"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

mercoledì 29 agosto 2012

Incontro Rete Ambiente Parma - Comune di Felino

Presenti: Leccabue (ass. cultura) e Leoni (ass. ambiente), Serioli Giuliano e Silvio Di fazio per Reteambiente.

Leoni motiva l'incontro nel ribadire la correttezza della loro posizione volta a portare a compimento l'iter del no all'autorizzazione seguendo la traccia della modifica del piano urbanistico del comune che inficia l'area da loro richiesta come sede dell'impianto.
Lo motiva, altresì, per esprimere la loro contrarietà riguardo l'articolo comparso in "Gazzetta"in cui si attaccava il sindaco da parte del comitato e in cui sembrava che Reteambiente, cui si faceva riferimento esplicito, fosse d'accordo nell'attaccarlo.
Noi rispondiamo che non sapevamo nulla dell'articolo e che ci pareva un copia e incolla fatto dall'articolista. Sottolineiamo che è comprensibile la preoccupazione del comune per il tentativo della ditta di rivalersi economicamente nei loro confronti presso il TAR, ma che il no del sindaco deve essere nel merito di tale impianto, del suo carattere esplicitamente speculativo, lesivo della salute dei cittadini per le sue emissioni nocive ed odorigene e lesivo per le produzioni di qualità del territorio,in base alle osservazioni depositate in data 8/6/2012.
Abbiamo chiesto anche cosa succederebbe se la ditta modificasse la sua richiesta accettando l'area del piano urbanistico definita dal comune come idonea alla valorizzazione delle rinnovabili.
In tal caso, a nostro parere, la motivazione attuale del sindaco per il no all'impianto verrebbe a cadere.
Leoni sottolinea l'importanza che l'ente non sia solo nell'opporsi al progetto e che finalmente la Provincia si esprima in tal senso, non con un ordine del giorno del consiglio provinciale, come accaduto, che lascia il tempo che trova, ma con una presa di posizione ufficiale in merito.
Leccabue sottolinea l'importanza di un cambiamento culturale nei confronti dell'agricoltura affinché  il suo processo di industrializzazione crescente non si appropri anche dei finanziamenti pubblici delle rinnovabili snaturandone struttura produttiva e carattere.
Proprio perchè d'accordo con queste considerazioni, chiedo che il comune, al di là dei tempi dell'iter della VAS, promuova al più presto un convegno pubblico su biomasse-biogas in cui dar voce ad  associazioni, enti e cittadini.
Informo, altresì, che la rete dei comitati sta ripromettendosi la costituzione di un consorzio assicurativo sul territorio in grado di fare class action anche contro chi ha già fatto danni all'ambiente e ai cittadini, come Melanchini con le sue emissioni odorigene che impestano la periferia della città o come la centrale di Soragna, già approvate e funzionanti.

Giuliano Serioli

martedì 21 agosto 2012

Osservazioni al Piano Strutturale Comunale di Bardi 2012

Rete Ambiente Parma ha presentato osservazioni di carattere generale al Piano Strutturale Comunale e al Regolamento Urbano Edilizio di Bardi.

Link 1

Link 2

lunedì 20 agosto 2012

Centrale all'olio di colza a Bedonia?

Sorpresi, apprendiamo che uno dei maggiori sostenitori dell'inceneritore di Uguzzolo, nonchè ex vicepresidente di Iren, Luigi Giuseppe Villani, denuncia oggi il carattere speculativo e nocivo di un impianto accettato dall'amministrazione di Bedonia.
Forse è solo un modo di cominciare anzitempo la campagna elettorale contro il Pd.
Ma chissà, potrebbe anche aver fatto fare una piroetta di 180° ai suoi convincimenti. Sappiamo tutti che l'opportunismo di questa classe politica non ha limiti.
In ogni caso, stando a quanto detto, in data 29/03/2012 il Comune di Bedonia (PR) avrebbe sottoscritto una convenzione con la ditta Evifacility s.r.l. per la costruzione, l’esercizio e la manutenzione di un impianto di cogenerazione elettrica alimentato a olio vegetale, della potenza massima di Kw 999, finalizzato alla produzione di energia termica da utilizzare per alimentare la piscina comunale.
Tale centrale brucerebbe 2.000 tonnellate annue di olio di colza, forse addirittura di più dato lo scarso rendimento del combustibile, con emissioni nocive ed odorigene incredibili per un impianto pubblico ma soprattutto aperto al pubblico.
Molti studi, infatti, indicano che un motore diesel alimentato con oli vegetali ha un calo di rendimento che provoca un maggior consumo e nel contempo un aumento di emissioni.
Si tratta in questo caso di concentrazioni di PM10 e di polveri ultrafini notevolmente maggiori che non dalla combustione dello stesso gasolio, con aumento delle frazioni più pericolose, quelle inferiori ai PM10. Con un contenuto di IPA (idrocarburi policiclici aromatici, doppio rispetto a quello generato dal gasolio e con un forte incremento delle concentrazioni di ossidi di azoto (dati di uno studio del 2002 della Provincia di Bologna).
Altre ricerche evidenziano la formazione di benzene e butadiene che diffuse nell'aria portano a pericolosi composti come PCB e diossine, formaldeide e ozono (tutte sostanze ignorate o sottostimate dalle aziende proponenti e dai costruttori degli impianti).
L'ozono stesso è un inquinante secondario che si forma in atmosfera a partire dagli ossidi di azoto, se le condizioni sono favorevoli, come quelle estive (smog fotochimico).
Tutta la combustione di biomasse produce,infatti, significative emissioni di ossidi d'azoto e quindi d'estate aumenterà la concentrazione di ozono, nocivo per la salute.

