"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

giovedì 19 dicembre 2013

Considerazioni sui tagli di faggete (tra un tecnico dei tagli e Reteambiente)


Una premessa. Ciò cui qui si fa riferimento è un elaborato di Dimitri Bonani, in cui l'autore, tra le altre cose, accenna al taglio completo di una faggeta secolare in zona preparco, nella comunalia di Valditacca. Che senso ha, si è chiesto Dimitri, abbattere alberi centenari in nome della biodiversità?

Da qui prendono spunto considerazioni sul tema da parte di un tecnico dei tagli e il sottoscritto.
Ho appena letto il vostro articolo.
Quante lacune tecniche di tipo selvicolturale!
una domanda: "Ora c'è stato un altro taglio in Val di Tacca, addirittura più grande, in cui sono stati smantellati in un attimo ettari di faggete di 120 anni di età, con la ridicola scusa di creare maggiore biodiversità."
Mi dici su che basi scientifiche sostenete questa sciocchezza?
Sono molto curioso.
Ciao!
Simone Barbarotti
2013/12/9 Giuliano Serioli ha risposto
“Il bosco, se non viene tagliato, muore”, è una frase che si sente spesso. Ma poiché i boschi erano presenti sulla Terra da molto prima degli uomini, è chiaro che possono fare a meno di noi e delle nostre “cure”, i boschi servono agli uomini e non viceversa.
Ma questa frase un senso ce l’ha. In un bosco che non viene tagliato gli alberi continuano a crescere facendosi concorrenza, ci sarà quindi una selezione naturale ed alcuni alberi moriranno per mancanza di luce.
Quindi se il bosco non viene tagliato alcuni alberi muoiono, ma non l’intero bosco, anzi un bosco naturale è caratterizzato proprio dall’abbondante presenza di alberi morti in piedi e a terra, che permettono la vita di tanti organismi piccoli e grandi, come i coleotteri del legno, ormai sempre più rari in tutta Europa tanto da essere oggetto di specifici atti di tutela.
C’è un’altra situazione, i boschi naturali sono fustaie, cioè gli alberi sono nati dal seme, mentre molti boschi gestiti dall’uomo sono cedui, in pratica gli alberi nati da seme sono stati tagliati e sono ricresciute delle piante (polloni) dal ceppo tagliato (ceppaia). Nei boschi cedui, che vengono tagliati ogni 15-20 anni, c’è un numero di alberi molto elevato e se non si interviene col taglio, la competizione è molto forte portando alla morte di un numero considerevole di piante, può sembrare quindi che il “bosco muore”.
Nella faggeta, invece, dove i faggi sono ancora relativamente giovani, sotto non nascono nuove piantine, ma dove i faggi cadono perché vecchi o per altre “cause naturali”, allora nascono e si sviluppano nuovi faggi.
Anche nella faggeta, il bosco non muore in mancanza di tagli, anzi si rinnova da solo, per “cause naturali”.
Molto probabilmente, in tal modo, anche la biodiversità aumenta non tagliando una vecchia faggeta.
Serioli Giuliano

Il 09/12/2013 16.06, Simone Barbarotti ha risposto :
Partire da basi di dicerie "il bosco non tagliato muore" (sciocchezza pazzesca) e su una base di nozioni diciamo "leggere" per criticare interventi programmati, studiati, e approfonditi da anni di ricerche non è un giusto approccio e soprattutto rispetto per chi continuamente osserva e studia le dinamiche dei boschi la gestione degli stessi negli anni.
Permettimi di farti notare che stiamo parlando di tecnica e scienza. E soprattutto di SELVICOLTURA. Che va prima di tutto conosciuta e studiata e poi messa in pratica per anni prima di conoscerla un minimo e di disquisirne. Io stesso mi sento ancora un allievo e mi stupisco quando persone che hanno meno basi di me si sentono tranquillamente in grado di arrivare a conclusioni assolute.
Comunque nel caso di Valditacca, si è fatto un taglio di rinnovazione riconducibile alla Selvicoltura naturalistica. Un taglio a buche.
E' l'intervento che più simula una dinamica naturale di rinnovazione tramite schianti dovuti ad eventi traumatici come crolli e schianti in seguito a tempeste ed eventi traumatici.
Tali interventi vengono realizzati in sintonia con quanto previsto con la gestione del S.I.C. e concorrono all'incremento della biodiversità come lo testimoniano le aree di studio dell''indice di Shannon-Wiener fatti da varie università.
I tecnici naturalisti dell'università profondi conoscitori degli habitat del nostro appennino continuano a sostenere che NONOSTANTE TUTTO gli habitat di faggeta sono in generale di buona qualità e costantemente in aumento.
Se poi la vostra idea è non fare più selvicoltura ed abbandonare i boschi all'evoluzione naturale è inutile parlare di Selvicoltura.

