Come
distruggere in poche mosse una buona idea
Gli
indirizzi europei
Nel
2008 l'Unione Europea emanava una direttiva finalizzata alla
diminuzione progressiva delle emissioni di CO2, 20% in meno entro il
2020, con l'intento di sostituire le fonti fossili con altre fonti
rinnovabili, nella produzione di energia.
Da
allora, sotto la spinta degli incentivi statali, l'energia prodotta
da fonti rinnovabili ha avuto uno sviluppo prodigioso.
La
richiesta di potenza elettrica nel nostro Paese è stata nel 2014 di
307 Tera Watt/ora.
Quella
prodotta a livello termoelettrico è stata di 160 Twh, di cui circa
10 Twh sono stati prodotti da fonti rinnovabili (biomasse).
Quella
importata dall'estero è stata pari a 40 Twh.
La
produzione totale di energia elettrica da fonti rinnovabili è oggi
pari al 45% dell'energia prodotta.
Di
questa, circa il 25% è prodotta dall'idroelettrico e fa parte dello
storico della produzione, così come l'1,5% da geotermia.
Ma
circa il 20% della produzione è frutto di questo incessante
sviluppo.
La
produzione di energia da fotovoltaico è pari a 25 Twh, l'elettricità
da eolico a 15 Twh, da geotermia 5 Twh, quella idroelettrica è pari
a 63 Twh.
Centrali
che bruciano cippato producono energia elettrica per un ammontare di
400 Mw di potenza, pari a 3 Twh.
Da
1300 centrali a biogas si producono 7,4 Twh, pari al 2,5% dei
consumi.
L'idroelettrico,
il fotovoltaico, l'eolico e la geotermia sono fonti di energia
pulita, senza emissioni nocive e quindi preferibili a qualsiasi altra
fonte di energia.
Fotovoltaici
divoratori di suoli
Occorre
sottolineare come circa i 2/3 del fotovoltaico è costituito da
parchi fotovoltaici a terra, costruiti col metodo del
project-financing, cioè enti ed istituzioni pubbliche che hanno
proposto progetti attrattivi per capitali privati.
Inizialmente
i parchi fotovoltaici sono intestati ai Comuni, che poi però ne
girano la titolarità alle finanziarie che hanno messo i capitali,
che ottengono così anche gli incentivi pubblici maggiorati delle
spettanze dei Comuni, con qualche dubbio sulla moralità
dell'operazione.
Inoltre
questi 2/3 dei 25 Twh corrispondono a circa 10.000 parchi
fotovoltaici tra i 700 e i 1.500 Kwe di potenza, ognuno dei quali
copre circa 3 ettari di suolo, per un totale, così, di circa 30.000
ettari di consumo di suolo, pari a 300 km2, cioè 1/1000 dell'intera
superficie del nostro paese.
Che
non è poco, sommato a tutto il resto.
Non
dimentichiamo i parchi eolici in Appennino, costruiti a detrimento
del paesaggio e quasi del tutto inefficienti perché la velocità
media del vento non supera i 7 m/s, inferiore ai 12 m/s necessari per
una produzione efficiente di elettricità.
Si
tratta di pura speculazione, accaparramento di incentivi pubblici
senza vantaggi reali.
Un
esempio significativo è il parco eolico dei monti dell'Uccellina.
Biomasse,
moderni mangia boschi
Ma
l'energia da fonti rinnovabili su cui oggi si concentrano
maggiormente gli incentivi pubblici è quella ricavata da biomasse.
La
gran parte delle 1300 centrali a biogas (80%) è stata realizzata
nella pianura padana, notoriamente una delle aree più inquinate al
mondo.
Queste
centrali dovrebbero provvedere a bio-digestare scarti agricoli,
residuo organico della raccolta differenziata e reflui animali, ma in
realtà vengono alimentate con mangimi vegetali da coltivazioni
dedicate, come nel cremonese, sottraendo così terreno alle
coltivazioni agricole e inquinando il mercato dell'affittanza
agraria.
Il
biogas per poter essere utilizzato al meglio nei motori a
cogenerazione deve subire una complicata serie di depurazioni, senza
le quali si ha malfunzionamento, addirittura corrosione dei motori e
il tutto si riverbera in maggiori emissioni nocive.
