"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

sabato 20 ottobre 2018

Biomasse, una coltre nera nei polmoni


I tagli dissennati sul nostro appennino si susseguono.
Taglio raso di un'abetaia di 20 ettari nel reggiano a Succiso. Taglio sul Lavecchio e sul Fuso, su pendii ripidi attorno e sopra i 45° di pendenza, tali da provocare frane di scorrimento di un suolo strutturalmente sottile per le caratteristiche di impermeabilità del flysch omonimo.


Tutta la nostra montagna è soggetta a tagli sconsiderati di boschi. Motoseghe in mano a operatori dell'Est che lavorano in nero e che utilizzano attrezzature industriali per tagliare, cippare, trasportare, trasformando sentieri in carraie e mettendo a rischio interi pendii alle prime forti piogge.
Se qualcuno pensa ancora che l'energia da biomasse sia stata concepita per nobili fini ambientali si sbaglia di grosso.
Gli “scarti” legnosi sono ormai tutti diretti alle centrali a biomassa con grave danno anche all'industria del mobile che da questi scarti ricavava pannelli multistrato.
E' l'import, quindi, che sostiene la speculazione.
Alla scusa della pulizia dei boschi non crede più nessuno.
Pellet dalla Germania che utilizza legname bielorusso, pellet che viaggia per centinaia di km per tutta Europa. O cippato e ramaglie dall'Austria, dalla Croazia. Ma ci sono anche navi che portano in Europa materiale legnoso dall’Estremo Oriente e dalle Americhe, dove si tagliano foreste naturali. O cippato da piantagioni a rapida crescita (con uso di ogm e pesticidi) lungo il corso del Po.
L'uso di energia da biomasse non provoca solo aumento di polveri sottili ma anche di pericolosi microinquinanti. Nei fumi che si crerano con la combustione del legno sono presenti sostanze tossiche e cancerogene quali benzene, formaldeide, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), diossine, polveri fini ed ultrafini.
Un preciso marker è il benzopirene, una molecola da tempo classificata come cancerogena: dove si brucia legna la presenza di benzopirene aumenta nettamente. Eppure anche in aree critiche come la Pianura Padana, dove la soglia massima di benzopirene di 1 nanogrammo (milionesimo di grammo) fissata dalla Ue è già superata, si autorizzano centrali a cippato e a scarti legnosi da diversi megawatt termici se non decine e decine come in Trentino-Alto Adige o in Puglia e Calabria.
Mentre una centrale termoelettrica con caldaia e turbina alimentata a cippato ha una efficienza elettrica del 15%, una centrale termoelettrica moderna a gas naturale “turbo-gas” ha efficienze elettriche del 60%. Unita alla grande differenza nelle emissioni. Una centrale a biomasse legnose dovrebbe rispettare limiti di 20-30 mg/Nmc (metro cubo normalizzato alla pressione atmosferica e alla temperatura di 0°C.) di polveri totali. Una centrale a gas naturale emette polveri totali in misura inferiore a 1 mg/Nmc.
Enel, però, sottoutilizza le centrali a turbo-gas per obbedire al diktat dell'immissione prioritaria in rete di energia elettrica da biomasse. In Pianura Padana è un attentato alla salute, la scelta consapevole di far morire delle persone in più per favorire una pura speculazione finanziaria.
Studi epidemiologici sperimentali evidenziano una possibile correlazione tra esposizione a fumo di legna e effetti sulla salute.
Diminuita funzionalità polmonare, ridotta resistenza alle infezioni, aumento dell'incidenza e della gravità dell'asma. L'esposizione a fumo di legna produce effetti simili a quelli dell'inalazione di particelle da combustione di combustibili fossili. Forse peggio, come evidenziano statistiche che calcolano 480.000 morti in Europa per particolato e fumi.
Ci stiamo annerendo tutti quanti.
E solo per una questione di business.