Accenniamo di sfuggita che occorrerebbero circa 1500 ettari di coltivazioni dedicate per rispettare il dettato regionale della filiera corta, tanto sappiamo che il biocarburante verrebbe importato come capita per tanti altri impianti similari.
Pare che l'amministrazione ora abbia fatto marcia indietro e rinneghi l'accordo con la ditta proponente e che questa, a sua volta, voglia rivalersi legalmente nei suoi confronti.

L'importante è che i cittadini sappiano e vigilino.

Serioli Giuliano

venerdì 17 agosto 2012

2012: la minaccia alla rinnovabilità dei boschi

A partire dal 1995, l'utilizzazione annua in Italia dei boschi, da almeno un decennio si era stabilizzata sui cinque milioni di metri cubi. Supponendo che da un ceduo si ricavino in media 120 metri cubi per ettaro, risulterebbero essere stati tagliati circa trentatre mila ettari all'anno, che confrontati con la superficie di 3.663.000 ettari dei boschi cedui darebbero un tasso di utilizzazione di circa l'1% contro almeno il 4% che ci sarebbe da aspettarsi da un esercizio regolare al turno di venticinque anni applicato su tutti i cedui italiani.
Questi però erano dati del 2005.
Da allora la superficie del ceduo non è cambiata di molto, mentre le utilizzazioni sono grandemente aumentate. Nel 2009 nella provincia di Parma gli ettari richiesti al taglio sono stati circa 2.000 e la percezione è che stiano crescendo di molto.
Percezione confermata dalle voci allarmate di alcuni sindaci, ma soprattutto dall'analisi dei dati degli stessi operatori del settore.
Da Annalisa Paniz, studiosa dell’AIEL (Associazione Italiana Energie Agroforestali), viene la fotografia del settore che vede l’Italia prima in Europa anche nella produzione e vendita delle stufe a pellet. “Le biomasse legnose consumate dagli italiani nel 2012 saranno vicine ai 20 milioni di tonnellate: per l’80% (16 milioni di t.) costituite da legna da ardere e per il 9% da pellet (2 milioni). Di pellet l’Italia ne ha prodotto nel 2011 520.000 tonnellate (150.000 nel 2003) di cui solo 9.000 t. vendute sfuse. Coprendo la produzione interna solo il 28% della domanda, abbiamo avuto importazioni per 471.600 tonnellate nel 2009 e di ben 827.200 nel 2010, con previsioni per il 2012 di salire a 1.200.000. “Siamo l’unico paese mondiale a consumare quattro volte quanto produciamo”.

Sottolinea nel contempo la Coldiretti - sono stati importati in Italia ben 3,3 milioni di tonnellate di legna da ardere nelle diverse forme, pari a piu’ del triplo rispetto a venti anni fa. Una dimostrazione evidente - precisa la Coldiretti - del crescente interesse verso questa forma di energia che è diventata competitiva dal punto di vista economico.

Se quindi l'interesse, cioè la biomassa legnosa prelevabile annualmente senza pregiudicare la rinnovabilità, è stimata nel 4% del totale del ceduo presente nel nostro paese, 3.663.000 ha circa, e pari a 14.620.000 t. ; conoscendo la stima dei consumi previsti per il 2012, circa 16.000.000 di t. e quella della legna da ardere importata, 3.300.0000 t., si può arrivare facilmente alla stima della legna effettivamente tagliata, cioè 16.000.000 - 3.300.000 = 12.700.000 t. di legna, pericolosamente vicina alla soglia di rinnovabilità ( 14,6 mln ).
Se però si aggiunge la previsione del pellet prodotto nel 2012, circa 800.000 t. si arriva a 13.500.000 t. di legna tagliata, pari al 92% dell'interesse, oltre il quale vien meno la sostenibilità.

Non basta la rinnovabilità del legname, lo star dentro i limiti dell'interesse, entro l'accrescimento annuo dei boschi.
Per poter essere definita sostenibile, la gestione forestale deve rispondere a criteri di difesa idrogeologica del suolo, a criteri paesaggistici e soprattutto che non cali l'assorbimento di CO2.
Ricordiamo che la teoria secondo la quale i boschi perdono con l’età la capacità di fissare CO2 si è dimostrata abbondantemente sbagliata.
Inoltre, Amorini et al. (2002), e Cutini (2006) hanno dimostrato che occorrono 5 anni perchè i parametri di copertura fogliare e di intercettazione della luce tornino al livello che si ha nel ceduo di 35 anni di età.
Questo vuol dire che ogni volta che si taglia un bosco, che si brucia il carbonio contenuto nella legna, non si ha somma zero delle emissioni di CO2, come sbandierato, ma zero + 2,5 anni di mancato assorbimento della CO2.
Da quel che resta di quel bosco ceduo verrà a mancare per alcuni anni l'assorbimento di CO2 da parte dall'apparato fogliare abbattuto.
Sempre secondo gli stessi autori il governo a ceduo nella captazione del carbonio ha anche una maggiore efficienza rispetto alla fustaia, cui le amministrazioni vogliono convertirlo.

C'è da considerare, inoltre, che il turno eccessivamente breve od economico dei tagli riduce il contenuto della sostanza organica nel suolo con conseguenze sulla capacità idrica e sull'assorbimento e sulla riduzione delle proprietà chimiche e fisiche.
Riteniamo che il bosco debba essere utilizzato diversamente rispetto al passato, quando era necessariamente ipersfruttato da una popolazione povera; tale sfruttamento, eticamente comprensibile, ha impoverito drammaticamente il suolo, minimizzato la biodiversità e causato dissesto idrogeologico.
E’ proprio per il fatto che i boschi siano già stati sottoposti in passato a gravi alterazioni che necessitano di particolare attenzione per la loro conservazione.
Ciò vale anche per le colonizzazioni spontanee di aree precedentemente utilizzate come pascolo o come coltivo, realizzate disboscando il territorio. La ricolonizzazione forestale equivale a un recupero di naturalità.

