"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

lunedì 26 novembre 2012

La Regione benedice la cogenerazione da legna

Di fronte ad un pubblico di sindaci, amministratori e funzionari, il sindaco di Monchio Moretti ha annunciato che la centrale termica a cippato, andata in funzione un anno fa, d'ora in poi farà anche cogenerazione, produrrà energia elettrica e incamererà gli incentivi pubblici.
A benedire l'iniziativa il vicepresidente della Regione, Simonetta Saliera.
"Un cerchio virtuoso si chiude, ha affermato. Dal fotovoltaico al teleriscaldamento per gli anziani,  dai nuovi posti di lavoro creati con la cooperativa di taglio al cippato fornito da questa per la produzione di energia elettrica della centrale."
Le centrali a cippato per i borghi dell'Appennino, propugnate da Dall'Olio e dalla Provincia, a sentir loro dovevano produrre solo calore e bruciare limitate quantità di legna.
Ora si apprende che il progetto prevedeva anche la cogenerazione, che Moretti fa solo l'apripista della politica della Regione, che d'ora in poi in montagna si brucerà molto di più.
Si perchè, essendo molto basso il rendimento di una centrale a legna, per produrre anche energia elettrica occorrerà 10 volte più cippato che non per produrre solo calore.
Per intenderci, la  centrale di Monchio l'anno scorso ha bruciato 3.000 quintali di cippato ma l'anno venturo, con la cogenerazione, ne brucerà 30.000 quintali, cioè 30 ettari di bosco.
A parte ogni considerazione sulle emissioni nocive che assumeranno carattere industriale, ammorbando l'aria della fascia dei crinali, si deve aver ben chiaro che ogni anno si dovrà tagliare una bella fetta di boschi.
Alla faccia della sostenibilità, considerando che tali tagli si sommeranno a quelli già in atto per la speculazione sulla legna da ardere.
Ha senso finanziare una cooperativa di taglio industriale quando  la montagna viene già predata selvaggiamente della sua risorsa legna?
Ha senso buttare più di un milione di euro di fondi europi, regionali e provinciali in un progetto che produce poca energia ad un costo altissimo di risorse naturali?
Non è forse più ragionevole investirli nel risparmio energetico, ristrutturando i borghi e creando immediato lavoro nell'edilizia, a sua volta volano dell'attività turistico-ricettiva?

Nell'assemblea questo discorso non abbiamo potuto farlo, ci è  stato impedito.
La partecipazione e la pluralità delle voci non abitano più qui.

Serioli Giuliano

martedì 6 novembre 2012

Laterlite, l'ambiente, la salute

Sabato 20 ottobre Laterlite ha illustrato sulla Gazzetta di Parma la propria attività, proponendosi come società sensibile ai temi ambientali e con un irrilevante impatto sul territorio.

Oggi sarebbe davvero difficile autorizzare un impianto privato di co-incenerimento di rifiuti pericolosi, tenendo conto del principio di precauzione, del buon senso e della legge, che impone una distanza minima di 500 metri dal primo centro abitato, regola che ci illumina sul potenziale 
impatto di impianti insalubri di prima classe come è quello di Laterlite.

Il comitato Rubbiano per la vita non ha mai negato la legittimità di un’attività privata, autorizzata al coincenerimento di 65000 tonnellate all'anno di rifiuti pericolosi nell'ambito della propria attività, ma desidera dare voce ai cittadini che pongono domande sul potenziale impatto ambientale e quindi sanitario, data la quantità delle emissioni inquinanti, ancorché normate dalla legge vigente. Purtroppo gli annunci dell’azienda non contribuiscono a rasserenare e tranquillizzare le persone che vivono nei pressi di tale realtà, un territorio, ricordiamolo, fortemente antropizzato, di grande pregio naturalistico, situato al centro della food valley.

Il comitato da sempre vuole essere attento alle criticità ambientali con particolare attenzione alle possibili conseguenze sulla salute umana e per questo si muove su tre obiettivi principali:

1) La riduzione degli inquinanti immessi in atmosfera, che come prescrive Aia (Autorizzazione Integrata Ambiente), devono diminuire; 
2) L'integrazione, intensificazione e trasparenza dei controlli eseguiti da Arpa, organo preposto; 
3) L'informazione puntuale sull'autorizzazione e sui dati forniti.

Ci pare doveroso entrare nel merito delle questioni, per dare il nostro contributo.

Ci poniamo alcune domande.

Laterlite è in grado di garantire che le sostanze inquinanti che immette in atmosfera, ancorché sotto la soglia di legge, non abbiano un impatto ambientale e quindi sanitario, così come l’estrema positività al test sulla mutagenesi di tutto ciò che esce dal camino?

Perché la diossina immessa in atmosfera negli ultimi 5 anni, si è moltiplicata 50 volte, attestandosi agli 0,5 grammi del 2011, travisando lo spirito dell’Aia?

Perché il valore degli ossidi di azoto Nox (pericoloso inquinante) è pubblicato ridotto di circa il 50% rispetto ai valori realmente emessi, in contrasto col principio di trasparenza?

Perché ai cittadini non è consentito partecipare alla conferenza dei servizi, momento decisionale molto importante in cui si possono modificare le caratteristiche di questi impianti?

In mancanza di risposte esaurienti e definitive, non ci pare che identificarsi, come fa Laterlite, come una azienda leader nel proprio settore ci metta al riparo dalle possibili conseguenze provocate sull'ambiente.

Il comitato si è fatto promotore di alcune analisi su matrici ambientali che, senza accusare nessuno, tanto meno Laterlite, hanno evidenziato uno stato di salute del territorio in cui viviamo perlomeno critico.

Per questo motivo i nostri sforzi si moltiplicheranno per raggiungere gli obiettivi individuati.

Una riflessione particolare crediamo vada fatta su come si liquida, forse in modo frettoloso, il potenziale impatto ambientale, insistendo sul fatto che le emissioni sono a norma di legge e certificate dai controlli dell’ente preposto.

Ricordiamo che nemmeno i camini dell'Ilva di Taranto presentano valori emissivi fuori legge, ma si ritiene ora che l’accumulo nel tempo abbia provocato le gravi conseguenze che sono agli onori della cronaca in questi giorni, considerazione che ci spinge a consigliare a tutti la massima prudenza.

Altra doverosa precisazione riguarda i rifiuti pericolosi trattati a Rubbiano, diversamente da quanto riportato dall'azienda, destano in noi preoccupazione. Nel 2010, sono state trattate, tra l’altro, emulsioni per circuiti idraulici, codice CER 130105, emulsioni oleose, codice CER 130507, emulsioni per macchinari, codice CER 120109, rifiuti pericolosi, che apparentemente non sembrano avere caratteristiche tali da poter sostituire il gas metano, in quanto a potere calorico come prescrive l’Aia vigente.

Dalle considerazioni espresse dall'amministratore delegato apprendiamo che il mercato ha subito una forte contrazione valutata in un calo del 50% dal 2007, cui però non ha corrisposto un dimezzamento dei rifiuti pericolosi trattati che sono utilizzati da allora in quantità invariata.

Se l’utilizzo dei rifiuti pericolosi è strettamente legato alla produzione, non si comprende come a un calo di produttività non sia seguito un corrispondente calo dei rifiuti utilizzati.

Il comitato intende proporre questi e altri argomenti di discussione che ritiene meritevoli di attenzione e approfondimento, nella sede legittima che è l’Osservatorio Ambientale, che il 4 luglio scorso vide con unanimità di consensi la sua rinascita.

Purtroppo ad oggi non è stato ancora convocato.

Non vi è alcuna intenzione persecutoria né diffamatoria da parte del Comitato Rubbiano per la Vita nei confronti di Laterlite.

Riteniamo invece che si stia aprendo solo ora un legittimo dibattito sulla gestione del territorio, che democraticamente riguarda tutte le sue componenti, ma soprattutto i cittadini che su quel territorio ci vivono con le proprie famiglie ed hanno il diritto di essere informati e di conoscere nella massima trasparenza, tutte le scelte strategiche che riguardano grandi impianti industriali come Laterlite.

Comitato Rubbiano per la Vita

sabato 3 novembre 2012

comitato al Poggio ( no cogeneratore ad olio animale)

Un cogeneratore a olio animale sta per essere installato al Poggio di S.Ilario , frazione di Felino.
Questo impianto verrà costruito a fianco di uno stabilimento che produce prosciutto di Parma e che affetta lo stesso prosciutto nelle vaschette.

Cos'è un cogeneratore a olio animale?
In questo impianto gli scarti della lavorazione del prosciutto, cioè ossa e grasso, verranno triturati e cotti fino ad ottenere olio animale, usato poi come combustibile in un motore a cogenerazione che produrrà energia elettrica.

Un cogeneratore a olio animale inquina?
Usare i grassi colati come combustibile in un motore causa emissioni di ossidi di azoto in misura superiore al gasolio, e i depositi che si formano agli iniettori del motore causano emissioni del ‘particolato’ .
Il particolato, anche noto come ‘polveri sottili’ , è l'inquinante che oggi è considerato di maggiore impatto nelle aree urbane, ed è composto da tutte quelle particelle solide e liquide disperse nell'atmosfera.