Giuliano Serioli
Rete Ambiente Parma
salvaguardia e sostenibilità del territorio

lunedì 8 ottobre 2018

Energia, ambiente, sostenibilità


L'economia liberista e la finanza internazionale che la governa non trovano ostacoli alla loro espansione energivora.
Il consumo non riguarda però soltanto l’energia, ma soprattutto l'ambiente naturale dal quale essa viene estratta.
Tutte le amministrazioni locali cercano di contemperare, a parole, l'uso paesaggistico e turistico del bosco con "la sua valorizzazione economica".
E’ il mantra di oggi.
Sono consapevoli che i loro progetti di valorizzazione turistica dell'Appennino sono del tutto falliti. Parlano di coesistenza dei due aspetti, quando invece ormai puntano principalmente alla liberalizzazione del taglio boschivo.
L'ultimo fatto è la vendita all'impiedi di un'abetaia di 20 ettari nella zona di Succiso per 0.80 euro a quintale per 4.500 quintali complessivi.
L'ha venduta il Consorzio omonimo ad una ditta austriaca e ne ricaverà la miseria di neanche 40.000 euro.
Non è un caso isolato. La regione ha fatto nascere consorzi forestali per organizzare minutamente tale spoliazione dei boschi, in modo da non comparire direttamente.
I consorzi raggruppano proprietari privati e proprietà pubbliche indivise, le comunalie. Ci sono sempre meno cooperative di taglio locali. I consorzi vendono ettari di bosco a ditte che sfruttano il
lavoro nero di extracomunitari. Questo avviene soprattutto perché si è sviluppata enormemente la produzione di stufe a pellet, oltre che quella di centrali a biomassa.
La domanda di legna da ardere dipende quindi dallo sviluppo del settore industriale della combustione, che ha sostituto completamente il gpl in montagna.
I bomboloni del gpl, quando non dismessi, servono solo a cucinare. A riscaldare si è tornati ad usare la legna.
Nei nostri monti, la green economy ha prodotto solo combustione di biomasse di legna. Con uno sviluppo abnorme di emissioni di polveri sottili e sostanze cancerogene, come il benzopirene. Ma la combustione di pellet si è sviluppata soprattutto nell'alta pianura. I cilindretti di pellet derivano dalla lavorazione ad alta temperatura e pressione della legna sminuzzata.
Siamo arrivati al punto che le autorità che favoriscono i tagli boschivi sono le stesse che dal 1° ottobre 2018 impongono di non accendere le stufe a pellet sotto i 350 metri di altitudine, nella fascia di alta pianura dove è massima la loro diffusione e dove costante è la nube di polveri gravemente nocive alla salute.
Sono temi con cui occorre confrontarsi da subito.
Si tende a credere che tecnologie innovative risolveranno qualsiasi problema, ma non è ciò che sta avvenendo. Le innovazioni tecnologiche nella combustione di biomasse non riescono a garantire filtri sufficienti a fermare l'emissione di polveri, come il gravissimo dato di emissione di benzopirene in Trentino Alto Adige conferma, e quindi portano all'abnorme sviluppo di sostanze nocive nella pianura Padana, già congestionata dai fumi industriali.
Al punto che dopo aver venduto centinaia di migliaia di stufe si è arrivate al paradosso di vietarne l'accensione.
Non occorrono tanto tecnologie, quanto strategie per affrontare la questione delle risorse naturali con una popolazione che cresce esponenzialmente.
Per affrontare i temi ecologici impellenti, l'enorme espandersi dell'urbanizzazione nel pianeta, le migrazioni che non cesseranno perché spinte sempre più dall'impoverimento dei più e dal vorticoso circolare di immagini di ricchezza del primo mondo.
L'immaginario attuale ci ripropone di continuo una soluzione globalista dei problemi, intesa come sviluppo economico-finanziario incessante. Ma è pura mitologia. Occorre pensare invece a soluzioni per il piccolo, per micro comunità immerse nella natura, opposte a metropoli senza fine come suggerisce l'attuale economia di scala. Architetture semplici, integrate nella natura, invece di grattacieli che superino le nuvole come nelle metropoli.
Occorre pensare alla montagna e ai boschi come ad un bene da conservare ed accrescere non solo per lo sviluppo turistico, ma soprattutto per piccoli insediamenti produttivi agricoli e di allevamento animale. Non ha senso che non ci siano mucche al pascolo in montagna e che siano costrette in allevamenti industriali in cui non vedono mai il cielo e l'erba, come a Selvanizza, Monchio e Tizzano.
Il progresso non è tanto nell'evoluzione tecnologica quanto in quella morale, in cui inquadrare lo sviluppo industriale medesimo.
La produzione di merci non deve essere fine a se stessa, cioè tesa alla massimizzazione del profitto e alla distruzione di risorse, ma contemperare la conservazione delle stesse. Anche perché una produzione di merci sempre più massiccia ci porterà presto alla loro invendibilità, ad una crisi di sovraproduzione che creerà un'ennesima crisi finanziaria, come le attuali bolle del debito preconizzano.
Occorre pensare il futuro come liberazione da ogni forma di prevaricazione, liberazione da ogni domesticazione dell'uomo attraverso immagini di potere e ricchezza. Occorre fermare tutto questo, investire più sull'innovazione sociale che tecnica.
Occorre un'innovazione che scardini il principio della proprietà e della divisione del lavoro che la società automatizzata dovrebbe addirittura amplificare.

Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma
salvaguardia e sostenibilità del territorio