"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

giovedì 16 ottobre 2014

Inquinamento, la madre di tutte le alluvioni

Il disastro ha una firma umana

E' vero, come denuncia Legambiente, che la cementificazione è la causa principale del mancato assorbimento dell'acqua piovana, e di conseguenza del suo dilavamento rapido verso valle.
Anche perché, se la cementificazione è statisticamente all'8% del territorio nazionale nel suo complesso, nella realtà, contando le aree montane che lo sono molto meno, nella pianura padana si arriva al 15%.
E' vero anche che sono troppi gli enti che fanno previsioni meteo in modo separato e che monitorano per loro conto gli eventi atmosferici: Protezione Civile, Ente Bonifica, Provincia,o quello che ne rimane, Comuni.


Dovrebbe invece funzionare meglio una catena unica, come quella della protezione civile, ma certo ha sbagliato le sue previsioni.
Tutti le hanno sbagliate.
Nessuno poteva immaginare che in due ore cadessero 26 centimetri di pioggia, come a Bosco di Corniglio. Una quantità d'acqua che nessuno ha previsto, come è successo nel fine settimana a Genova, o nei mesi passati nella pedemontana veneta, a Valdobbiadene.
Il cambiamento climatico è già in atto e ci trova impreparati a riconoscerlo, interpretarlo, prevenirlo.
I giornali hanno battezzato il fenomeno come “bombe d'acqua”, indicandolo come un evento anomalo.
Ma non basta, occorre chiarirne la dinamica.
Le previsioni sulla quantità di pioggia sono tarate sugli eventi precedenti, sullo storico delle precipitazioni in determinate località e non tengono conto di fattori nuovi, come ad esempio la maggior energia in gioco.
Nel nostro Appennino, un inverno senza neve fino a mille metri ha comportato che il calore immagazzinato dalla terra nei mesi estivi non si sia disperso con il ghiaccio e il gelo.
E' rimasto quasi intatto e si è sommato a quello dell'irraggiamento solare dalla primavera in poi.
Nella nostra montagna c'è sempre stato un microclima particolarmente umido, con temporali e massimi pluviometrici, perché l'irraggiamento solare su una foresta compatta creava le condizioni di evotraspirazione che favorivano temporali frequenti.
Ma questo nuovo rapporto energetico tra terra e cielo ha creato le condizioni per una estate anomala, con piogge quasi tutti i giorni, quasi fosse la condensa dell'evaporazione che il calore, l'energia in gioco, sviluppava.
Con l'autunno arrivano fronti di correnti fredde di differente temperatura che impattano su tale sistema energetico, sulla massa di umidità in eccesso presente, svuotandola dall'acqua tutta in una volta, con le conseguenze che vediamo.
Abbiamo innescato un meccanismo che esegue semplicemente le istruzioni date.
La pressione delle attività umane ha portato al surriscaldamento terrestre.
L'ambiente, per liberarsi dell'eccesso di calore, se lo scrolla semplicemente di dosso.
E sarà sempre peggio.

Giuliano Serioli
16 ottobre 2014

Rete Ambiente Parma

per la salvaguardia del territorio parmense

venerdì 3 ottobre 2014

Dissest Economy

Il lato oscuro del green washing

Giovedì scorso, presso il circolo Zerbini, Rete Ambiente Parma ha organizzato un incontro con l’adesione di Lesignano Futura, Commissione Audit e l'associazione Gestione Corretta Rifiuti.
Si è parlato dei tagli dei boschi nel nostro appennino, del dissesto idrogeologico e della cosiddetta green economy, tre temi molto connessi tra loro.