In certi casi, è auspicabile addirittura una non gestione del bosco , per cui l'accumulo di massa raggiunge nel tempo un massimo (sicuramente superiore alla provvigione media attuale) ma poi non cresce più, compensandosi con la decomposizione del legno morto che crea humus necessario alla fertilità e al rinnovo del suolo.

Preoccupazioni del tutto avulse dagli intendimenti delle nostre amministrazioni.  
Anzi, arrivano a dichiarare (Bricoli) che tutto il bosco che è ricresciuto spontaneamente in questi ultimi quarant'anni potrebbe essere tranquillamente tagliato ricuperando i prati di una volta . Amministratori che usano i finanziamenti europei per sviluppare il taglio industriale del bosco, sommando altri tagli a quelli dovuti alla speculazione sulla legna da ardere. Che usano i finanziamenti europei per impiantare centrali a cippato nei borghi, le quali non si limiteranno a produrre calore, ma anche elettricità come vuole già fare Monchio e come il governo Monti spinge a fare con gli incentivi.
Ed essendo il loro rendimento nel produrre elettricità bassissimo, dovranno bruciare dieci volte la legna che bruciano ora.
Davvero un bel contributo alla sostenibilità, oltre che alla salute dei cittadini per le emissioni nocive.

Serioli Giuliano

lunedì 13 agosto 2012

Due nuovi articoli sulla questione "pietre verdi" e amianto.


http://www.parmanews24.com/pblock/amianto-allarme-pietra-verde-a-parma-stop-dal-comune/

http://www.adnkronos.com/IGN/Sostenibilita/Risorse/Per-il-pericolo-amianto-allarme-pietra-verde-a-Parma-stop-dal-comune_313596239531.html


Novità sul fronte “pietre verdi”

Ci sono importanti novità sul fronte “pietre verdi”. Chi pensava che il comitato “Cave all’amianto? No grazie!” si fosse appisolato, si sbagliava di grosso. Il seme è stato gettato e un lavoro costante ha portato a qualche risultato.
Non solo il tema delle “pietre verdi” rientrerà nella discussione della Conferenza Nazionale Amianto 2012 che vedrà anche la partecipazione del Ministero della Salute, ma si sono visti recenti sviluppi in Liguria e a Parma.
In Liguria, su appello del comune di a Casarza Ligure e della ASL 4 Chiavarese, il Consiglio di Stato respinge il ricorso al TAR, presentato da una società concessionaria che si era vista negare la richiesta di una nuova concessione per la cava di Bargonasco dalla Provincia di Genova (visto il parere contrario di Comune e ASL) . (Articolo completo)
A Parma, invece, l’amministrazione comunale a 5 stelle sta mostrando il coraggio che nessuno aveva ancora avuto e l'assessore all'urbanistica Alinovi ha intenzione di bandire dai cantieri le pietre verdi e, questo, in effetti è un modo importante ed efficacie per avviarsi verso la chiusura delle cave. Meno richiesta, meno cave.

Segnaliamo anche un libro sull’argomento amianto, la descrizione, sul sito di Cave all’Amianto? No grazie!

domenica 12 agosto 2012

Vale la pena investire in biomasse? Uno studio tedesco mette in crisi il modello emiliano sostenuto dal Pd


Giulio Meneghello

http://qualenergia.it/articoli/20120805-vale-la-pena-scommettere-sulle-energia-da-biomasse