Il
biogas che esce dal digestore non è pronto all'uso.
Deve
essere prima desolforato tramite lavaggio, poi deumidificato tramite
refrigerazione, quindi filtrato dalle polveri con filtri a sabbia che
trattengono il particolato.
A
loro volta le emissioni della cogenerazione prima di poter essere
rilasciate in aria devono subire un processo di lavaggio, passare
attraverso biofiltri e meglio ancora attraverso filtri a carboni
attivi, senza i quali non si abbattono le emissioni odorigene.
Ma
tutto questo vale solo nella teoria.
Un
impianto a biogas non è subordinato al rilascio di alcuna
autorizzazione alle emissioni in atmosfera, ai sensi dell'art. 269,
comma 14,parte V del D.Lgs. 152/2006.
Così
il computo emissivo, criterio sbandierato dalla Regione Emilia
Romagna, va a farsi benedire. Questo criterio limiterebbe nuove
installazioni solo in due casi: in sostituzione di vecchi impianti o
se l'intervento comporta una diminuzione dell'inquinamento.
Cogenerazione e trigenerazione, utilizzo del calore,
teleriscaldamento, efficienza energetica, piste ciclo-pedonali...
In
pratica si dice che queste centrali sono ammissibili solo se c'è
ricupero di calore e se questo serve per il teleriscaldamento.
Ma
non avviene mai.
Una
pista ciclo pedonale non può certo mitigare gli ossidi di azoto, le
polveri sottili e gli ossidi di metalli pesanti. Al limite ci può
distrarre dal problema, con una bella sgambata.
Non
si è in una posizione di contrasto al biogas tout court.
Il
biogas ha un senso solo se serve a trattare il residuo organico della
differenziata e i reflui zootecnici, con la finalità di produrre
biometano.
Nella
pianura padana gli allevamenti zootecnici industriali sono
innumerevoli.
I
loro reflui, se non trattati adeguatamente, inquinano il suolo e le
falde acquifere.
L'utilizzo
del biogas in un cogeneratore per produrre elettricità genera
emissioni nocive e polveri sottili, ma se lo si utilizza solo per
produrre biometano da autotrazione o da mettere in rete allora la
situazione cambia decisamente.
Con
il decreto governativo del 18 dicembre 2013 il biometano può essere
messo in rete e le aziende agricole che lo producono possono aprire
impianti di distribuzione di metano per autotrazione.
Gli
impianti che producono elettricità col biogas possono passare a
produrla col biometano.
Le
centrali a cippato, 400 Mw di potenza con una produzione di 3 Twh di
elettricità, sono localizzate per la metà in Alto Adige e Trentino
e per l'altra metà in Calabria e Puglia.
Al
Sud si tratta di impianti dichiaratamente speculativi, volti solo ad
accaparrare incentivi pubblici. Sono di proprietà di grandi aziende
nazionali e la legna che bruciano arriva via nave.
Si
tratta di scarti legnosi del taglio delle foreste equatoriali.
Le
emissioni nocive sono imponenti.
In
Trentino Alto Adige c'è maggiore attenzione all'ambiente.
I
grandi impianti a cippato nascono per iniziativa della regione e dei
comuni, fanno effettivamente cogenerazione e il calore, prodotto
insieme all'elettricità, non va perduto, viene utilizzato per il
teleriscaldamento delle abitazioni. Inoltre, gli incentivi pubblici
incamerati vengono usati anche per dotare al meglio la depurazione
dei cogeneratori e limitare il più possibile le emissioni nocive.
Tuttavia.
Dove
andare a recuperare i 2 milioni di tonnellate di cippato da bruciare
ogni anno?
Non
certo dai boschi di abeti della valle, che fanno la fortuna turistica
di queste regioni.
Il
cippato arriva dal porto di Rotterdam, la stessa origine del
carburante degli impianti calabresi e pugliesi. E a Rotterdam arriva
dai confini del mondo.
Cippato,
la versione di Parma
Arriviamo
all'Appennino parmense.
Sono
sostenibili le piccole centrali a cippato a Km 0 che stanno per
essere impiantate nelle terre alte?
La
Regione Emilia Romagna ha redatto il nuovo piano forestale per gli
anni 2014-2020.