Quali effetti ci sono sulla salute umana?
Il particolato ha effetti diversi sulla salute umana ed animale; grazie alla piccolissime dimensioni queste particelle possono raggiungere laringe, trachea, polmoni e alveoli, e qui rilasciare parte delle sostanze inquinanti che trasportano; tra i disturbi attribuiti al particolato fine e ultra fine vi sono patologie acute e croniche a carico dell'apparato respiratorio (asma, bronchiti, enfisema, allergia, tumori) e cardiocircolatorio (aggravamento dei sintomi cardiaci nei soggetti predisposti).

Quali effetti ci sono sull'ambiente?
Questo pulviscolo ha effetti nella propagazione e nell'assorbimento delle radiazioni solari, sulla visibilità atmosferica e nei processi di condensazione del vapore acqueo, cioè favorisce smog e nebbie.

Perché le nostre amministrazioni pubbliche e sanitarie permettono la realizzazione di questi impianti nei nostri centri abitati ?
Perché si permette ad una industria alimentare che produce cibo che noi consumiamo tutti i giorni di costruirsi a fianco un impianto tanto inquinante ?
Perché espongono le nostre famiglie, i prodotti della nostra terra (prosciutti e formaggi) a questo inquinamento?
Che sviluppo sostenibile , quale tutela ambientale ci può mai essere se si bruciano prodotti più inquinanti di quelli attualmente usati?

Noi siamo contrari a questo impianto che inquinerà per sempre il nostro futuro.

Dacci il tuo sostegno,
questa terra è anche tua.

giovedì 25 ottobre 2012

Pietre Verdi, ultimo atto?

La risoluzione Sel Verdi è stata approvata in assemblea regionale e impegna la Giunta ad andare verso la graduale chiusura e riconversione delle cave ofiolitiche presenti sul suolo regionale.

Nel 2010 la proposta similare del Movimento 5 Stelle era stata bocciata dalle stessa aula, tra l'indifferenza generale.

La rivincita del 5 Stelle è però arrivata con la decisione del comune di Parma di vietare l'utilizzo delle pietre verdi su tutto il territorio comunale, un atto che ha fatto da apripista per il pronunciamento regionale.

Per la fine dell'anno dovrebbe vedere la luce una nuova legge sulle cave, che recepirà le indicazioni emerse dal voto assembleare.


Era stata la stessa regione, nel 2004, con lo studio Pietreverdi,

http://www.arpa.emr.it/pubblicazioni/amianto/generale_1281.asp

a mettere nero su bianco i rischi connessi con l'attività di estrazione di questa particolare pietra nera, tenera e poco costosa per la lavorazione, ma dal grande impatto ambientale e sanitario, visto che contiene fibre di amianto in quantità differenti in base alla tipologia.

Nello stesso volume si era sottolineato come “l’OMS ha riconosciuto l’impossibilità di individuare un valore soglia di concentrazione di fibre di amianto nell’aria al di sotto del quale non ci sia rischio.”

Nel territorio di Parma e Provincia esistono molti giacimenti affioranti, 8 le cave attive, ed in particolare a Bardi, Pietranera, e a Borgotaro, Roccamurata, si sono attivati comitati di cittadini per fare luce sulla situazione e richiederne la chiusura.

Si tratta di Cave all'amianto no grazie, http://www.caveallamiantonograzie.info/

e No Cava Le Predelle http://www.roccamurata.com/

In Italia, è possibile dimensionare il fenomeno dei decessi per malattie asbestocorrelate intorno ai 3.000 casi l'anno. E a morire non sono solo i lavoratori, ma anche le persone il cui unico torto è stato quello di abitare nelle vicinanza di un sito contaminato.

La triste contabilità delle vittime in Italia raggiungerà un picco tra il 2015 e il 2018, mentre in Europa occidentale le proiezioni si attestano su 500.000 morti nei primi 30 anni del 2000.

Il fermo no alle cave ofiolitiche arriva anche da scienziati esperti: “Solo una comunità irresponsabile può decidere di manipolare, movimentare e commercializzare una merce a rischio cancerogeno; la ratio di questa scelta pare essere unicamente il margine di profitto economico per chi coltiva la cava”, Prof. Vito Totire - medico del lavoro, docente di igiene e sanità pubblica Università di Venezia.

Insomma l'evidenza del rischio sanitario c'è.

Che ci siano ancora delle cave aperte che liberano in atmosfera questa micidiali fibre sembra davvero una assurdità. Non sarà mai troppo presto per chiuderle definitivamente.


Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR

martedì 16 ottobre 2012

La montagna spogliata

La montagna sta morendo.
I primi a dirlo sono i montanari stessi
Tutti ne parlano, tutti temono che la cosa si avvererà.
Chiunque prometta soldi, non importa per cosa, è ben accetto.
I tagli fanno assomigliare i boschi alla gruviera,il formaggio coi buchi.
Ma la realtà è peggio di ciò che appare perchè molti hanno capito di  dover tagliare nei retroversanti, lontano dalla visibilità delle strade.
L'agricoltura e l'allevamento tradizionali sono spariti. L'agricoltura industriale ha sbaragliato il campo. L'artigianato è ormai del tutto soppiantato dall'industria manifatturiera.
I famosi saperi e mestieri, di cui i politici si riempiono la bocca, rischiano di finire dimenticati definitivamente in qualche museo.
La montagna ha cominciato ad essere abbandonata da tempo e non si vede uno spiraglio di attività economica che tenga su i giovani, mentre la città appare loro con tutto il luccichio delle promesse di soldi, sesso e socialità.
Un funzionario della Provincia ha detto che "siamo seduti su un altro petrolio"e il mercato della legna da ardere ha risposto aumentando la domanda, complice la crisi economica e il prezzo dei carburanti.
In montagna, molti si sentono spinti a tagliare più legna possibile, come fossero consapevoli che si stanno dividendo le spoglie di un mondo destinato a sparire.
Nell'indifferenza delle amministrazioni.
Anzi, con amministratori pronti a giustificare la cosa e a raccontare in giro che, essendoci il doppio di boschi di quarant'anni fa, si può arrivare a tagliare tutto ciò che è ricresciuto, recuperando ( udite, udite! ) la biodiversità dei prati di una volta.

Cosa dirà di ciò la Regione che afferma la rinnovabilità intoccabile e al 4% massimo del totale dei boschi ?

Gli unici dati sul taglio dei boschi forniti da Provincia e Comunità Montana sono del 2010 e si riferiscono al quinquennio precedente. Fino al 2008 gli ettari richiesti al taglio erano più o meno gli stessi. Nel 2009, di botto, quasi raddoppiano : 2.000 ettari, corrispondenti a circa 200.000 t.

Da allora più nessun dato esce dalle amministrazioni.

La percezione è che ogni anno vi sia un ulteriore incremento dei tagli.
Percezione confermata dai muri di legna tagliata ai lati delle strade, da interi versanti denudati e soggetti a futuro dissesto idrogeologico, dalla rabbia dei boscaioli per imprese di taglio che nascono da un giorno all'altro utilizzando in nero gente dell'est-europa, dalle stesse voci allarmate di alcuni sindaci.
Ma, soprattutto, confermata dall'analisi dei dati nazionali degli stessi operatori del settore.
Da Annalisa Paniz, di AIEL (Associazione Italiana Energie Agroforestali), viene la fotografia del settore che vede l’Italia prima nel mondo per importazione di legna da ardere e prima in Europa anche nella produzione e vendita delle stufe a pellet. “Le biomasse legnose consumate dagli italiani nel 2012 saranno vicine ai 20 milioni di tonnellate: per l’80% (16 milioni di t.) costituite da legna da ardere e per il 9% da pellet (2 milioni)".
" Si prevede che nel 2012 siano importati in Italia ben 3,3 milioni di tonnellate di legna da ardere", dice la Coldiretti.
La biomassa legnosa prelevabile annualmente, senza pregiudicare la rinnovabilità, è stimata nel 4% del totale del ceduo presente nel nostro paese, 3.663.000 ha circa, e pari a 14.620.000 t.
Conoscendo la stima dei consumi previsti per il 2012, circa 16.000.000 di t. e quella della legna da ardere importata, 3.300.0000 t., si può arrivare facilmente alla stima della legna effettivamente tagliata, cioè
16.000.000 - 3.300.000 = 12.700.000 t. di legna, pericolosamente vicina alla soglia di rinnovabilità ( 14,6 mln ).
Se però si aggiunge la previsione del pellet prodotto nel 2012, circa 800.000 t. si arriva a 13.500.000 t. di legna tagliata, pari al 92% dell'interesse, oltre il quale vien meno la sostenibilità e si comincia ad intaccare la
rinnovabilità.
Ma questi sono dati nazionali. Nella realtà ci sono regioni in cui si taglia di meno ed altre di più. L'Appennino Tosco-Emiliano è il fornitare più rigoglioso e vicino dell'enorme mercato della pianura padana e delle centrali a cippato impiantate nelle Alpi.
Il dissesto delle strade di montagna, lo sfondamento in certi casi del manto d'asfalto per il via e vai dei camion di legna, testimonia ampiamente quanto supposto: che la rinnovabilità dei boschi del nostro  appennino sia già intaccata.