Un report pubblicato dall'Accademia nazionale delle scienze tedesche Leopoldina indaga a 360 gradi su vantaggi e svantaggi di biomasse e biocarburanti. Le controindicazioni di queste fonti energetiche finora sono state sottovalutate. Converrebbero a livello energetico-ambientale solo con certe filiere e a determinate condizioni.
Le biomasse, in generale, e i biocarburanti di prima generazione, più in particolare, non sono il modo migliore per ridurre le emissioni di gas serra. L'accusa ai limiti dei biofuel non è una novità, ma il nuovo report pubblicato dall'Accademia nazionale delle scienze tedesche Leopoldina è interessante perché tenta una valutazione a 360 gradi della sostenibilità delle varie forme di bioenergia. Le principali controindicazioni sono note: per alcune colture e filiere il bilancio in termini di gas serra può essere controproducente e spesso rubano spazio alle colture alimentari con la conseguenza di far salire il prezzo dei cereali e di causare deforestazione.
Questi sono i motivi per cui dallo studio emerge l'ennesima bocciatura dell'obiettivo europeo 2020 di soddisfare entro quell'anno il 10% del fabbisogno energetico per i trasporti con le rinnovabili, che rischia di essere coperto quasi totalmente con i biofuel. Ma, secondo i 20 accademici che hanno contribuito al report il ricorso alle biomasse andrebbe limitato in generale: per ridurre le emissioni di CO2 queste fonti sono molto meno efficienti di altre come eolico e fotovoltaico, anche se ovviamente le biomasse hanno il vantaggio di poter essere trasformate agevolmente in combustibili liquidi o di poter produrre in modo altamente modulabile e in cogenerazione sia elettricità che calore.
Focalizzandosi sul caso tedesco, ma facendo un discorso valido a livello europeo e globale, infatti, il report bolla come troppo ottimistiche sia le valutazioni sugli impatti di biocarburanti e altre biomasse fatte dalla Comunità Europea, sia quelle dell'IPCC Special Report 2012 on Renewable Energy (SRREN) che quelle del BioÖkonomieRat del Governo tedesco. La conclusione è che, fatta eccezione per quelle derivate da prodotti di scarto e sottoprodotti, le biomasse non sono un'opzione praticabile su larga scala per ridurre le emissioni.
Ad esempio, censendo la filiera forestale tedesca si ritiene che aumentare o anche solo mantenere il livello di produzione energetica attuale da legna comporta c'è il rischio di compromettere il patrimonio boschivo nazionale senza contribuire alla riduzione delle emissioni. Solo foreste mantenute in equilibrio, cioè in cui si ripiantumi di pari passo con il taglio avvicinerebbero alla neutralità in termini di CO2. Ancora peggio va nella biomassa coltivata: qui, tenendo conto dell'uso di nitrati per i concimi, dell'energia spesa nella coltivazione e di tutto il resto le emissioni sono quasi sempre superiori alla quantità di CO2 immagazzinata dalla pianta. Per il biogas, si spiega, solo alcune filiere particolari sono sostenibili e per biodiesel e bioetanolo la sostenibilità è ancora più difficile da ottenere. A questo si aggiunge il fatto che la quantità di biomassa necessaria per soddisfare l'obiettivo europeo sui trasporti è incompatibile a livello di terreni disponibili con la produzione alimentare. E che gran parte viene dall'importazione da paesi nei quali è difficile controllare le filiere.
I biocarburanti di prima generazione, dunque, in questo report sono tutti bocciati. Perfino il bioetanolo da canna da zucchero - che con un EROI (rapporto tra rendimento energetico ed energia investita) che arriva fino ad 8 ed è tra i migliori - secondo gli autori non è pienamente sostenibile: per avere quei rendimenti infatti bisogna usare per il processo di lavorazione il calore ottenuto bruciando i residui della canna, la cosiddetta bagassa, anziché reinterrarli nel campo e questo significa estrarre carbonio dal suolo. Meglio da questo punto di vista il biogas, i cui residui di lavorazione vengono resistuiti ai campi come fertilizzanti, permettendo, nelle filiere ben fatte, di avere bilanci negativi in termini di CO2.
Speranze restano in un rapido sviluppo dei biocarburanti di seconda generazione, specialmente quelli a base di materie lignocellulosiche, che eviterebbero parte degli impatti negativi degli attuali. Il report dell'Accademia nazionale è invece molto scettico sullo sviluppo dei biocarburanti dalle alghe: con le tecnologie attuali si scrive l'EROI dei biocarburanti da alghe è al di sotto di 1, si spende cioè più energia per produrli di quella che rendono. Un paragrafo è dedicato anche alla produzione di idrogeno da biomasse. Anche qui siamo lontani dalla competitività: con il metodo più diffuso, cioè ricavandolo dal metano, si ottiene idrogeno a 1 $ al chilogrammo, mediante elettrolisi (che può essere fatta anche con l'elettricità da rinnovabili) si sale a 3 $/kg, mentre ottenere l'idrogeno con la pirolisi da biomasse attualmente, si spiega, al momento costa circa 7 $/kg.
In conclusione vale la pena scommettere sulle biomasse?
Secondo gli autori per quanto possibile meglio concentrarsi su altri metodi per ridurre la CO2: efficienza energetica, eolico, fotovoltaico e solare termico.
Le biomasse dovrebbero essere promosse solo laddove non entrino in competizione con la filiera alimentare, abbiano un impatto ambientale sostenibile e un bilancio in termini di emissioni di gas serra almeno del 60-70% migliore dei vettori energetici che sostituiscono (tipicamente benzina, gasolio e gas). Promettente in tal senso è l'uso di scarti e sottoprodotti, ad esempio l'uso dei reflui degli allevamenti per ottenere biogas.

Lo studio
http://qualenergia.it/sites/default/files/articolo-doc/201207_Stellungnahme_Bioenergie_kurz_de_en_final.pdf

sabato 11 agosto 2012

5 tesi fra montagna e città


Due forme di cultura opposte
La città e la montagna rappresentano due forme di cultura molto diverse tra loro, quasi opposte.
Nella prima elaborazioni concettuali astratte possono costituire la verità.
Nella seconda, al contrario, verità sono solo i dati di fatto e le astrazioni diventano chiacchiere
inutili. Qualsiasi opinione può farsi teoria e far parte del sapere; di contro il sapere è tramandato solo oralmente ed è costituito dalle esperienze che si sono affermate con successo e quindi, per questo, divenute vere.
L'uomo di città è portato ad esprimere le proprie opinioni; il montanaro, come il servo della gleba dell'antichità, si trattiene dall'esporre ciò che pensa aspettando il momento giusto per farlo valere.
Il coraggio delle proprie opinioni da una parte, la propria ragione da imporre coi fatti, dall'altra.
Le due mentalità sembrano inconciliabili.
La città padroneggia la tecnologia che ha soppiantato i mestieri e i saperi della montagna.
Dalla città arriva la speculazione che può decidere dei destini della montagna.

La montagna sta morendo
Tutti ne parlano, tutti temono che si avveri.
L'agricoltura e l'allevamento tradizionali sono spariti. L'agricoltura industriale ha sbaragliato il campo. L'artigianato è ormai del tutto soppiantato dall'industria manifatturiera.
I famosi saperi e mestieri, di cui i politici si riempiono la bocca, rischiano di finire dimenticati definitivamente in qualche museo polveroso.
La montagna è stata abbandonata da tempo, ma non si intravedono attività economiche che possano bloccare i giovani nelle terre alte, mentre la città appare loro con tutto il luccichio delle
promesse di soldi, sesso e socialità.
Qualcuno ha detto che "siamo seduti su un altro petrolio" e il mercato della legna da ardere ha
risposto aumentando la domanda, complice la crisi economica e il prezzo dei carburanti.
In montagna, molti si sentono spinti a tagliare più legna possibile, come fossero consapevoli che si stanno dividendo le spoglie di qualcosa che presto non ci sarà più.
Nell'indifferenza delle amministrazioni. Anzi, con funzionari pronti a giustificare la cosa e a raccontare in giro che, essendoci il doppio di boschi di quarant'anni fa, si può tagliare tutto ciò che è ricresciuto, recuperando la biodiversità dei prati di una volta.