Barbarotti, permettimi:
" il bosco non tagliato muore", che io riporto, non è una diceria è proprio una delle opinioni di selvicoltori e soprattutto di chi taglia.
Non a caso oppongo ad essa l'idea che i boschi possano benissimo fare a meno delle nostre cure per continuare ad esistere.
Con questo non teorizzo che non si debba più tagliare o che la selvicoltura debba essere abbandonata, affermo solo che occorre avere un progetto di tagli differente dal loro stato attuale. Oggi è il mercato speculativo sulla legna da ardere a decidere dove e quanto tagliare.
Non credo sia un criterio valido nè per l'autoconsumo delle genti di montagna, nè per il valore di bene comune che ormai i boschi hanno assunto.
Infatti, la massa boschiva dell'Appennino Tosco-Emiliano, oltre ad avere valore paesaggistico inestimabile, è uno dei polmoni con cui contrastare i veleni e le polveri sottili della Pianura Padana. La sua superficie fogliare è anche la garanzia di continuità della cattura di CO2, necessaria ad impedirne l'ulteriore sviluppo nell'atmosfera.
Se coi tagli massicci attuali non si perde superficie boschiva, si perde sicuramente superficie fogliare ( per ogni taglio ceduo occorrono minimo trent'anni perchè essa si ripristini come prima, per una faggeta di 120 anni è facile immaginare quanti ne occorrano.
Col taglio della faggeta di Valditacca, tu dici si sia fatto un taglio a buche che più simula la rinnovazione naturale del bosco. Un taglio di rinnovazione, dici, per aumentare la biodiversità. Ma in quella stessa faggeta,prima che fosse tagliata, ho visto piante crollate naturalmente per tempeste e bufere di vento.
Quella faggeta stava provvedendo da sola al proprio rinnovamento ed allo sviluppo della rinnovabilità.
Perchè allora tagliarla?
Me l'hai detto tu stesso a voce: per produrre legna da ardere. Non altro.
Ma ha senso tagliare una faggeta secolare per produrre legna da ardere?
Secondo me no.
Ma è solo la mia opinione.
E non voglio assolutamente essere polemico. Credo, anzi, che il confronto di opinioni al riguardo sia necessario perchè la gente sappia cosasta avvenendo e partecipi delle decisioni.

Serioli Giuliano

lunedì 9 dicembre 2013

Il nostro Appennino che muore




La situazione dei boschi nel nostro Appennino è pesantemente cambiata negli ultimi anni.
Se ne sono resi conto in particolare coloro che risiedono nei paesi delle nostre montagne e gli escursionisti, che ripercorrevano quelli che fino a poco tempo fa erano bellissimi sentieri immersi in boschi ricchi di castagni, faggi e betulle.
Ora si ritrovano in enormi radure assolate, con i sentieri sostituiti da larghe carraie adibite al transito di mezzi pesanti per il trasporto di legname e mezzi escavatori.


Una situazione veramente drammatica che non risparmia più nessuna vallata delle nostre montagne, e le segnalazioni di questi scempi giungono da ogni regione italiana.
Per quale motivo la politica ambientale è volta a distruggere il nostro territorio anziché tutelarlo?
La ragione iniziale di tutto questo è da ricercarsi in ambito europeo.
L’Ue infatti elargisce forti finanziamenti a tutti gli enti comunali e provinciali che fanno costruire nel loro territorio centrali a biomasse.

Queste centrali avrebbero la funzione di trasformare il legname in energia termica e a prima vista questa potrebbe anche sembrare una gran bella cosa, ecologica ed economica.