La speculazione sulla legna e i tagli si fermeranno?

Da soli no.

La green economy applicata alle biomasse si è sommata al mercato della legna da ardere, moltiplicando la domanda. Legna portata via coi camion per essere cippata e bruciata chissà dove o trasformata in pellet. Nel
2011 sono state vendute in Italia 200.000 stufe a pellet!
I tagli si sono moltiplicati al punto che l'offerta ha superato di gran lunga la domanda, portando il prezzo di vendita dagli 8 euro al quintale iniziali, agli attuali 5,5 euro.

E'pensabile che si tagli di meno per riequilibrare il prezzo di mercato?

No, sarà il contrario!
La gente che si è abituata a quella fonte di denaro non sarà disposta a rinunciarvi, men che meno con la crisi in atto. Anzi, taglierà di più per raggiungere lo stesso gruzzolo dell'anno precedente. D'altra parte il ribasso dei prezzi di mercato della legna non farà altro che renderla sempre più conveniente rispetto a quello dei carburanti fossili e più appetibile per un sempre più vasto bacino di utenti.
Una spirale senza fine che arriverà a consumare i nostri boschi.
Cui seguirà il dissesto idrogeologico diffuso, l'inquinamento delle acque e dell'aria.
La montagna, lasciata a se stessa e alla miopia dello sfruttamento delle sue risorse, diventerà terra di conquista.
Con lo sviluppo, poi, delle centrali termiche a cippato anche nella nostra provincia, della cogenerazione per produrre energia elettrica (Monchio) e delle aziende di taglio industriale della legna (Albareto e Neviano), le amministrazioni sembrano accettare il dettato della green economy: soldi in cambio di risorse.

Cosa può salvare la montagna?

L'uso delle rinnovabili senza intaccare le risorse può far rinascere i borghi.
Le innovazioni tecnologiche possono legarsi agli antichi mestieri, farli rivivere.
Il solare fotovoltaico e il solare termico uniti alla ristrutturazione dei borghi per il risparmio energetico possono essere il volano di nuova occupazione e di autonomia energetica.
Possono costruire la base ricettiva adeguata per un turismo diverso da quello di massa.
Un turismo capace di far nascere la domanda di produzioni alimentari biologiche e artigianali di pregio. L'Alto Adige e il Trentino insegnano.
I fondi europei, quelli regionali e provinciali devono andare al risparmio energetico che vuol dire edilizia. Devono allargarsi alle produzioni alimentari di eccellenza ed alla ricezione turistica diffusa dei borghi. Solo così la montagna non perderà i suoi giovani, anzi ne attirerà altri dalla città.

Il principio deve essere che l'economia non deve consumare le risorse.

Serioli Giuliano

martedì 9 ottobre 2012

Barilla & Laterlite, convivenza possibile?

Si inaugura il nuovo stabilimento di Rubbiano a fianco di Laterlite, co-inceneritore di rifiuti speciali e pericolosi. Quale compatibilità?


Lunedì 8 ottobre giungerà a Rubbiano il Presidente del Consiglio Mario Monti per inaugurare il nuovo stabilimento che Barilla ha realizzato a fianco dell’insediamento storico.

Il sito produttivo è costato circa 50 milioni di euro e permetterà all'azienda di internalizzare la produzione dei sughi pronti, mercato in forte crescita in Europa.

Non abbiamo però notato nessuna considerazione sulla localizzazione del nuovo polo produttivo, i cui impianti sono situati a poche centinaia di metri dal camino del co-inceneritore di Laterlite. L'azienda, che produce Leca ed altri isolanti per l'edilizia, incenerisce ogni anno oltre 60 mila tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi, in particolare oli esausti ed emulsioni oleose, per alimentare il forno di cottura. Tale attività immette in atmosfera 100 mila metri cubi all'ora di aria contenente inquinanti come diossine, metalli pesanti, ossidi di azoto e zolfo, idrocarburi policiclici, policlorobifenili, ed altre molecole preoccupanti.

Da tempo il Comitato Rubbiano per la Vita pone la questione dell’impatto ambientale di questa attività, proprio ed anche in relazione alla posizione centrale rispetto alla Food Valley. I nostri territori, alla congiunzione tra Valtaro e Valceno, fanno delle condizioni ambientali e delle attività agroalimentari un proprio punto di forza.

Da una parte uno dei marchi simbolo del food emiliano ed italiano, che fa della qualità e della sicurezza dei cibi uno dei propri dogmi aziendali.

Dall'altra un'attività insalubre e di riconosciuto impatto ambientale, così come certificato dall'autorizzazione attualmente in vigore, che parla appunto di combustione di rifiuti pericolosi.

Il pastificio più importante d'Italia ritiene che un co-inceneritore di rifiuti pericolosi situato accanto al proprio polo produttivo abbia un impatto trascurabile?

Non vi è nulla da eccepire e segnalare rispetto al potenziale impatto ambientale e sanitario dell’attività di co-incenerimento di Laterlite? Si pensa di mettere in campo azioni di controllo delle condizioni ambientali (aria, acqua e terreni) anche per tutelare i propri dipendenti che aumenteranno notevolmente?

Le domande sono per tutti.
I sindacati, ad esempio, sono solo organismi di tutela dei lavoratori e delle loro condizioni contrattuali oppure si occupano anche della salubrità e dell’ambiente in cui i lavoratori operano? E l’AUSL, data la presenza di tante attività agricole ed agroalimentari, ritiene del tutto inutile un monitoraggio delle matrici ambientali per valutare le reali condizioni del territorio?

I Consorzi di tutela di Parmigiano-Reggiano e Prosciutto di Parma, come giustificano un impianto in zona di produzione DOP?

Domande per ora senza risposte, che noi continueremo tenacemente a riproporre.

Quotidianamente vengono sponsorizzate azioni rivolte alla sostenibilità ed alla tutela dell'ambiente, vedi il “Center for Food & Nutrition”, tutti i giorni nei comunicati e sui siti web si ragiona su “Alimentazione e benessere per una vita sana”, ponendo attenzione ai concetti di “impronta ecologica” e di sostenibilità ambientale.

Questo lodevole intento è poi applicato anche alle realtà produttive?

Quale compatibilità esiste fra una attività di coincenerimento di rifiuti speciali pericolosi e quella di un produttore di specialità alimentari?


Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR

lunedì 8 ottobre 2012

Ultimo appello a Mario Monti

I cittadini di Parma interpellano il Primo Ministro

Lei si presenta come l’uomo super partes chiamato a governare l’Italia in crisi, l’uomo di cultura e di grande prestigio, non politico enon anti politico, che deve fare ciò che i politici non hanno saputo o potuto fare.

Noi sinceramente Le auguriamo, nel nostro stesso interesse, che Lei riesca ad assolvere al suo non facile compito. Ed anche perquesto ci rivolgiamo a Lei.

Parma ed il suo territorio può essere un perfetto laboratorio, un banco di prova per il suo governo: come l’Italia, Parma, oberata didebiti, deve affrontare gravi problemi irrisolti, primo fra tutti quello dell’inquinamento ambientale, per essa, cuore della food valley,più essenziale e vitale che mai.

In questo non esaltante quadro, spicca e si impone come massimo ed urgente, il problema del mega inceneritore, pianificato e volutoda amministratori di varie parti politiche interessati ai grandi affari ed alle imprese colossali più che al consenso ed alle esigenze vitalidel territorio.

Inutilmente e per anni più voci si sono opposte a questo progetto, combattendo con grande civiltà ma con determinazione e costanzatra mille difficoltà perché si riconoscesse la lacunosità e l’inaffidabilità dei dati forniti e l’assurda potenzialità dell’impianto.

Anche la magistratura ha finalmente indagato e sta indagando sulle irregolarità emerse.

Oramai tutti i parmigiani hanno capito.

Ciò nonostante gli interessati sostenitori restano abbarbicati al contratto e cercano solo di ultimare i lavori per mettere tutti di fronte alfatto compiuto.

I cittadini di Parma, ben stretti attorno alla Giunta da poco eletta, non vogliono e non possono rassegnarsi e percorreranno ogni stradalecita e possibile per contrastare quel progetto e quel contratto combattuti da sempre.

Sentirsi dire che oramai è troppo tardi dopo anni di proteste e di proposte disattese perché non c’era premura è davvero inaccettabile.

Sarebbe bene per tutti, anche per Iren, trovar invece un’intesa che consenta di evitare l’irreparabile e ridurre i danni del comune edell’impresa costruttrice.

Di questo dovrebbe discutersi, con il consiglio e la regia Sua e del Suo governo.

Parma non vuole, non deve, non può permettersi di diventare una nuova Taranto!



Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma – GCR
Comitato Rubbiano per la Vita
Rete Ambiente Parma
Associazione per l'Informazione Ambientale a San Secondo Parmense

venerdì 28 settembre 2012

La denuncia dell’ Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma: “A Rubbiano per la vita è stato impedito di essere presente come auditore alla conferenza dei servizi sul rinnovo dell’autorizzazione integrata ambientale”.