Si fermeranno la speculazione sulla legna e i tagli?
Da soli no.
La green economy applicata alle biomasse si è sommata al mercato della legna da ardere, moltiplicando la domanda. Legna portata via coi camion per essere cippata e bruciata chissà dove o trasformata in pellet. Nel 2011 sono state vendute in Italia 200 mila stufe a pellet.
I tagli si sono moltiplicati al punto che l'offerta ha superato di gran lunga la domanda, portando il prezzo di vendita dagli 8 euro al quintale iniziali, agli attuali 5,5 euro.
Pensate che si taglierà di meno per riequilibrare il prezzo di mercato?
Semmai il contrario.
La gente che si è abituata a quella fonte di denaro non sarà disposta a rinunciarvi, men che meno con la crisi in atto. Anzi, taglierà di più per raggiungere lo stesso gruzzolo dell'anno precedente.
D'altra parte il ribasso dei prezzi di mercato della legna non farà altro che renderla sempre più conveniente rispetto a quello dei carburanti fossili e più appetibile per un sempre più vasto bacino di utenti.
Una spirale senza fine che arriverà a consumare i nostri boschi.

Il riscaldamento globale colpirà duro in montagna
Molti montanari e gente di città appassionata di montagna cominciano ad intuire cosa succederà e a preoccuparsi seriamente.
Il cambiamento climatico arriverà prima in montagna. Provocherà siccità nella fascia delle sorgenti, dove la neve per diversi mesi è necessaria alla loro ricarica.
La durata dell'innevamento si accorcia sempre più, è capricciosa: di giorno il calore del sole scioglie la neve, di notte l'altitudine la fa gelare, provocando vetroghiaccio, un fenomeno disastroso per le piante, spezzate dall'aumento di volume del ghiaccio riformato.
La fascia delle sorgenti è la zona delle faggete, bisognose di umidità e di acqua.
La loro traspirazione ributta fuori quella stessa umidità di cui hanno bisogno alimentando temporali, necessari a mantenere il microclima. Ma tali temporali estivi in futuro, data la sempre maggior escursione termica, tenderanno a diventare burrasche, con enormi quantità d'acqua in poco tempo, come nelle Cinque Terre, o come in questi giorni in Alto Adige.
I versanti dei monti, denudati dal taglio spropositato, scenderanno a valle riempiendo i torrenti che, tracimando, travolgeranno ogni cosa. Le prime ad essere colpite saranno le strade.
L'acqua è ancora abbondante in montagna, ma viene rubata. 
Enel, coi suoi bacini e condotte mai ristrutturati, perde il 50% dell'acqua captata e dà ai comuni montani solo elemosine.
Aziende di imbottigliamento come la Norda-Lynx, a Ponteceno, e tante altre, portano via l'acqua per pochi spiccioli.
La maggior parte dei comuni si vantano di aver dato in gestione i propri acquedotti ad Iren, con la conseguenza che ora si trovano nell'impossibilità di turbinarli per ricavare elettricità e rimpinguare le casse pubbliche.

Cosa può salvare la montagna?
La montagna, lasciata a se stessa e alla miopia dello sfruttamento delle sue risorse, diventerà terra di conquista. Non resterà a lungo disabitata, sarà ripopolata da gente dell'est, mercenari pagati in nero al soldo della speculazione.
L'ambientalismo ideologico, quello che dice sempre no a tutto, non ci interessa. Non è credibile e non ha un progetto per la montagna.
Ma l'uso sostenibile delle energie rinnovabili non è la stessa cosa della green economy. Con lo sviluppo delle centrali termiche a cippato, della cogenerazione per produrre energia elettrica e delle aziende di taglio industriale della legna, le amministrazioni sembrano accettare il suo dettato: soldi in cambio di risorse.
Ma l'uso delle rinnovabili senza intaccare le risorse può far rinascere i borghi.
Le innovazioni tecnologiche della città possono legarsi agli antichi mestieri, farli rivivere.
Il solare fotovoltaico e il solare termico uniti alla ristrutturazione dei borghi per il risparmio energetico possono essere il volano di nuova occupazione e di autonomia energetica.
Possono costruire la base ricettiva adeguata per un turismo diverso da quello di massa.
Un turismo capace di far nascere la domanda di produzioni alimentari biologiche e artigianali di
pregio. L'Alto Adige e il Trentino insegnano.
Il principio deve essere quello che il lavoro non deve consumare le risorse.


Giuliano Serioli

venerdì 10 agosto 2012

Commento alla sentenza del Consiglio di stato 16 luglio 2012.

Dott. Antonio Manti (già direttore del dipartimento di prevenzione di Chiavari - Ge)

A 20 anni dall’entrata in vigore della legge 27 marzo 1992, n. 257, che ha vietato in Italia “l'estrazione, l'importazione, l'esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto”, è rimasta ancora indefinita la problematica delle cosiddette pietre verdi.

Si tratta di rocce costituite in toto o in gran parte da serpentiniti, minerali in cui la presenza di amianto è certa, anche se variabile per quantità e per grado di fratturazione.

A tutt’oggi in Italia sono molte le cave di pietre verdi ancora attive, dalle quali il rischio di rilascio di fibre cancerogene è possibile e non valutato accuratamente. La recente sentenza del Consiglio di stato 3195/2012 aiuta ad affrontare questi temi con maggiori elementi di certezza giuridica e scientifica nell’ottica di tutelare la salute pubblica.

Neviano, dalle parole ai fatti.