Ma gli studi dicono altro.

Mentre la la resa  resa delle centrali termiche per la produzione di calore può essere del 80%, quella delle centrali a cippato per produzione di elettricità è del 10-15%, il che significa che ben l’85-90% dell’energia termica derivata dalla combustione di legname non viene utilizzata. 
Si spreca così la maggior parte di questa enorme quantità di boschi abbattuti e al contempo si rilascia nell’aria una grande quantità di metalli pesanti derivanti da tale processo di trasformazione, oltre che ovviamente altre grandi quantità di CO2, come ha sottolineato anche Federico Valerio, chimico genovese che ha fatto luce su questi nuovi sistemi.
E' evidente che per alimentare le centrali a biomasse, come ad esempio quelle installate a Monchio e Palanzano, sono necessarie enormi quantità di legname, e il vantaggio economico garantito dagli incentivi fa sì che quasi tutti i comuni del nostro Appennino se ne stiano dotando.
Questo modo di produrre energia elettrica è costoso, inquinante, poco produttivo a livello di energia e totalmente distruttivo per il nostro ambiente boschivo.
Quando le nostre risorse forestali saranno completamente annientate, saremo di nuovo al punto di partenza, con la differenza che poche persone si saranno arricchite e tutti noi resteremo completamente senza boschi sulle nostre montagne, con un tasso di inquinamento evidentemente incrementato dalle combustioni.
E pensare che il bosco è molto importante anche per la pulizia dell’aria, dato che abbiamo valori di PM10 altissimi nel capoluogo.
Il monte Fuso da qualche anno è oggetto di continue deforestazioni pesantissime, in cui gli enti pubblici preposti (come Provincia e Comunità Montana Parma Est) non si fanno problemi a rilasciare continue autorizzazioni per il taglio di ettari e ettari di boschi, su qualsiasi versante e in qualsiasi pendenza, dato che serve continuamente nuovo legname per alimentare gli impianti a biomassa.
Alla richiesta da parte delle associazioni ambientaliste di avere documenti relativi a tutti questi tagli boschivi in atto, gli Enti pubblici come la Provincia di Parma e la Comunità Montana hanno risposto in maniera elusiva, rimpallandosi a vicenda, mentre in realtà sappiamo bene che essi hanno sempre collaborato assieme su questi fronti.
Il taglio selvaggio di ettari di faggete secolari a stretto confine col Parco Nazionale dei Cento Laghi nei pressi di Prato Spilla aveva qualche tempo fa suscitato l'attenzione dei media.
Ora c'è stato un altro taglio in Val di Tacca, addirittura più grande, in cui sono stati smantellati in un attimo ettari di faggete di 120 anni di età, con la ridicola scusa di creare maggiore biodiversità.
Tutto questo è reso anche possibile dallo sfruttamento di mano d’opera proveniente dall’Est europeo pagata con stipendi bassissimi.
Nel solo versante nord del Monte Fuso lavoravano contemporaneamente e in modo ininterrotto sei squadre di taglia-legna con relativi mezzi escavatori.
Io credo che sia un nostro diritto pretendere che il nostro ambiente rimanga intatto come lo è sempre stato e che i nostri figli possano un giorno fare delle belle escursioni nei boschi come le abbiamo potute fare noi e non trovarsi invece in uno spettrale paesaggio devastato, solo per il mero arricchimento di poche persone senza scrupoli che riescono a vedere i boschi solo come una risorsa da sfruttare completamente per un personale ritorno economico.
Se ci uniamo e cerchiamo tutti insieme di fermare l’avanzata di questo eco-mostro, nemmeno i vari enti compiacenti possono fare nulla contro il volere unito della gente, ma se decidiamo invece di chiudere tutti gli occhi, non possiamo poi lamentarci delle conseguenze.
A Parma il gruppo che più di tutti si è battuto su questo fronte è stato quello di Rete Ambiente al quale tutti possono aderire alla pagina web http://www.reteambienteparma.it/
Potete trovare testimonianze fotografiche del taglio dissennato e spiegazioni tecniche ancora più esaurienti.
Ricordiamoci che il futuro nasce dal presente e il presente ce lo stiamo costruendo noi, quindi specialmente ora in cui la persistenza nel voler restare a tutti i costi in questa Unione Europea ci sta procurando seri problemi (tra cui questo), abbiamo il dovere di lottare per riprenderci tutto quello che ci stanno portando via e per uscirne vittoriosi dobbiamo essere tutti più uniti che mai e lottare insieme.