Afferma
che sia in atto una forte tendenza all’abbandono delle attività
gestionali del bosco e per questo, pur riconfermando la primaria
funzione protettiva e di conservazione della biodiversità svolta
dalle nostre foreste, crede sia necessario introdurre sul piano
programmaticola moderna imprenditoria forestale, soprattutto a fini
energetici, della risorsa boschiva.
Si
chiama taglio industriale del bosco.
Come
in Toscana, che vuole impiantare centrali a cippato per 70 Mw/h
elettrici di potenza complessiva da piccole centrali sotto il Mw. per
produrre 1/2 Twh di elettricità.
Non
saranno nemmeno centrali di cogenerazione, perché d'inverno
funzioneranno come quella di Monchio solo per scaldare edifici
pubblici e famiglie collegate e d'estate solo per produrre poca
elettricità con un'efficienza del 10%.
Le
centrali toscane utilizzeranno cippatura di ramaglie, sfalci lungo le
strade e scarti di esbosco, non certo legna da ardere che ha un
prezzo di vendita al dettaglio doppio rispetto a quello del cippato,
12 euro la legna, 6 euro il cippato.
Ma
le stesse centrali a cippato solo termiche, di taglia inferiore al
Mw, sono sostenibili?
Molto
costose, hanno bisogno di manutenzione importante, non producono
posti di lavoro.
La
centrale di Monchio, un piccolo paese dell'Appennino Parmense, è
costata oltre 800 mila euro. Non possiede filtri per depurare le
emissioni, ha un multiciclone che serve solo ad abbattere le ceneri
volanti, la fuliggine.
Le
centrali dovrebbero servire in teoria ad abbattere le emissioni delle
vecchie stufe di paese.
Ma
non è più la realtà. Nei paesi di montagna, oltre alle stufe a
pellet con abbattimento delle emissioni, si vanno diffondendo
soprattutto stufe a legna a riciclo di fiamma con abbattimento dei
fumi, il cui costo non supera i 1.000, 1.500 euro.
Coi
soldi spesi per la centrale il Comune di Monchio avrebbe potuto
regalare una stufa a tutte le famiglie.
In
sostanza la AIEL stessa (azienda italiana energia dal legno) che
produce sia le caldaie a cippato che le stufe a pellet, ammette che
le emissioni di una stufa moderna a pellet o legna arriva a 45mg per
Nm3, mentre quelle teoriche di una centrale a cippato sono tra i 75
mg e i 150 mg per Nm3.
Ammette
cioè che una centrale a cippato è più inquinante delle moderne
stufe da casa.
Mentre
la legna bruciata nelle stufe è di proprietà e ben stagionata, il
cippato da ramaglie e da scarti di taglio è molto umido, brucia male
ed ha emissioni che vanno ben oltre quelle dichiarate.
La
centrale a cippato viene impiantata nel borgo capoluogo del Comune e
del teleriscaldamento ne usufruiscono solo i residenti.
E
tutti gli altri che abitano nelle frazioni?
Per
loro il comune non spende un soldo.
Le
centrali a cippato solo termiche sono uno specchietto per le
allodole.
Come
si è visto a Monchio ad esse si aggiungerà una turbina per produrre
elettricità, come nei piani della Regione Toscana, assolutamente
senza fare nemmeno cogenerazione.
E
la scelta dell'Europa, quell'indirizzo virtuoso e denso di futuro?
Se
ne andrà in fumo.
Di
cippato.
Chi
decide?
A
determinare le decisioni delle istituzioni, UE, governi degli stati
ed amministrazioni locali, sono le lobby della combustione, il
settore industriale di riferimento, che per il nostro Paese è
costituito dalle grandi utilities degli inceneritori, Iren, A2A,
Hera, da AIEL per caldaie a cippato e stufe, da Termoindustriale per
i motori lenti da cogenerazione.
Lobbies
che decidono assieme alle istituzioni il livelli di emissione, magari
addirittura superiori a quelle in vigore nel nord Europa se gli
impianti prodotti non sono in grado di rientrarvi, se la tecnologia
per abbattere le emissioni è troppo complessa e costosa.
Giuliano
Serioli
30
marzo 2015
Rete
Ambiente
Parma
per
la
salvaguardia
del
territorio
parmense