“Rubbiano per la Vita, il comitato di cittadini che da anni si batte contro l’impatto ambientale di Laterlite, il coinceneritore di rifiuti a pochi passi dal paese, ha chiesto di partecipare come auditore alla conferenza dei servizi sul rinnovo dell’autorizzazione integrata ambientale, in fase di discussione presso la Provincia.

La conferenza dei servizi è un organo deliberativo in cui vengono affrontate decisioni delicate, che riguardano gli impianti industriali con riconosciute criticità ambientali e quindi sanitarie. E' in questo sede che si potrebbero introdurreinnovazioni che riducano le emissioni inquinanti, migliorare le performance ambientali e favorire trasparenza e diffusione delle informazioni.

A Rubbiano per la vita è stato impedito di essere presente. La Provincia non solo ha negato la possibilità di ascoltare cosa si decide in quelle sede, ma ha persino impedito di accedere agli atti, come confermato dal dirigente Alifraco, che ha informato che i documenti di sintesi della conferenza dei servizi saranno disponibili a fine iter autorizzativo. Quindi quando l'autorizzazione sarà già stata firmata.
Evidentemente non ci si può permettere di avere semplici cittadini come testimoni. Perché anche i verbali potranno essere visionati solo a giochi fatti, quando l’Aia è stata concessa e nulla si potrà modificare?

Il comitato si batte per ottenere trasparenza nella diffusione delle informazioni, perché tutti possano comprendere le decisioni che vengono prese, ed eventualmente farne oggetto di discussione.

Evidentemente esiste un livello di potere decisionale che non gradisce questo concetto fondamentale ed anzi, impone di rimanere fuori dalla porta sino alla conclusione del parto, quando arriverà l'informazione compiuta e irremovibile, presa su questioni che toccano molto da vicino il benessere dei cittadini.

Rubbiano per la vita segnala con forza questo atteggiamento poco attento ai diritti dei cittadini, allineato con lo stentato avvio dell’Osservatorio Ambientale, rinato con l’ambizione di dare contributo positivo a questa delicata materia ma che evidentemente non tutti vogliono veder decollare prima della firma sulla autorizzazione.

E' questo il metodo corretto con cui affrontare i delicati temi ambientali che riguardano la nostra provincia? Blindare la fase decisionale, tagliare l'informazione, consentire accesso agli atti a partita avvenuta?

I cittadini hanno un’altra idea di partecipazione, di rispetto, e di trasparenza. I cittadini chiedono di sapere, di conoscere, di poter dare il loro contributo, è veramente un delitto umiliarli in questo modo ingiustificato”.

Comitato Rubbiano per la Vita
Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma – GCR

lunedì 3 settembre 2012

Biogas e sostenibilità, moratoria indispensabile

Wikimedia 
La stragrande maggioranza delle centrali a biogas già in funzione, e anche quelle in attesa di autorizzazione, ricorrono, quasi esclusivamente, a colture dedicate (mais soprattutto) per la loro alimentazione.
Una situazione non sostenibile, né dal punto di vista energetico, né da quello ambientale.
In Emilia Romagna si prevedono 465 impianti a biogas con una potenzialità di circa 1MWe.
Così per alimentarle occorrerebbero addirittura più dei 100.000 ettari coltivati già oggi a mais, davvero un'assurdità.
Per limitare la prospettiva nel luglio 2011 la Regione ha escluso gli impianti a biogas nelle zone
Dop del Parmigiano-reggiano, su pressione del consorzio, e infine di recente la delibera “impianti a
biomasse a saldo zero”.
Che significa che nelle aree a rischio ambientale potranno essere installati nuovi impianti solo in due casi: se sostituiranno impianti preesistenti o se saranno affiancati da interventi che garantiscano la riduzione di inquinamento sul territorio (cogenerazione e trigenerazione, utilizzo del calore, teleriscaldamento, efficienza energetica, piste ciclo-pedonali, ecc.).
Per le aree dell’Emilia-Romagna in cui i parametri di qualità dell’aria sono rispettati la delibera regionale promuove un approccio di tipo cautelativo con valutazione preliminare, tesa a valutare il cumulo degli impatti generati da più impianti. Le nuove regole interessano gli impianti a biomasse per la produzione di energia elettrica di potenza termica superiore a 250 kW.
Il saldo zero riguarda le emissioni di Pm10 e di diossido di azoto, da applicare in qualsiasi zona, inquinata o meno.
Le zone “verdi” (dove l'inquinamento è meno presente) sono in pratica quelle di montagna.
Per saldo zero si intende la sostituzione delle vecchie stufe a legna con centrali termiche a biomassa che dovrebbero addirittura migliorare la qualità dell'aria. In realtà il filtro a multiciclone delle centrali a biomassa non abbatte minimamente i Pm10, ma solo la fuliggine.
Le emissioni dipendono poi dalla tipologia di cippato che viene bruciato, che se è fresco, umidità al 50%, determina emissioni superiori agli stessi standard dell'Arpa, che sono però solo indicativi, mancando ogni tipo di controllo.
Discorso diverso per le le emissioni delle moderne stufe miste pellet-legna, 7-8 volte più basse di quelle delle centrali a biomassa e già in voga in montagna presso i privati.
La compensazione per l'inquinamento superiore deriverebbe dal teleriscaldamento, che consente lo spegnimento delle singole caldaie, ma se l'emissione è comunque maggiore delle stufe a pellet non si capisce dove stia il vantaggio.
Il saldo zero è una chimera in particolare per gli impianti a biogas, visto che non esistono normative specifiche per le emissioni, e valgono quelle generiche per le biomasse, come non esistono normative per le emissioni odorigene, quel diossido di azoto pungente al naso e pericoloso per gli alveoli polmonari.
Il saldo zero è uno specchietto per le allodole nelle zone verdi, quelle a basso inquinamento, come la montagna. Figurarsi in quelle gialle, arancioni o rosse in cui si cercherà di ridurre gli impatti con piste ciclabili. Davvero curioso.
Le norme emanate dalla regione Emilia Romagna, “Criteri tecnici per la mitigazione degli impatti ambientali nella progettazione e gestione degli impianti a biogas”, non risolvono minimamente i problemi derivanti dalla cattiva progettazione e gestione degli impianti.
Da parte dei cittadini e dei comitati c'è una richiesta forte di norme che permettano lo stop a impianti già in attività, ma che stanno causando gravi disagi alla popolazione.
Anche se la combustione di biogas produce teoricamente emissioni inferiori a quelle derivanti da oli vegetali o da biomasse legnose, va sottolineato utilizzare biogas per produrre energia elettrica e calore è poco efficiente.
Considerando i rendimenti medi dei motori cogenerativi in commercio, si può assumere che meno dell’80% dell’energia termica contenuta nel biogas venga effettivamente valorizzata, circa il 36% come energia elettrica e circa il 40% come calore recuperato dai circuiti di raffreddamento.
Il resto del calore contenuto nel biogas viene disperso nell’ambiente sotto forma di calore residuo nei gas di scarico. Si calcola che un impianto da 1 Mw perda con i gas di scarico 36 tonnellate annue di metano, corrispondenti a circa 1.000 tonnellate annue di CO2.
Ovviamente questi computi non sono minimamente presi in considerazioni e spariscono dai calcoli della efficienza degli impianti, che vengono presentati all'opinione pubblica come il nuovo Eldorado per liberarsi della dipendenza dal petrolio.
Il biogas deve subire una complicata serie di depurazioni, senza le quali si ha malfunzionamento e corrosione dei motori, processi che comportano anch'essi maggiori emissioni nocive.
Il biogas che esce dal biodigestore deve essere desolforato tramite lavaggio, poi deumidificato tramite refrigerazione, quindi filtrato dalle polveri con filtri a sabbia che trattengono il particolato.
A loro volta le emissioni della cogenerazione prima di poter essere rilasciate in aria devono subire un processo di lavaggio, passare attraverso biofiltri e meglio ancora attraverso filtri a carboni attivi, senza i quali non si abbattono le emissioni odorigene.
Ma tutto questo nella realtà non succede.
Un impianto a biogas non è subordinato al rilascio di alcuna autorizzazione alle emissioni in atmosfera (ai sensi dell'art. 269, comma 14,parte V del D.Lgs. 152/2006).
Detti impianti devono solo rispettare solo i valori limite di emissione espressi come concentrazioni massime ammissibili per ciascun inquinante, vale a dire 800 mg/Nm3 di monossido di carbonio (CO), 500 mg/Nm3 di ossidi di azoto (NO2), 150 mg/Nm3 di carbonio organico totale (COT), 100 mg/nM3 di particolato (PM10-PM1), 10mg/Nm3 di composti inorganici di cloro.
E' sufficiente che le ditte produttrici dichiarino emissioni rientranti nei range perché Arpa e Ausl certifichino la loro idoneità, come accaduto per i progetti di Felino (Pr) e Palanzano (Pr). Nei progetti si parla di un controllo all'anno, massimo due, ovviamente eseguiti e certificati dalla ditta stessa.
Tenendo conto dei volumi dei prodotti utilizzati per la produzione del biogas, l’unica filiera sostenibile non può che essere quella cortissima, non superiore ad una decina di km. (o comunque molto inferiore ai 70 km. della cosiddetta filiera corta), che ridurrebbe le emissioni di migliaia di mezzi pesanti, direttamente proporzionali ai km. percorsi.
Reflui animali, scarti agricoli e rifiuti organici vengono prodotti incessantemente dagli allevamenti zootecnici, dall’agricoltura, dalle industrie agroalimentari, da tutti noi.
Tutto questo può essere utilizzato per il biogas e sarebbe logico che gli incentivi favorissero solo questo tipo di utilizzo, anziché quello dei prodotti derivanti da colture dedicate. Questo è soprattutto vero per i rifiuti organici, il cui corretto uso aumenterebbe la percentuale di raccolta differenziata effettivamente riciclata, a vantaggio di tutti.
Per il suo utilizzo ottimale, si sottopone già ora il digestato a separazione solido/liquido, ottenendo due frazioni: una solida ed una liquida, detta anche chiarificata.
La frazione solida, che è la parte meno consistente del digestato, è costituita da sostanza organica, che incorporata nel terreno ne migliora le caratteristiche, funzionando da ammendante.
La sostanza organica, inoltre, è in grado di trattenere grandi quantità di acqua, caratteristica importante considerando i cambiamenti climatici.
Nel caso di agroindustrie o di allevamenti zootecnici industriali, la quantità di digestato liquido è così grande da non essere all'oggi gestibile. Occorre ricorrere a metodi per l’estrazione dell’azoto ammoniacale (stripping dell’ammoniaca o degasazione della stessa) e la sua trasformazione in un fertilizzante più concentrato e quindi più facilmente gestibile (solfato d’ammonio), che andrà a sostituire i fertilizzanti azotati di sintesi.
La prima richiesta agli amministratori (Regione Emilia Romagna in primis) riguarda la sostenibilità sociale degli impianti a biogas già in attività, che sono causa di gravi disagi per le zone prossime alle centrali, soprattutto per l’emissione di cattivi odori per periodi prolungati.
Non è accettabile che alcuni traggano profitto da attività che danneggiano altri.
Norme chiare che consentirebbero a sindaci e enti provinciali di costringere alla sospensione di ogni attività quegli impianti che sono causa di gravi disagi per i cittadini.
Tale moratoria avrebbe come conseguenza anche la sospensione di ogni forma di incentivo fino a che si creino le condizioni per una ripresa dell’attività, che non causi più alcun disagio.
Interventi che riguardano sia impianti in fase di autorizzazione, che già autorizzati.
Si deve pure considerare lo spreco della capacità fertilizzante dei digestati e la mancata sostituzione di concimi chimici di sintesi con gli stessi digestati. Un esempio di tali sprechi è anche la pratica di ricorrere a trattamenti di nitrificazione e successiva denitrificazione (impianti SBR) che, disperdendo l’azoto, hanno come conseguenza l’impossibilità di sfruttare la capacità fertilizzante della frazione liquida dei digestati in sostituzione dei concimi chimici di sintesi.
Una conseguenza, forse inattesa, delle restrizioni all’uso dei digestati nelle zone di produzione del Parmigiano Reggiano, è stata la concentrazione delle richieste di autorizzazione alla costruzione di centrali a biogas nelle zone non interessate dal Parmigiano Reggiano, creando, in aree come la pianura bolognese e ferrarese, il rischio di una concentrazione assolutamente insostenibile di centrali.
Gli stessi comuni che si sono opposti all'installazione di impianti a biogas, come Felino (Pr) e Toano (Re), lo hanno fatto senza entrare nel merito del loro carattere speculativo e della nocività delle emissioni. Hanno usato un artificio amministrativo e legale, la modifica del piano urbanistico, per negare l'area richiesta all'uso delle rinnovabili e mettendone a disposizione un'altra.
Posizione pilatesca e pericolosa: immaginatevi se la ditta richiedente accettasse la diversa destinazione d'area per l'impianto richiesto, il comune non avrebbe più alcun motivo di opporsi alla sua realizzazione.
Per arrivare a questo, è evidente la necessità di una moratoria nella concessione delle autorizzazioni che consenta di porre un freno agli impianti a biogas, evitando così di causare danni e portando il settore verso la sostenibilità.
Moratoria già richiesta a gran voce dai comitati del Ferrarese e del Bolognese cui si associa anche Rete Ambiente Parma, a nome dei Comitati di Palanzano e Felino.