L'assemblea di Neviano del 30 luglio avrebbe dovuto fugare ogni dubbio dei cittadini sulla sostenibilità dei progetti e delle iniziative delle amministrazioni sulla centrale a cippato e sui tagli dei boschi. Almeno di tale tenore erano le affermazioni del sindaco Garbasi e del capo del Pd Dall'Olio che accusavano sulla "Gazzetta" noi di Reteambiente di fare del terrorismo ambientale.
Ecco, però, una prima crepa alla sicumera della loro narrazione.
Una signora di Neviano, preoccupatissima, ci scrive per avere voce e sostegno contro lo scempio perpetuato  all'amministrazione direttamente sopra casa sua.
Queste le sue parole.

"Sono residente a Neviano A. e sto vivendo con angoscia la devastazione in atto sul territorio. Non ho mai visto una tale rapidità negli interventi del passato: qui procedono a tamburo battente.Abito in una casa sotto il cimitero, dove il terreno è in forte pendenza; per evitare il rischio di smottamenti più di quarant'anni fa la Forestale aveva aggiunto alle querce originarie dei pini neri, poco adatti al clima e quindi bisognosi di manutenzione, che peraltro da vent'anni il Comune si è ben guardato di fare.Ora, nel giro di pochi giorni hanno raso al suolo tutto il bosco e non mi risulta nessuna perizia geologica. E' altamente probabile che, con l'arrivo delle piogge autunnali, particolarmente violente in queste ultimi anni a causa del riscaldamento globale, riprendano i movimenti franosi che caratterizzano la zona. Il cimitero che mi sovrasta arriverà qui, a casa mia.Vi scrivo per chiedere aiuto affinchè si tenti di arrestare lo scempio in atto e si proceda al rimboschimento dei terreni messi a nudo. Ho seguito con interesse gli interventi di Giuliano Serioli sulla caldaia a cippato: quello che sta accadendo è tutto collegato.In giro c'è rassegnazione.Aspetto una vostra risposta.Grazie e distinti salutiRaffaella Sassi"
Le parole della signora non fanno che confermarlo.
E' in atto un taglio forsennato dei boschi prodotto da una domanda speculativa del mercato della legna da ardere. Tali tagli hanno ormai superato la stessa domanda e il prezzo della legna accatastata è crollato dagli 8 euro al quintale di tre anni fa agli attuali 5,5 euro.
Tutti sono convinti che tale scempio non si fermerà.
Anzi, il crollo stesso del prezzo spingerà molti a tagliare di più per intascare almeno
gli stessi soldi dell'anno prima.
Non ci stiamo riferendo ai boscaioli, che fanno correttamente il loro lavoro di sempre,  ma a tutti coloro che assoldano extracomunitari in nero per farli lavorare al posto loro e per il proprio profitto.
Ebbene, proprio la sera dell'assemblea abbiamo sentito amministratori e tecnici affermare che oggi c'è il doppio di legna rispetto a quarant'anni fa e che non sarebbe un male se la si tagliasse, recuperando i prati di una volta e
la biodiversità che questi rappresentavano.
Il recupero dei prati è incentivato con finanziamenti dalla Regione, anche se non serve a niente perchè vacche al pascolo non ce n'è più. 
Forse, però, serve a creare un do ut des in occasione delle elezioni.
Certi amministratori non si rendono conto che non si può tornare indietro, ma che soprattutto non si deve farlo per non riinnescare il degrado idrogeologico imperante in quei tempi.
Non si può creare lavoro saccheggiando le risorse naturali, mettendo a rischio frane i versanti e in forse la sicurezza della gente e delle loro case.

Noi diciamo che il lavoro lo si può creare avviando il risparmio energetico. Concentrando tutti i finanziamenti su di esso in modo da farlo diventare il volano della ristrutturazione dei borghi, a sua volta strumento efficace di una ricezione turistica accogliente e diffusa.

Serioli Giuliano

giovedì 9 agosto 2012

Un consorzio di comitati per assicurare il territorio


Nella nostra provincia ci sono ormai diversi comitati ambientali. 
Sono nati contro l'incenerimento dei rifiuti, contro le centrali a cippato di legna, contro la gassificazione delle biomasse, contro le pale eoliche, contro la combustione di oli esausti, contro le centrali a biogas da coltivazione dedicate, contro lo sfruttamento delle cave ofiolitiche e il pericolo dell'amianto.
Le normative nazionali e regionali favoriscono la speculazione della green economy, l'assalto alla diligenza degli incentivi pubblici, senza i quali tale produzione sarebbe antieconomica. Lo sviluppo delle energie rinnovabili è possibile solo a patto di non consumare le risorse naturali, il suolo, l'acqua, l'aria e i boschi.

E' una linea sottile. In ballo c'è la nostra salute, le produzioni di qualità dell'agro-alimentare, lo sviluppo stesso della nostra economia. 
A nostro avviso gli incentivi dovrebbero essere appannaggio delle amministrazioni locali per progetti mirati al bene comune, favorire l'autonomia energetica di allevatori e agricoltori con piccoli impianti volti a smaltire deiezioni animali e scarti agricoli.

Nel luglio del 2011 la Regione Emilia Romagna, sotta la spinta dei comitati, ha promulgato normative più restrittive in tal senso. Si parla di escludere impianti a biogas dai territori del parmigiano-reggiano. 
Di limitare le coltivazioni energetiche e il loro uso per il biogas. 
Di alimentare le centrali a biomassa solo con scarti forestali.

Non vediamo, tuttavia, l'applicazione di alcuna restrizione nelle zone del grana. Le ditte richiedenti arrivano addirittura a minacciare i comuni di rivalsa economica nei loro confronti. Le coltivazioni energetiche non andrebbero limitate ma vietate perchè, oltre a rendere infertili i suoli, oltre a sottrarre terra a coltivazioni di pregio, 
inquinano pesantemente il mercato dell'affittanza agricola. Gli scarti 
forestali esistono solo se si fanno tagli. Nessun tagliaboschi o azienda di taglio recupera le ramaglie, le abbandona. Se una cooperativa raccogliesse ramaglie, sarebbero solo quelle dei suoi tagli e solo col taglio meccanizzato, il diradamento.

