"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

mercoledì 21 novembre 2018

Felino, un convitato di pietra


Un patto di fiume nemmeno cominciato.
Un semplice elenco di cose da fare, senza contenuti che le tenessero assieme.
Tanta gente in un posto angusto che il sindaco di Felino Elisa Leoni voleva trasformare in un successo della sua iniziativa burocratica, senza riuscirvi.
I dirigenti di Aipo e il sindaco di Felino (dagli altri paesi, nessuno) si aspettavano quattro gatti volenterosi da piazzare ai tavoli, a cui far vedere alcune slide e raccogliere solo piccole osservazioni su qualche problema di strade o frane collegate al decorso del torrente Baganza.
Ma l'incontro come lo intendevano è saltato.



Non era materialmente possibile dividersi in tavoli, non c'era spazio e c'era troppa gente.
Soprattutto si sentiva nell'aria che ci si si aspettava dell'altro.
Cesare Azzali, presidente dell’Unione Industriali, ha posto subito la questione di sostanza.
Non bastava un elenco di temi generici, occorreva un'analisi, un contesto in cui inserire i vari temi di una problematica idrogeologica lungo l'asse del torrente. Visto che non veniva data né ce n'era l'intenzione si è alzato per andarsene.
A quel punto, per fermare L'Unione Industriali e cercare di salvare l'incontro, è intervenuto Meuccio Berselli di Aipo, che ha cercato di mediare tra l'esigenza di capire più in generale i problemi e la necessità di Aipo di avere delle carte compilate di problemi specifici lungo l'asse torrentizio e viario.
Mediare tra due esigenze, un dibattito a tutto campo e un incontro solo tecnico, ormai era impossibile.
Retetambiente Parma ha posto lo stesso tema di Azzali: non è possibile entrare nei dettagli se prima non viene fatta un'analisi a 360 gradi.
Il ruolo del bosco e dei tagli boschivi nel creare punti critici in caso di forti piogge, che porterebe a valle tutte le ramaglie abbandonate dopo i tagli.
Il problema del 20% di franosità del territorio montano che avrebbe concorso in modi differenti nel creare altrettante criticità.
Infine il vero convitato di pietra dell'incontro, la cassa d'espansione sul Baganza, adottata da Aipo. Tema, non a caso, sollevato da Luigi Fereoli chiedendo la possibilità di discutere eventuali alternative.
Aipo ha ribadito che il tema cassa fosse chiuso definitivamente e non all’ordine del giorno.
A quel punto Meuccio Berselli ha capito la piega che stava prendendo l’incontro e se ne è andato.
Se ne sono andati, poi, Cesare Azzali e quelli dell'Unione Industriali, che pochi giorni prima avevano avanzato sui giornali un progetto alternativo alla cassa d'espansione sul Baganza a firma di Stefano Orlandini, ordinario di costruzioni idrauliche di Unimore, che prevede una diga di contenimento ad Armorano, sopra Calestano.
Ha abbandonato l’incontro Reteambiente Parma e l'ingegner Roberto Colla, del comitato di Colorno, che in alternativa propongono di alzare gli argini del Baganza con sversamenti controllati nelle campagne a fianco, in caso di piena, per trattenere l'acqua in laghetti lungo l'asta del torrente in modo da usarla a livello agricolo durante la siccità estiva.
Il convitato di pietra si era fatto largo: si voleva ridiscutere della Cassa sul Baganza. Aipo no. Così è finita l'assemblea ed è saltato il Patto di fiume a Felino. Anche il Comitato contro la Cassa d'espansione ha abbandonato.
Non si poteva discutere di cosa fare in alto senza esser d'accordo su cosa fare in basso.
Una pietra sopra il patto.

Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma
salvaguardia e sostenibilità del territorio

lunedì 5 novembre 2018

Boschi in fumo


Pare che l'Istat non raccolga più dati sui tagli di legname nel nostro paese dal 2017.
Fino al 2016 però sono disponibili tutti i dati relativi.
Il Bilancio Energetico Nazionale riporta che nel 2016 il consumo di legna da ardere in Italia si è assestato su 25 milioni di tonnellate.
Circa il 20% di famiglie italiane si serve di legna da ardere per il riscaldamento.