A questo appuntamento tanti amanti della natura, ma anche attivisti di commissione Audit, Rifondazione, WWF, Slow Food, rappresentanti del comitato Palanzano, del Comitato di Felino, di Salviamo il Paesaggio.
Il primo intervento quello di Roberto Cavanna, Centro studi Monte Sporno, che ha mostrato e raccontato come vengono realizzati i tagli dei boschi, le condizioni dei sentieri e il paesaggio che si presenta dopo l'utilizzo scriteriato di motoseghe e mezzi pesanti.
Dalle foto del territorio della Val Baganza (è così in larga parte dell'appennino), un'area, che dovrebbe essere sotto tutela ambientale e con vincolo d'immutabilità, si è potuto capire quanto sia lontana la corretta gestione del patrimonio arboreo, a causa di tagli spesso non controllati e lasciati alla "competenza" di tagliatori improvvisati o non rispettosi delle norme vigenti.
Ci sono aree dove il taglio è stato realizzato lasciando una percentuale di matricine appena sufficiente, aree invece dove si è adottato un taglio raso, non lasciando in piedi nemmeno un albero.
Un altro elemento la "coincidenza" di alcuni tagli con la formazione di frane.
Esempio tipico la frana di Pietta nel Comune di Tizzano, e altre frane minori lungo la provinciale che da Calestano porta a Berceto.
Si taglia ovunque, vicino a una frana o su versanti fortemente in pendenza.
Difficile comprendere come le autorità non vedano tali pericoli.
Roberto Cavanna ha mostrato il taglio anche di alberi molto vecchi, utilissimi per il sostegno del suolo, anche con un diametro di un metro e più.
Piante secolari perse per sempre.
Un altro grosso problema è il dilavamento del suolo.
I solchi formatisi nel terreno vengono scavati dall'acqua, che non avendo più alberi che rallentano il suo deflusso, innescano una fase erosiva che porta smottamenti a valle.
L'utilizzo di mezzi pesanti per recuperare la legna tagliata, escavatori e caterpillar per creare vie d'accesso a trattori e camion creano strade che una volta terminata la missione vengono completamente abbandonate, provocando ulteriori erosioni.
Che peso ha la green economy sul territorio e sulle persone?
Giuliano Serioli si è posto la domanda su quali impianti servano alla montagna per sopravvivere, e le centrali a biomassa certo assomigliano di più ad una mera speculazione economica.
Tagliare migliaia di tonnellate di legna, disboscando l'appennino, bruciare e produrre una quantità misera di corrente elettrica, con un rendimento nell'ordine del 10%, è una follia.
Eppure la volontà della regione è di investire in centrali a biomassa, così come la Toscana, che intende realizzare impianti per 70 MW, che prevedono l'utilizzo di circa 700.000 tonnellate di legna ogni anno e un esborso di circa 42 milioni di euro, quando con una centrale a metano, meno impattante sotto il profilo dell'inquinamento da polveri e metalli pesanti, si spenderebbe circa la metà.
La strada per trovare energia è quella del risparmio, investire cioè quei 40 milioni nell'efficientamento energetico degli edifici.
La strada intrapresa dal mercato degli elettrodomestici, che oggi sono arrivati a rese energetiche inimmaginabili anni fa.
Gli impianti a biomassa invece portano sempre grandi problemi.
E' il caso del cogeneratore della Citterio a Poggio S.Ilario (Felino) che dopo lo stop per l'eccessiva acidità del grasso da bruciare, che potevano creare seri problemi al motore, ha risolto l'imbuto trattando lo scarto con reagenti chimici e soda caustica, soluzione poi sversata nel Rio S.Ilario, adiacente allo stabilimento, con conseguente inquinamento delle acque.
E la diffida arrivata dalla Provincia.
La strada da seguire per trovare un economia in montagna non può passare dal taglio indiscriminato dei boschi e dagli impianti a biomasse, ma da un piano di sviluppo rurale, turistico ed edilizio di recupero dei borghi ed efficientamento energetico.
Enzo Valloni, dell'università di Parma, ha portato l'esempio degli interventi contro l'erosione delle coste adriatiche, che avviene con annuali scarichi di tonnellate di sabbia, senza invece pensare a risolvere il problema a monte, cioè nei fiumi che non apportano più al mare la parte sedimentaria, che andrebbe a fermare il fenomeno erosivo.
Bisogna cambiare i PAES dei piccoli comuni della val Padana, in modo che prevedano di risolvere l’inquinamento del suolo agricolo da sversamenti di liquami degli allevamenti industriali.
Facendo sì che le 500 centrali a biogas esistenti, che digestano mangimi animali da coltivazioni dedicate, passino a trattare letame e, attraverso lo strippaggio dell’ammoniaca, producano biometano da autotrazione e da mettere in rete.

Andrea Ferrari

Rete Ambiente Parma

per la salvaguardia del territorio parmense