Tali restrizioni ci paiono solo formali. Noi vediamo autorità locali e sindaci che, sposata l'ideologia della green economy, danno permessi fragandosene dei loro concittadini. In alternativa, vediamo sindaci che temono di opporsi a direttive che vengono dall'alto.

Per questo abbiamo deciso che il problema di ogni singolo comitato è problema di tutti. Che la forza di tutti noi può pesare molto di più in ogni singola realtà locale.

Abbiamo deciso di formare un CONSORZIO di COMITATI per impedire lo scempio del nostro territorio.

Le decisioni che prenderanno le amministrazioni, allettate dallo sviluppo della green economy, soprattutto sulle biomasse, costituiscono una minaccia per l'ambiente . Alcune località sono già  direttamente minacciate da tali decisioni, altre già si aspettano il peggio per essere state sotto minaccia in passato, altre ancora hanno il sospetto che presto tocchi anche a loro.

Il  CONSORZIO DEI COMITATI deve essere inteso come una forma di assicurazione sul futuro.

La  proposta è di Reteambienteparma e del  comitato di Felino. Vi chiediamo di comunicare la vostra adesione per stabilire un incontro e decidere cosa fare.

Serioli Giuliano

Commento alla delibera G.C. Parma 81/6 : limitazioni all'uso delle ghiaie ofiolitiche


Dal 2008, anno di costituzione del comitato che si batte per la chiusura delle cave di “pietre verdi”, chiediamo invano alle amministrazioni pubbliche più direttamente interessate dalla presenza sul loro territorio di queste cave, di riconoscere l’esistenza di un problema a rilevanza sanitaria.
E di prendere le dovute misure.
Poche settimane sono trascorse dall’insediamento della nuova amministrazione di Parma ed ecco che il problema viene portato alla luce; la massa enorme di documentazione qualificata disponibile a sostegno delle nostre tesi ha convinto l’Amministrazione di Parma ad adottare un provvedimento immediato di limitazione nell’uso di questa tipologia di ghiaie, in quanto la dispersione delle fibre di amianto non interessa solo i luoghi di estrazione, ma tutto il percorso.
Rete Ambiente Parma plaude a questa decisione come importante punto di svolta che merita di essere divulgato e apprezzato come salutare atto amministrativo a tutela di tutti i cittadini, non solo di Parma.
Noi siamo fermamente convinti che il Ministero della Salute sulla questione cave ofioliti non potrà rinviare ancora a lungo la revisione della legge vigente in materia, ma intanto ci aspettiamo che Parma faccia seguire alla delibera di G.C.81/6 del 26/07 un provvedimento normativo che sancisca il divieto assoluto nell’utilizzo delle ”pietre verdi” provenienti da cave di cui è già stata accertata la presenza di amianto nella roccia madre, così come risulta dalla “Mappatura degli edifici pubblici o privati aperti al pubblico con presenza di amianto aggiornato al 30 settembre 2011”.
Un atto, quello che chiediamo, di coerenza e intelligenza che riconosciamo nelle corde dell’Amministrazione Pizzarotti. La speranza infine è quella che altre amministrazioni della nostra provincia seguano l'esempio del capoluogo per creare un quanto mai opportuno territorio libero da fibre di amianto provenienti dalle cave ofiolitiche.