Giuliano Serioli

sabato 1 settembre 2012

Nuova adesione

Un nuovo comitato,  “Associazione Giarola e Vaestano per il territorio”, si aggiunge a Rete Ambiente Parma, ben venuti!

mercoledì 29 agosto 2012

Incontro Rete Ambiente Parma - Comune di Felino

Presenti: Leccabue (ass. cultura) e Leoni (ass. ambiente), Serioli Giuliano e Silvio Di fazio per Reteambiente.

Leoni motiva l'incontro nel ribadire la correttezza della loro posizione volta a portare a compimento l'iter del no all'autorizzazione seguendo la traccia della modifica del piano urbanistico del comune che inficia l'area da loro richiesta come sede dell'impianto.
Lo motiva, altresì, per esprimere la loro contrarietà riguardo l'articolo comparso in "Gazzetta"in cui si attaccava il sindaco da parte del comitato e in cui sembrava che Reteambiente, cui si faceva riferimento esplicito, fosse d'accordo nell'attaccarlo.
Noi rispondiamo che non sapevamo nulla dell'articolo e che ci pareva un copia e incolla fatto dall'articolista. Sottolineiamo che è comprensibile la preoccupazione del comune per il tentativo della ditta di rivalersi economicamente nei loro confronti presso il TAR, ma che il no del sindaco deve essere nel merito di tale impianto, del suo carattere esplicitamente speculativo, lesivo della salute dei cittadini per le sue emissioni nocive ed odorigene e lesivo per le produzioni di qualità del territorio,in base alle osservazioni depositate in data 8/6/2012.
Abbiamo chiesto anche cosa succederebbe se la ditta modificasse la sua richiesta accettando l'area del piano urbanistico definita dal comune come idonea alla valorizzazione delle rinnovabili.
In tal caso, a nostro parere, la motivazione attuale del sindaco per il no all'impianto verrebbe a cadere.
Leoni sottolinea l'importanza che l'ente non sia solo nell'opporsi al progetto e che finalmente la Provincia si esprima in tal senso, non con un ordine del giorno del consiglio provinciale, come accaduto, che lascia il tempo che trova, ma con una presa di posizione ufficiale in merito.
Leccabue sottolinea l'importanza di un cambiamento culturale nei confronti dell'agricoltura affinché  il suo processo di industrializzazione crescente non si appropri anche dei finanziamenti pubblici delle rinnovabili snaturandone struttura produttiva e carattere.
Proprio perchè d'accordo con queste considerazioni, chiedo che il comune, al di là dei tempi dell'iter della VAS, promuova al più presto un convegno pubblico su biomasse-biogas in cui dar voce ad  associazioni, enti e cittadini.
Informo, altresì, che la rete dei comitati sta ripromettendosi la costituzione di un consorzio assicurativo sul territorio in grado di fare class action anche contro chi ha già fatto danni all'ambiente e ai cittadini, come Melanchini con le sue emissioni odorigene che impestano la periferia della città o come la centrale di Soragna, già approvate e funzionanti.

Giuliano Serioli

martedì 21 agosto 2012

Osservazioni al Piano Strutturale Comunale di Bardi 2012

Rete Ambiente Parma ha presentato osservazioni di carattere generale al Piano Strutturale Comunale e al Regolamento Urbano Edilizio di Bardi.

Link 1

Link 2

lunedì 20 agosto 2012

Centrale all'olio di colza a Bedonia?

Sorpresi, apprendiamo che uno dei maggiori sostenitori dell'inceneritore di Uguzzolo, nonchè ex vicepresidente di Iren, Luigi Giuseppe Villani, denuncia oggi il carattere speculativo e nocivo di un impianto accettato dall'amministrazione di Bedonia.
Forse è solo un modo di cominciare anzitempo la campagna elettorale contro il Pd.
Ma chissà, potrebbe anche aver fatto fare una piroetta di 180° ai suoi convincimenti. Sappiamo tutti che l'opportunismo di questa classe politica non ha limiti.
In ogni caso, stando a quanto detto, in data 29/03/2012 il Comune di Bedonia (PR) avrebbe sottoscritto una convenzione con la ditta Evifacility s.r.l. per la costruzione, l’esercizio e la manutenzione di un impianto di cogenerazione elettrica alimentato a olio vegetale, della potenza massima di Kw 999, finalizzato alla produzione di energia termica da utilizzare per alimentare la piscina comunale.
Tale centrale brucerebbe 2.000 tonnellate annue di olio di colza, forse addirittura di più dato lo scarso rendimento del combustibile, con emissioni nocive ed odorigene incredibili per un impianto pubblico ma soprattutto aperto al pubblico.
Molti studi, infatti, indicano che un motore diesel alimentato con oli vegetali ha un calo di rendimento che provoca un maggior consumo e nel contempo un aumento di emissioni.
Si tratta in questo caso di concentrazioni di PM10 e di polveri ultrafini notevolmente maggiori che non dalla combustione dello stesso gasolio, con aumento delle frazioni più pericolose, quelle inferiori ai PM10. Con un contenuto di IPA (idrocarburi policiclici aromatici, doppio rispetto a quello generato dal gasolio e con un forte incremento delle concentrazioni di ossidi di azoto (dati di uno studio del 2002 della Provincia di Bologna).
Altre ricerche evidenziano la formazione di benzene e butadiene che diffuse nell'aria portano a pericolosi composti come PCB e diossine, formaldeide e ozono (tutte sostanze ignorate o sottostimate dalle aziende proponenti e dai costruttori degli impianti).
L'ozono stesso è un inquinante secondario che si forma in atmosfera a partire dagli ossidi di azoto, se le condizioni sono favorevoli, come quelle estive (smog fotochimico).
Tutta la combustione di biomasse produce,infatti, significative emissioni di ossidi d'azoto e quindi d'estate aumenterà la concentrazione di ozono, nocivo per la salute.