Infatti negli ultimi anni sono state vendute 2 milioni di stufe a pellet e circa 300 Mega Watt termici ed elettrici sono stati prodotti dalle centrali a biomassa, frutto della speculazione che la cosiddetta green economy perpetua sulle nostre bollette, incamerando gli incentivi per la produzione di energia
"verde" e rilasciando in cambio polveri sottili e veleni per tutta la penisola.
Le centrali a biomassa, dall'Alto Adige alla Calabria, passando per Russi in Emilia, producono energia elettrica, disperdendo la gran parte di quella termica, e vengono alimentate quasi del tutto da legna importata dall'estero via nave, catalogata come scarto di deforestazione.
Sono esattamente i 3,3 milioni di tonnellate che troviamo nella relazione del Bilancio Energetico Nazionale quale legna importata.
A bilancio figurano quindi non più di 2 milioni di tonnellate di legna di produzione nazionale. Sembrerebbe che il prelievo di legna dai nostri boschi sia di conseguenza quasi nullo.
La superficie forestale del nostro paese, infatti, è di 10 milioni di ettari, cioè 100.000 km quadrati, un terzo della superficie del Paese.
A causa dell'abbandono della fascia montana dell'Appennino, tale superficie boscata ha un ritmo di crescita eccezionale, 1.000 metri quadrati al minuto, cioè circa 500 km quadrati all'anno.
Vuol dire che la superficie boscata immette ogni anno 5,45 milioni di tonnellate di legna prelevabile in più. Proprio uguale a quei 5,3 milioni di tonnellate di legna registrati a bilancio tra quella prodotta in chiaro e quella importata.
Occorre considerare però che l’accrescimento naturale non corrisponde ad alberi in più ma ad apparato fogliare accresciuto e cimali soltanto.
Ma allora tutti gli articoli di giornale sui tagli dissennati dei boschi, sui prelievi eccessivi che mettono a rischio frane il nostro paese sono una bufala?
Ovviamente no.
Se al consumo di legna da ardere (25 milioni di tonnellate) togliamo l'accrescimento naturale dei boschi, le importazioni e il taglio dichiarato in chiaro (in totale 10,3 milioni di tonnellate) restano ben 15 milioni di tonnellate di legna tagliata “in nero” sui monti del nostro paese.
Le autorità nazionali e locali che si vantano della crescita costante dei boschi, che è solo apparato fogliare in più, fanno finta di niente sui tagli nascosti.
Se la legna prelevabile cresce naturalmente ogni anno di 5 milioni di tonnellate, nello stesso tempo cala di 20 milioni di tonnellate per i tagli nascosti.
Il saldo negativo è evidente: ogni anno perdiamo 1.500 km quadrati di boschi, cioè 150.000 ettari (-1,5% ogni anno).
Lo mettiamo in rilievo, parliamo di boschi e non di superficie boschiva.
I nostri burocrati locali faranno a gara per rispondere a gran voce che non si perde niente, che non si tratta di superficie boschiva, che i boschi ricrescono.
A loro rispondiamo in anticipo che quelle superfici metteranno trent'anni a tornare come prima.
Ogni anno perdiamo una quota di bosco.
I tagli avvengono soprattutto sull’appennino tosco emiliano e su quello ligure, le zone più vicine alla grande diffusione di stufe a pellet, che quindi in questi ultimi 10 anni piccole matricine o piante di pochi anni hanno preso il posto di boschi invecchiati su circa il 25% della superficie boschiva di queste aree.
I tagli rasi sono quasi la totalità, lasciando solo cespuglieti.
Il danno idrogeologico è immane a fronte del cambiamento climatico.
Ci saranno sempre meno radici di piante adulte a trattenere i pendii del nostro Appennino, strutturalmente franoso di suo.
La superficie foliare, capace di contrastare le bombe d'acqua, sarà sempre minore.
Ne risentirà il paesaggio e il turismo, fonte principale di introiti economici per la nostra montagna.
Gli introiti della gran parte dei tagli vanno ad aziende che pagano in nero gente dell'Est Europa, esentasse.
Di questi soldi niente o poco rimane ad alimentare le economie dei borghi sempre più abbandonati, che devono ricorrere all'unità con comuni limitrofi per poter garantire i servizi minimi con economie di scala.
I dati sono tratti dal convegno promosso da AIEL del 23 febbrario 2018.

Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma
salvaguardia e sostenibilità del territorio