Dimitri Bonani

domenica 24 novembre 2013

Le bioenergie sono davvero a zero emissioni di CO2? ( L'agenzia Europea su combustione di biomasse ed effetto serra)



Il comitato scientifico dell'European Environment Agency (EEA) ha pubblicato un documento destinato a riconsiderare l'analisi dell'IPCC e ad accendere il dibattito sui conclamati benefici della bioenergia nelle strategie di lotta all'effetto serra e sui conflitti tra bioenegia e sicurezza alimentare, uso sostenibile del territorio, corretta gestione delle risorse idriche e forestali, qualità dell'aria.

Il parere dell'EEA punta il dito contro il presupposto — accettato anche dalla Direttiva UE 2009/28/EC sulle energie rinnovabili — per cui la combustione della biomassa è carbon neutral, in assoluto. Secondo il comitato scientifico dell'EEA la combustione della biomassa, quando il suo prelievo è accompagnato da una riduzione dello stock di carbonio nella biomassa e nel suolo, o quando con il prelievo si compromette il potenziale di un ecosistema di agire come carbon sink (bilancio netto positivo tra carbonio assorbito ed emesso), produce accumulo di carbonio atmosferico. Esattamente come il petrolio, il carbone e il gas naturale.

Nel caso di una superficie forestale matura che viene deforestata per una piantagione a fini energetici si verifica non solo la rimozione dello stock forestale (e il conseguente rilascio in atmosfera di gas-serra), ma anche l'interruzione della possibilità per quella foresta di aumentare il carbon stock (ossia la quantità totale di carbonio immagazzinata nella biomassa viva e morta e nel suolo) e generare ulteriore prelievo di carbonio dall'atmosfera almeno per un certo numero di anni.
In sostanza, secondo il comitato scientifico dell'EEA, la decisione di usare superfici agricole o forestali per bioenergia va a spese d'una minore quantità di carbonio immagazzinato nelle piante e nel suolo.
Il comitato scientifico dell'EEA invita l'UE a rivedere i regolamenti UE e i suoi target energetici e a favorire l'uso della bioenergia da biomassa solo se essa è realmente supplementare (o addizionale) rispetto
a quella esistente.

Il cambiamento d'uso del suolo verso una coltivazione-energia può avere impatti negativi su sicurezza alimentare, biodiversità, qualità del suolo, paesaggio, disponibilità e qualità dell’acqua, inquinamento di
fiumi e laghi, emissione di sostanze tossiche.

venerdì 22 novembre 2013

Assemblea di Langhirano di sabato 16 novembre 2013

Una bella assemblea quella di sabato 16 Novembre a Langhirano. Amministratori e comitati, tanta gente di montagna. Un dibattito intenso che deve continuare.

Considerazioni emerse sui tagli della legna.

Il bosco ha smesso da tempo di essere risorsa economica per la vita della montagna in termini di legnatico. Assumono sempre maggior valore altre sue funzioni.
Dal suo carattere di attrattiva paesaggistica alla sua funzione di spugna contro il dilavamento e lo scorrimento selvaggio delle acque piovane ( assorbe le piogge e restituisce l'acqua più lentamente). Il suo ruolo di presidio per l'assestamento del suolo dei versanti impedendo frane di scivolamento ( tali frane nascono per scalzamento al piede di un versante ad opera di acque fluviali o ad opera dell'uomo, o per processi di disgregazione meteorica. Le frane che non dipendono dall'assetto del versante e del suo boscamento cui si riferiva il tecnico provinciale dei tagli, sono le grandi frane gravitative come quelle di Corniglio e di Capriglio).  
Il suo ruolo, inoltre, di assorbimento della CO2 dall'atmosfera e quello di incorporo di carbonio nel suolo dal degrado graduale della sua necromassa. 
Infine la sua funzione di polmone per il ricambio dell'aria impregnata di polveri ed ossidi della Val Padana.