Fabio Paterniti

mercoledì 8 agosto 2012

Neviano, la grande stufa buona

E' solo una caldaia, ha sottolineato Dall'Olio, nient'altro che una grossa stufa, che inquinerà molto meno di sette vecchie stufe di potenza equivalente.
Il leit motiv della serata a Neviano è stato questo, tranquillizzare, sminuire, presentare la centrale a cippato come una favola a lieto fine, da replicare ovunque nelle terre alte.
Un'assemblea a senso unico, senza alcun contraddittorio, dove a parlare erano gli stessi progettisti dell'impianto, quasi fosse una serata di promozione aziendale.
La grande stufa buona. Dall'Olio, capogruppo Pd a Parma, dovrebbe sapere che la grande maggioranza dei cittadini della montagna si è già dotata di moderne stufe a pellet o miste legna-pellet, impianti automatizzati che hanno emissioni dieci volte inferiori della centrale a cippato che verrà costruita.
Un articolo sul "Sole 24 ore" conferma il boom di vendita di stufe a pellet nel nostro paese nel 2011, 200 mila unità.
Abbiamo chiesto al sindaco Garbasi perché non incentivare la sostituzione completa delle vecchie stufe, invece di impegnare mezzo milione di euro tra centrale e teleriscaldamento.
Abbiamo chiesto perché non impiegare quei finanziamenti europei per il risparmio energetico, a partire dagli edifici pubblici.
Non sarebbe meglio pensare prima a come ridurre i consumi?
Di risposte nemmeno una.
E' chiaro che la decisione è calata dall'alto e non la si discute.
Regione e Provincia hanno deliberato di sviluppare queste centrali e le finanziano.
Dall'Olio ha fatto notare l'esiguità dei consumi, solo 4 mila tonnellate di cippato.
Tra quelle già funzionanti e quelle in cantiere rispetto alla quantità di legna tagliata nel 2009, 150 mila tonnellate.
Ha anche dichiarato che nel progetto complessivo si conta di arrivare a 24 centrali.
Un consumo crescente, e se tutte seguiranno l'esempio di Monchio che vuole fare anche cogenerazione, cioè produrre energia elettrica, ancora di più, visto che gli impianto rimarrebbero accesi anche d'estate.
Il rendimento di una centrale a cippato per produrre elettricità è molto basso, tra il 12 a il 15%, per cui quelle tonnellate di cippato delle 24 centrali dovranno essere moltiplicate per 6, che vuol dire arrivare a 70, 80 mila tonnellate.
E in effetti una volta installate, gli amministratori si chiederanno per quale motivo non si dovrebbe sfruttarle appieno trasformandole in cogenerazione come Monchio.
In assemblea i tecnici chiamati dal comune, tra cui l'ingegner Francescato, direttore nazionale di AIEL (azienda italiana energia dal legno), hanno subissato la platea per due ore con relazioni e slides su come siano efficienti e non inquinanti le caldaie che le loro aziende costruiscono ed impiantano.
E' roba loro, devono venderle, cosa potevano dire di diverso?
Sulle polveri però hanno dovuto ammettere che le emissioni sono tra i 40 e i 70 mg/ Nm3, cioè da 6 a 10 volte più inquinanti delle moderne caldaie automatizzate familiari.
Certo quei valori rientrano nei 100 mg/Nm3 stabiliti dalla normativa italiana, ma l'Europa sta spingendo per portare quei limiti a 30 mg/Nm3, perché c'è grande preoccupazione per gli effetti nocivi delle polveri fini sulla salute.
Le polveri da camino, che il filtro meccanico a multiciclone non abbatte minimamente, confermato dallo stesso Francescato, contengono carboni organici volatili (COV), idrocarburi policiclici aromatici (IPA), ossidi di metalli pesanti e diossine.
Queste sostanze sono velenose e mutagene e si attaccano alle particelle di polvere che poi noi respiriamo.
Questo non è terrorismo, è sapere scientifico comprovato.
Questo è il motivo per cui a Parma i cittadini hanno votato contro l'inceneritore.
Lungo le strade di montagna, tutti possono vedere le cataste che fanno ormai da contorno all'asfalto, dappertutto.
E' in atto un taglio forsennato dei boschi prodotto da una domanda speculativa del mercato della legna da ardere. Tali tagli hanno ormai superato la stessa domanda e il prezzo dei tronchetti accatastati è crollato dagli 8 euro al quintale di tre anni fa agli attuali 5,5 euro.
Tutti sono convinti che tale scempio non si fermerà.
Anzi, il crollo stesso del prezzo spingerà molti a tagliare di più per intascare almeno gli stessi soldi dell'anno prima.
Non ci stiamo riferendo ai boscaioli, che fanno correttamente il loro lavoro di sempre, ma a tutti coloro che assoldano immigrati in nero per farli lavorare al posto loro e per il proprio profitto.
Abbiamo sentito amministratori e tecnici affermare che oggi c'è il doppio di legna rispetto a quarant'anni fa e che non sarebbe un male se la si tagliasse, recuperando i prati di una volta e la biodiversità che questi rappresentavano.
Qualcuno, Bricoli, si è permesso di usare la biodiversità contro l'ambiente nel suo complesso. Veramente il colmo.
Tecnici che non si rendono conto che non si può tornare indietro, ma che soprattutto non si deve farlo per non innescare di nuovo il degrado idrogeologico imperante in quei tempi.
Non si può creare lavoro saccheggiando le risorse naturali e mettendo in forse la salute della gente.

Giuliano Serioli

martedì 7 agosto 2012

Impianto di biogas a San Martino in Rio

Sono partiti timidamente e continueranno ancora per tutto il 2012 i lavori per la costruzione dell’impianto biogas in via Casoni a Gazzata, frazione di San Martino in Rio. La struttura permetterà di produrre energia elettrica fino a 999 kWe dalla fermentazione indistinta di biomasse (liquami, prodotti agricoli, mais o triticale).
Entro la fine del 2012, salvo imprevisti, l’impianto verrà costruito, almeno per quel 70% che serve per l’allacciamento con l’energia elettrica e le funzionalità vitali, a partire dal digestore. Poi, per la fine effettiva dei lavori, quella che permetterà la produzione d’energia elettrica a pieno regime, si dovrà attendere almeno fino a giugno 2013.
Solo allora l'impianto a biogas entrerà a pieno regime producendo quei 999 kWe d’energia. Un limite, questo, che sembra quasi costruito a tavolino, ma che ha permesso il via libera dei lavori senza impicci. 
Bastava superare, infatti, la soglia del Megawatt perché il Comune ottenesse la richiesta di valutazioni più approfondite, specie ad impatto ambientale e un possibile veto di costruzione della Regione. Ma grazie alla scelta ragionata dei Kwe prodotti, la correggese Sammartein Biogas saarl (la ditta esecutrice) da pochi giorni ha potuto iniziare i primi lavori. Un impianto contro cui erano state mosse accuse, con l’unico fine di fermare la sua costruzione. Se da una parte i cittadini avevano sollevato dubbi sulla salute e la pericolosità dell’impianto, dall’altra il Movimento 5 Stelle aveva sollecitato la giunta di Vasco Errani con un’interrogazione, chiedendo il blocco dell’apparecchiatura: 
per legge, la sua costruzione sarebbe impossibile in un territorio di produzione di Parmigiano Reggiano. Una situazione che ha coinvolto addirittura l'amministrazione di San Martino in Rio (rea di aver autorizzato, il 28 luglio 2011, la costruzione) che, preoccupata dalla situazione, ha inviato a sua volta un’interrogazione ad Errani sulla 
nocività del biogas. Interrogazioni e perplessità sono servite a poco. 
L'impianto, infatti, tra pochi mesi entrerà in funzione e, secondo i costruttori, ci saranno solo vantaggi: ricavi per i contadini, nuova veste per l'agricoltura e nuovi posti di lavoro.