totalmente d'accordo con lei. 

Serioli Giuliano