Accenniamo di sfuggita che occorrerebbero circa 1500 ettari di coltivazioni dedicate per rispettare il dettato regionale della filiera corta, tanto sappiamo che il biocarburante verrebbe importato come capita per tanti altri impianti similari.
Pare che l'amministrazione ora abbia fatto marcia indietro e rinneghi l'accordo con la ditta proponente e che questa, a sua volta, voglia rivalersi legalmente nei suoi confronti.

L'importante è che i cittadini sappiano e vigilino.

Serioli Giuliano

venerdì 17 agosto 2012

2012: la minaccia alla rinnovabilità dei boschi

A partire dal 1995, l'utilizzazione annua in Italia dei boschi, da almeno un decennio si era stabilizzata sui cinque milioni di metri cubi. Supponendo che da un ceduo si ricavino in media 120 metri cubi per ettaro, risulterebbero essere stati tagliati circa trentatre mila ettari all'anno, che confrontati con la superficie di 3.663.000 ettari dei boschi cedui darebbero un tasso di utilizzazione di circa l'1% contro almeno il 4% che ci sarebbe da aspettarsi da un esercizio regolare al turno di venticinque anni applicato su tutti i cedui italiani.
Questi però erano dati del 2005.
Da allora la superficie del ceduo non è cambiata di molto, mentre le utilizzazioni sono grandemente aumentate. Nel 2009 nella provincia di Parma gli ettari richiesti al taglio sono stati circa 2.000 e la percezione è che stiano crescendo di molto.
Percezione confermata dalle voci allarmate di alcuni sindaci, ma soprattutto dall'analisi dei dati degli stessi operatori del settore.
Da Annalisa Paniz, studiosa dell’AIEL (Associazione Italiana Energie Agroforestali), viene la fotografia del settore che vede l’Italia prima in Europa anche nella produzione e vendita delle stufe a pellet. “Le biomasse legnose consumate dagli italiani nel 2012 saranno vicine ai 20 milioni di tonnellate: per l’80% (16 milioni di t.) costituite da legna da ardere e per il 9% da pellet (2 milioni). Di pellet l’Italia ne ha prodotto nel 2011 520.000 tonnellate (150.000 nel 2003) di cui solo 9.000 t. vendute sfuse. Coprendo la produzione interna solo il 28% della domanda, abbiamo avuto importazioni per 471.600 tonnellate nel 2009 e di ben 827.200 nel 2010, con previsioni per il 2012 di salire a 1.200.000. “Siamo l’unico paese mondiale a consumare quattro volte quanto produciamo”.

Sottolinea nel contempo la Coldiretti - sono stati importati in Italia ben 3,3 milioni di tonnellate di legna da ardere nelle diverse forme, pari a piu’ del triplo rispetto a venti anni fa. Una dimostrazione evidente - precisa la Coldiretti - del crescente interesse verso questa forma di energia che è diventata competitiva dal punto di vista economico.

Se quindi l'interesse, cioè la biomassa legnosa prelevabile annualmente senza pregiudicare la rinnovabilità, è stimata nel 4% del totale del ceduo presente nel nostro paese, 3.663.000 ha circa, e pari a 14.620.000 t. ; conoscendo la stima dei consumi previsti per il 2012, circa 16.000.000 di t. e quella della legna da ardere importata, 3.300.0000 t., si può arrivare facilmente alla stima della legna effettivamente tagliata, cioè 16.000.000 - 3.300.000 = 12.700.000 t. di legna, pericolosamente vicina alla soglia di rinnovabilità ( 14,6 mln ).
Se però si aggiunge la previsione del pellet prodotto nel 2012, circa 800.000 t. si arriva a 13.500.000 t. di legna tagliata, pari al 92% dell'interesse, oltre il quale vien meno la sostenibilità.

Non basta la rinnovabilità del legname, lo star dentro i limiti dell'interesse, entro l'accrescimento annuo dei boschi.
Per poter essere definita sostenibile, la gestione forestale deve rispondere a criteri di difesa idrogeologica del suolo, a criteri paesaggistici e soprattutto che non cali l'assorbimento di CO2.
Ricordiamo che la teoria secondo la quale i boschi perdono con l’età la capacità di fissare CO2 si è dimostrata abbondantemente sbagliata.
Inoltre, Amorini et al. (2002), e Cutini (2006) hanno dimostrato che occorrono 5 anni perchè i parametri di copertura fogliare e di intercettazione della luce tornino al livello che si ha nel ceduo di 35 anni di età.
Questo vuol dire che ogni volta che si taglia un bosco, che si brucia il carbonio contenuto nella legna, non si ha somma zero delle emissioni di CO2, come sbandierato, ma zero + 2,5 anni di mancato assorbimento della CO2.
Da quel che resta di quel bosco ceduo verrà a mancare per alcuni anni l'assorbimento di CO2 da parte dall'apparato fogliare abbattuto.
Sempre secondo gli stessi autori il governo a ceduo nella captazione del carbonio ha anche una maggiore efficienza rispetto alla fustaia, cui le amministrazioni vogliono convertirlo.

C'è da considerare, inoltre, che il turno eccessivamente breve od economico dei tagli riduce il contenuto della sostanza organica nel suolo con conseguenze sulla capacità idrica e sull'assorbimento e sulla riduzione delle proprietà chimiche e fisiche.
Riteniamo che il bosco debba essere utilizzato diversamente rispetto al passato, quando era necessariamente ipersfruttato da una popolazione povera; tale sfruttamento, eticamente comprensibile, ha impoverito drammaticamente il suolo, minimizzato la biodiversità e causato dissesto idrogeologico.
E’ proprio per il fatto che i boschi siano già stati sottoposti in passato a gravi alterazioni che necessitano di particolare attenzione per la loro conservazione.
Ciò vale anche per le colonizzazioni spontanee di aree precedentemente utilizzate come pascolo o come coltivo, realizzate disboscando il territorio. La ricolonizzazione forestale equivale a un recupero di naturalità.

In certi casi, è auspicabile addirittura una non gestione del bosco , per cui l'accumulo di massa raggiunge nel tempo un massimo (sicuramente superiore alla provvigione media attuale) ma poi non cresce più, compensandosi con la decomposizione del legno morto che crea humus necessario alla fertilità e al rinnovo del suolo.

Preoccupazioni del tutto avulse dagli intendimenti delle nostre amministrazioni.  
Anzi, arrivano a dichiarare (Bricoli) che tutto il bosco che è ricresciuto spontaneamente in questi ultimi quarant'anni potrebbe essere tranquillamente tagliato ricuperando i prati di una volta . Amministratori che usano i finanziamenti europei per sviluppare il taglio industriale del bosco, sommando altri tagli a quelli dovuti alla speculazione sulla legna da ardere. Che usano i finanziamenti europei per impiantare centrali a cippato nei borghi, le quali non si limiteranno a produrre calore, ma anche elettricità come vuole già fare Monchio e come il governo Monti spinge a fare con gli incentivi.
Ed essendo il loro rendimento nel produrre elettricità bassissimo, dovranno bruciare dieci volte la legna che bruciano ora.
Davvero un bel contributo alla sostenibilità, oltre che alla salute dei cittadini per le emissioni nocive.

Serioli Giuliano

lunedì 13 agosto 2012

Due nuovi articoli sulla questione "pietre verdi" e amianto.


http://www.parmanews24.com/pblock/amianto-allarme-pietra-verde-a-parma-stop-dal-comune/

http://www.adnkronos.com/IGN/Sostenibilita/Risorse/Per-il-pericolo-amianto-allarme-pietra-verde-a-Parma-stop-dal-comune_313596239531.html


Novità sul fronte “pietre verdi”

Ci sono importanti novità sul fronte “pietre verdi”. Chi pensava che il comitato “Cave all’amianto? No grazie!” si fosse appisolato, si sbagliava di grosso. Il seme è stato gettato e un lavoro costante ha portato a qualche risultato.
Non solo il tema delle “pietre verdi” rientrerà nella discussione della Conferenza Nazionale Amianto 2012 che vedrà anche la partecipazione del Ministero della Salute, ma si sono visti recenti sviluppi in Liguria e a Parma.
In Liguria, su appello del comune di a Casarza Ligure e della ASL 4 Chiavarese, il Consiglio di Stato respinge il ricorso al TAR, presentato da una società concessionaria che si era vista negare la richiesta di una nuova concessione per la cava di Bargonasco dalla Provincia di Genova (visto il parere contrario di Comune e ASL) . (Articolo completo)
A Parma, invece, l’amministrazione comunale a 5 stelle sta mostrando il coraggio che nessuno aveva ancora avuto e l'assessore all'urbanistica Alinovi ha intenzione di bandire dai cantieri le pietre verdi e, questo, in effetti è un modo importante ed efficacie per avviarsi verso la chiusura delle cave. Meno richiesta, meno cave.