Ma i tagli dei boschi nella nostra montagna sono ripresi con una intensità senza precedenti negli ultimi anni.

Se gli ettari richiesti al taglio e i tagli stessi riguardano solo in minima parte l'autoconsumo, significa una sola cosa : I TAGLI SONO DETTATI DAL MERCATO.
E' il mercato a decidere la quantità di esbosco del ceduo, la tempistica dei tagli e la destinazione della legna.
E nessuna legge o normativa lo può fermare. Non lo fanno le amministrazioni o la forestale, che al massimo comminano qualche multa che non funzionerà da deterrente perchè verrà poi discussa e ridotta in Comunità Montana.
Che, poi, il problema vero non è la qualità dei tagli, il modo in cui sono fatti ( anche se è un problema reale),ma il fatto che non c'è alcun limite alla loro quantità se non il mercato stesso e la sua domanda.
Il mercato, attraverso imprenditori e commercianti, scambia denaro con legna da ardere. Consuma una risorsa fondamentale per la montagna per pochi spiccioli.
Infatti, di tutto quel denaro resta poco in montagna.
La gran parte dei soldi per i proprietari dei boschi tagliati va in città ( i 3/4 delle case di montagna sono ormai seconde case e così presumibilmente anche le proprietà boschive). La gran parte della remunerazione per il lavoro di taglio va a gente dell'est-europa pagata in nero. Una quota consistente di denaro serve a ripagare
i macchinari necessari al taglio industriale. Ma la fetta più consistente va a chi commercia la legna, agli agenti del mercato.
Certo, anche in montagna c'è qualcuno che intasca soldi. Se uno che fa tagliare il suo bosco, riceve 1.000 euro per ettaro, ma poi per vent'anni non se ne parla più.
Se è uno che taglia in proprio, viene ripagato il suo sudore e la fatica che ha fatto.
Ma i pochi soldi che restano in più in montagna non creano un'economia. Non circolano lassù, non fanno lavorare altra gente, al massimo servono solo a comprare beni di consumo giù in città.
Se è uno di città che ha fatto tagliare, uno che ha ancora boschi lassù, incassata quell'una tantum di 1.000 o 2.000 euro non potrà più contare in futuro su quella misera rendita per far fronte alla crisi economica che morde. Non può, certo, esser quella la soluzione dei suoi problemi.
Pochi spiccioli che non mettono in moto un'economia e che consumano una risorsa naturale essenziale.
Pochi spiccioli divisi tra tante persone e tanti soldi, soldi veri solo per pochi, per i padroni del mercato.

Se il valore dei boschi è ormai altro, se la loro funzione è quella di un bene comune a tutti gli effetti, occorre ripensare la legge, le normative e il ruolo delle amministrazioni. Non basta progettare i tagli perchè siano fatti a regola d'arte, occorre limitarne la quantità e la distribuzione, disancorandoli dal mercato.
Probabilmente occorrerà sviluppare consorzi di proprietari che decidano in proprio le quote di taglio e il rapporto col mercato.

Se occorre ripensare alla loro funzione ad al loro valore, occorre contrastare la speculazione sulla legna da ardere.