Segnaliamo anche un libro sull’argomento amianto, la descrizione, sul sito di Cave all’Amianto? No grazie!

domenica 12 agosto 2012

Vale la pena investire in biomasse? Uno studio tedesco mette in crisi il modello emiliano sostenuto dal Pd


Giulio Meneghello

http://qualenergia.it/articoli/20120805-vale-la-pena-scommettere-sulle-energia-da-biomasse

Un report pubblicato dall'Accademia nazionale delle scienze tedesche Leopoldina indaga a 360 gradi su vantaggi e svantaggi di biomasse e biocarburanti. Le controindicazioni di queste fonti energetiche finora sono state sottovalutate. Converrebbero a livello energetico-ambientale solo con certe filiere e a determinate condizioni.
Le biomasse, in generale, e i biocarburanti di prima generazione, più in particolare, non sono il modo migliore per ridurre le emissioni di gas serra. L'accusa ai limiti dei biofuel non è una novità, ma il nuovo report pubblicato dall'Accademia nazionale delle scienze tedesche Leopoldina è interessante perché tenta una valutazione a 360 gradi della sostenibilità delle varie forme di bioenergia. Le principali controindicazioni sono note: per alcune colture e filiere il bilancio in termini di gas serra può essere controproducente e spesso rubano spazio alle colture alimentari con la conseguenza di far salire il prezzo dei cereali e di causare deforestazione.
Questi sono i motivi per cui dallo studio emerge l'ennesima bocciatura dell'obiettivo europeo 2020 di soddisfare entro quell'anno il 10% del fabbisogno energetico per i trasporti con le rinnovabili, che rischia di essere coperto quasi totalmente con i biofuel. Ma, secondo i 20 accademici che hanno contribuito al report il ricorso alle biomasse andrebbe limitato in generale: per ridurre le emissioni di CO2 queste fonti sono molto meno efficienti di altre come eolico e fotovoltaico, anche se ovviamente le biomasse hanno il vantaggio di poter essere trasformate agevolmente in combustibili liquidi o di poter produrre in modo altamente modulabile e in cogenerazione sia elettricità che calore.
Focalizzandosi sul caso tedesco, ma facendo un discorso valido a livello europeo e globale, infatti, il report bolla come troppo ottimistiche sia le valutazioni sugli impatti di biocarburanti e altre biomasse fatte dalla Comunità Europea, sia quelle dell'IPCC Special Report 2012 on Renewable Energy (SRREN) che quelle del BioÖkonomieRat del Governo tedesco. La conclusione è che, fatta eccezione per quelle derivate da prodotti di scarto e sottoprodotti, le biomasse non sono un'opzione praticabile su larga scala per ridurre le emissioni.
Ad esempio, censendo la filiera forestale tedesca si ritiene che aumentare o anche solo mantenere il livello di produzione energetica attuale da legna comporta c'è il rischio di compromettere il patrimonio boschivo nazionale senza contribuire alla riduzione delle emissioni. Solo foreste mantenute in equilibrio, cioè in cui si ripiantumi di pari passo con il taglio avvicinerebbero alla neutralità in termini di CO2. Ancora peggio va nella biomassa coltivata: qui, tenendo conto dell'uso di nitrati per i concimi, dell'energia spesa nella coltivazione e di tutto il resto le emissioni sono quasi sempre superiori alla quantità di CO2 immagazzinata dalla pianta. Per il biogas, si spiega, solo alcune filiere particolari sono sostenibili e per biodiesel e bioetanolo la sostenibilità è ancora più difficile da ottenere. A questo si aggiunge il fatto che la quantità di biomassa necessaria per soddisfare l'obiettivo europeo sui trasporti è incompatibile a livello di terreni disponibili con la produzione alimentare. E che gran parte viene dall'importazione da paesi nei quali è difficile controllare le filiere.
I biocarburanti di prima generazione, dunque, in questo report sono tutti bocciati. Perfino il bioetanolo da canna da zucchero - che con un EROI (rapporto tra rendimento energetico ed energia investita) che arriva fino ad 8 ed è tra i migliori - secondo gli autori non è pienamente sostenibile: per avere quei rendimenti infatti bisogna usare per il processo di lavorazione il calore ottenuto bruciando i residui della canna, la cosiddetta bagassa, anziché reinterrarli nel campo e questo significa estrarre carbonio dal suolo. Meglio da questo punto di vista il biogas, i cui residui di lavorazione vengono resistuiti ai campi come fertilizzanti, permettendo, nelle filiere ben fatte, di avere bilanci negativi in termini di CO2.
Speranze restano in un rapido sviluppo dei biocarburanti di seconda generazione, specialmente quelli a base di materie lignocellulosiche, che eviterebbero parte degli impatti negativi degli attuali. Il report dell'Accademia nazionale è invece molto scettico sullo sviluppo dei biocarburanti dalle alghe: con le tecnologie attuali si scrive l'EROI dei biocarburanti da alghe è al di sotto di 1, si spende cioè più energia per produrli di quella che rendono. Un paragrafo è dedicato anche alla produzione di idrogeno da biomasse. Anche qui siamo lontani dalla competitività: con il metodo più diffuso, cioè ricavandolo dal metano, si ottiene idrogeno a 1 $ al chilogrammo, mediante elettrolisi (che può essere fatta anche con l'elettricità da rinnovabili) si sale a 3 $/kg, mentre ottenere l'idrogeno con la pirolisi da biomasse attualmente, si spiega, al momento costa circa 7 $/kg.
In conclusione vale la pena scommettere sulle biomasse?
Secondo gli autori per quanto possibile meglio concentrarsi su altri metodi per ridurre la CO2: efficienza energetica, eolico, fotovoltaico e solare termico.
Le biomasse dovrebbero essere promosse solo laddove non entrino in competizione con la filiera alimentare, abbiano un impatto ambientale sostenibile e un bilancio in termini di emissioni di gas serra almeno del 60-70% migliore dei vettori energetici che sostituiscono (tipicamente benzina, gasolio e gas). Promettente in tal senso è l'uso di scarti e sottoprodotti, ad esempio l'uso dei reflui degli allevamenti per ottenere biogas.

Lo studio
http://qualenergia.it/sites/default/files/articolo-doc/201207_Stellungnahme_Bioenergie_kurz_de_en_final.pdf

sabato 11 agosto 2012

5 tesi fra montagna e città


Due forme di cultura opposte
La città e la montagna rappresentano due forme di cultura molto diverse tra loro, quasi opposte.
Nella prima elaborazioni concettuali astratte possono costituire la verità.
Nella seconda, al contrario, verità sono solo i dati di fatto e le astrazioni diventano chiacchiere
inutili. Qualsiasi opinione può farsi teoria e far parte del sapere; di contro il sapere è tramandato solo oralmente ed è costituito dalle esperienze che si sono affermate con successo e quindi, per questo, divenute vere.
L'uomo di città è portato ad esprimere le proprie opinioni; il montanaro, come il servo della gleba dell'antichità, si trattiene dall'esporre ciò che pensa aspettando il momento giusto per farlo valere.
Il coraggio delle proprie opinioni da una parte, la propria ragione da imporre coi fatti, dall'altra.
Le due mentalità sembrano inconciliabili.
La città padroneggia la tecnologia che ha soppiantato i mestieri e i saperi della montagna.
Dalla città arriva la speculazione che può decidere dei destini della montagna.

La montagna sta morendo
Tutti ne parlano, tutti temono che si avveri.
L'agricoltura e l'allevamento tradizionali sono spariti. L'agricoltura industriale ha sbaragliato il campo. L'artigianato è ormai del tutto soppiantato dall'industria manifatturiera.
I famosi saperi e mestieri, di cui i politici si riempiono la bocca, rischiano di finire dimenticati definitivamente in qualche museo polveroso.
La montagna è stata abbandonata da tempo, ma non si intravedono attività economiche che possano bloccare i giovani nelle terre alte, mentre la città appare loro con tutto il luccichio delle
promesse di soldi, sesso e socialità.
Qualcuno ha detto che "siamo seduti su un altro petrolio" e il mercato della legna da ardere ha
risposto aumentando la domanda, complice la crisi economica e il prezzo dei carburanti.
In montagna, molti si sentono spinti a tagliare più legna possibile, come fossero consapevoli che si stanno dividendo le spoglie di qualcosa che presto non ci sarà più.
Nell'indifferenza delle amministrazioni. Anzi, con funzionari pronti a giustificare la cosa e a raccontare in giro che, essendoci il doppio di boschi di quarant'anni fa, si può tagliare tutto ciò che è ricresciuto, recuperando la biodiversità dei prati di una volta.

Si fermeranno la speculazione sulla legna e i tagli?
Da soli no.
La green economy applicata alle biomasse si è sommata al mercato della legna da ardere, moltiplicando la domanda. Legna portata via coi camion per essere cippata e bruciata chissà dove o trasformata in pellet. Nel 2011 sono state vendute in Italia 200 mila stufe a pellet.
I tagli si sono moltiplicati al punto che l'offerta ha superato di gran lunga la domanda, portando il prezzo di vendita dagli 8 euro al quintale iniziali, agli attuali 5,5 euro.
Pensate che si taglierà di meno per riequilibrare il prezzo di mercato?
Semmai il contrario.
La gente che si è abituata a quella fonte di denaro non sarà disposta a rinunciarvi, men che meno con la crisi in atto. Anzi, taglierà di più per raggiungere lo stesso gruzzolo dell'anno precedente.
D'altra parte il ribasso dei prezzi di mercato della legna non farà altro che renderla sempre più conveniente rispetto a quello dei carburanti fossili e più appetibile per un sempre più vasto bacino di utenti.
Una spirale senza fine che arriverà a consumare i nostri boschi.

Il riscaldamento globale colpirà duro in montagna
Molti montanari e gente di città appassionata di montagna cominciano ad intuire cosa succederà e a preoccuparsi seriamente.
Il cambiamento climatico arriverà prima in montagna. Provocherà siccità nella fascia delle sorgenti, dove la neve per diversi mesi è necessaria alla loro ricarica.
La durata dell'innevamento si accorcia sempre più, è capricciosa: di giorno il calore del sole scioglie la neve, di notte l'altitudine la fa gelare, provocando vetroghiaccio, un fenomeno disastroso per le piante, spezzate dall'aumento di volume del ghiaccio riformato.
La fascia delle sorgenti è la zona delle faggete, bisognose di umidità e di acqua.
La loro traspirazione ributta fuori quella stessa umidità di cui hanno bisogno alimentando temporali, necessari a mantenere il microclima. Ma tali temporali estivi in futuro, data la sempre maggior escursione termica, tenderanno a diventare burrasche, con enormi quantità d'acqua in poco tempo, come nelle Cinque Terre, o come in questi giorni in Alto Adige.
I versanti dei monti, denudati dal taglio spropositato, scenderanno a valle riempiendo i torrenti che, tracimando, travolgeranno ogni cosa. Le prime ad essere colpite saranno le strade.
L'acqua è ancora abbondante in montagna, ma viene rubata. 
Enel, coi suoi bacini e condotte mai ristrutturati, perde il 50% dell'acqua captata e dà ai comuni montani solo elemosine.
Aziende di imbottigliamento come la Norda-Lynx, a Ponteceno, e tante altre, portano via l'acqua per pochi spiccioli.
La maggior parte dei comuni si vantano di aver dato in gestione i propri acquedotti ad Iren, con la conseguenza che ora si trovano nell'impossibilità di turbinarli per ricavare elettricità e rimpinguare le casse pubbliche.

Cosa può salvare la montagna?
La montagna, lasciata a se stessa e alla miopia dello sfruttamento delle sue risorse, diventerà terra di conquista. Non resterà a lungo disabitata, sarà ripopolata da gente dell'est, mercenari pagati in nero al soldo della speculazione.
L'ambientalismo ideologico, quello che dice sempre no a tutto, non ci interessa. Non è credibile e non ha un progetto per la montagna.
Ma l'uso sostenibile delle energie rinnovabili non è la stessa cosa della green economy. Con lo sviluppo delle centrali termiche a cippato, della cogenerazione per produrre energia elettrica e delle aziende di taglio industriale della legna, le amministrazioni sembrano accettare il suo dettato: soldi in cambio di risorse.
Ma l'uso delle rinnovabili senza intaccare le risorse può far rinascere i borghi.
Le innovazioni tecnologiche della città possono legarsi agli antichi mestieri, farli rivivere.
Il solare fotovoltaico e il solare termico uniti alla ristrutturazione dei borghi per il risparmio energetico possono essere il volano di nuova occupazione e di autonomia energetica.
Possono costruire la base ricettiva adeguata per un turismo diverso da quello di massa.
Un turismo capace di far nascere la domanda di produzioni alimentari biologiche e artigianali di
pregio. L'Alto Adige e il Trentino insegnano.
Il principio deve essere quello che il lavoro non deve consumare le risorse.


Giuliano Serioli

venerdì 10 agosto 2012

Commento alla sentenza del Consiglio di stato 16 luglio 2012.

Dott. Antonio Manti (già direttore del dipartimento di prevenzione di Chiavari - Ge)

A 20 anni dall’entrata in vigore della legge 27 marzo 1992, n. 257, che ha vietato in Italia “l'estrazione, l'importazione, l'esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto”, è rimasta ancora indefinita la problematica delle cosiddette pietre verdi.

Si tratta di rocce costituite in toto o in gran parte da serpentiniti, minerali in cui la presenza di amianto è certa, anche se variabile per quantità e per grado di fratturazione.

A tutt’oggi in Italia sono molte le cave di pietre verdi ancora attive, dalle quali il rischio di rilascio di fibre cancerogene è possibile e non valutato accuratamente. La recente sentenza del Consiglio di stato 3195/2012 aiuta ad affrontare questi temi con maggiori elementi di certezza giuridica e scientifica nell’ottica di tutelare la salute pubblica.

Neviano, dalle parole ai fatti.

L'assemblea di Neviano del 30 luglio avrebbe dovuto fugare ogni dubbio dei cittadini sulla sostenibilità dei progetti e delle iniziative delle amministrazioni sulla centrale a cippato e sui tagli dei boschi. Almeno di tale tenore erano le affermazioni del sindaco Garbasi e del capo del Pd Dall'Olio che accusavano sulla "Gazzetta" noi di Reteambiente di fare del terrorismo ambientale.
Ecco, però, una prima crepa alla sicumera della loro narrazione.
Una signora di Neviano, preoccupatissima, ci scrive per avere voce e sostegno contro lo scempio perpetuato  all'amministrazione direttamente sopra casa sua.
Queste le sue parole.

"Sono residente a Neviano A. e sto vivendo con angoscia la devastazione in atto sul territorio. Non ho mai visto una tale rapidità negli interventi del passato: qui procedono a tamburo battente.Abito in una casa sotto il cimitero, dove il terreno è in forte pendenza; per evitare il rischio di smottamenti più di quarant'anni fa la Forestale aveva aggiunto alle querce originarie dei pini neri, poco adatti al clima e quindi bisognosi di manutenzione, che peraltro da vent'anni il Comune si è ben guardato di fare.Ora, nel giro di pochi giorni hanno raso al suolo tutto il bosco e non mi risulta nessuna perizia geologica. E' altamente probabile che, con l'arrivo delle piogge autunnali, particolarmente violente in queste ultimi anni a causa del riscaldamento globale, riprendano i movimenti franosi che caratterizzano la zona. Il cimitero che mi sovrasta arriverà qui, a casa mia.Vi scrivo per chiedere aiuto affinchè si tenti di arrestare lo scempio in atto e si proceda al rimboschimento dei terreni messi a nudo. Ho seguito con interesse gli interventi di Giuliano Serioli sulla caldaia a cippato: quello che sta accadendo è tutto collegato.In giro c'è rassegnazione.Aspetto una vostra risposta.Grazie e distinti salutiRaffaella Sassi"
Le parole della signora non fanno che confermarlo.
E' in atto un taglio forsennato dei boschi prodotto da una domanda speculativa del mercato della legna da ardere. Tali tagli hanno ormai superato la stessa domanda e il prezzo della legna accatastata è crollato dagli 8 euro al quintale di tre anni fa agli attuali 5,5 euro.
Tutti sono convinti che tale scempio non si fermerà.
Anzi, il crollo stesso del prezzo spingerà molti a tagliare di più per intascare almeno
gli stessi soldi dell'anno prima.
Non ci stiamo riferendo ai boscaioli, che fanno correttamente il loro lavoro di sempre,  ma a tutti coloro che assoldano extracomunitari in nero per farli lavorare al posto loro e per il proprio profitto.
Ebbene, proprio la sera dell'assemblea abbiamo sentito amministratori e tecnici affermare che oggi c'è il doppio di legna rispetto a quarant'anni fa e che non sarebbe un male se la si tagliasse, recuperando i prati di una volta e
la biodiversità che questi rappresentavano.
Il recupero dei prati è incentivato con finanziamenti dalla Regione, anche se non serve a niente perchè vacche al pascolo non ce n'è più. 
Forse, però, serve a creare un do ut des in occasione delle elezioni.
Certi amministratori non si rendono conto che non si può tornare indietro, ma che soprattutto non si deve farlo per non riinnescare il degrado idrogeologico imperante in quei tempi.
Non si può creare lavoro saccheggiando le risorse naturali, mettendo a rischio frane i versanti e in forse la sicurezza della gente e delle loro case.

Noi diciamo che il lavoro lo si può creare avviando il risparmio energetico. Concentrando tutti i finanziamenti su di esso in modo da farlo diventare il volano della ristrutturazione dei borghi, a sua volta strumento efficace di una ricezione turistica accogliente e diffusa.

Serioli Giuliano