lunedì 18 novembre 2013

Centrali termiche a cippato


Nella nostra montagna le centrali termiche, costruite o approvate ed in costruzione, sono ormai 8.
Milioni di euro di fondi FAS, di finanziamenti Regionali, di finanziamenti Provinciali e di debiti contratti dai comuni stessi sono andati ad alimentare l'industria dei combustori e dei cogeneratori, senza creare alcun posto di lavoro in montagna e senza contribuire a ricostruirvi un tessuto economico.
Soldi sottratti alla ristrutturazione dei borghi per il risparmio energetico, unico vero volano di lavoro per la ripresa dell'edilizia e del turismo.
Gli amministratori sostengono che una centrale termica a cippato inquina meno di tante stufe in quanto la combustione è ottimizzata e i fumi vengono trattati prima di essere emessi in atmosfera.
Non è vero.
Forse lo era per vecchie stufe e camini aperti, ma in montagna oggi si usano stufe a pellet o miste pellet-legna di moderna concezione e basse emissioni.
Una stufa a pellet da 20Kw di potenza costa 1900 euro, detraibili dalle tasse al 55% e scalda 150 m2 con poco più di 1000 euro in un anno.
Si chieda al comune di Palanzano che, dopo aver provato il cippato, nella centrale ( 700 Kw di potenza) è passato a bruciare pellet per non avere le emissioni e i quantitativi di cenere di prima.
Non si dice che, mentre il combustibile delle stufe in montagna è legna stagionata due anni, quello della centrale termica è cippato fresco di sfalci di bosco.
Il cippato, che appena tagliato ha un'umidità del 50- 60%, viene commercializzato fresco con umidità del 35-40% (potere calorifico indicativo di 2.500 kcal/kg, corrispondenti a 2 Kw/Kg, e con un elevato tenore di corteccia perchè da cippatura di ramaglie o di piante di piccola taglia. Paradossalmente dà meno cenere ed inquinanti la stufa che non la centrale, la quale arriva fino al 3% di ceneri pesanti.
Non si dice, altresì, che quel tipo di centrali termiche ( fino ad 1 Mw ) hanno come unico sistema di filtraggio il multiciclone che abbatte solo la fuliggine, cioè la cenere volante,quella più leggera,ma non gli inquinanti.
Lo stesso dott. Francescato, direttore di AIEL ( azienda italiana energia dal legno) afferma che nel caso di impiego di pellet e legna idonei, pellet di qualità certificata e legna con contenuto idrico M<20%, cioè legna stagionata due anni, l'emissione di particolato si attesta su circa 45mg/Nm3.
Mentre col solo multiciclone si hanno emissioni effettive di polveri tra i 75 e i 150 mg/Nm3.

Questo perchè, in pratica, tali centrali termiche non hanno un sistema di depurazione fumi.
Il multiciclone di cui sono dotate, per intenderci, non abbatte neanche i PM 10. Per abbatterli ci sarebbe bisogno di un filtro a maniche o ancor meglio di un filtro elettrostatico, capace di abbattere polveri fino ai PM 2,5.
Ma le PM 1 ed oltre non le abbatte nessun filtro.
Le emissioni di elevate quantità di polveri ultra sottili sono il principale problema dei biocombustibili solidi.
Ma una volta che una centrale termica sopra i 500 Kw di potenza è impiantata è difficile che un'amministrazione non le applichi una turbina per produrre elettricità ed intascare gli incentivi.
Gli incentivi sono commisurati ai kWh elettrici prodotti e questo criterio – valido per gli impianti eolici, fotovoltaici, idraulici – è inadeguato e controproducente nel caso delle biomasse. Perché le biomasse non sono solo energia grezza trasformabile in elettricità, come quella del vento, ma sono la totalità delle sostanze vegetali, con infiniti usi e funzioni, sempre con ricadute energetiche ed ambientali.
Qualche amministratore gioca sulla convinzione sballata che la combustione della legna provochi solo 'emissione di vapore acqueo e poco altro.
Sbagliato.
La combustione di biomasse legnose provoca emissioni di vapore acqueo e CO2,ma soprattutto di sostanze pericolose come monossido di carbonio (tossico), ossidi di azoto (tossici, irritanti) idrocarburi (cancerogeni), e particolato (le poveri a diversa granulometria) composto fondamentalmente da metalli e residui inorganici che adsorbono e trasportano diossine e furani.
I metalli ambientalmente più pericolosi ( Pb, Zn,Cd) finiscono nelle ceneri volanti e sono maggiori nelle ceneri di corteccia.
Per poter essere usato come fertilizzante, il contenuto di metalli pesanti non deve oltrepassare certi valori della cenere derivante dalla combustione di legna allo stato naturale. La cenere raccolta nei cicloni di impianti funzionanti con cippato di legna già supera i limiti indicati e non può essere utilizzata come ammendante.

La legna, nella categoria «biomasse», è stata inclusa nella lista Ue di energie rinnovabili a bassa emissione di Co2 presumendo che la Co2 prodotta dalla sua combustione sia compensata dalla Co2 catturata dagli alberi cresciuti al posto di quelli tagliati. In realtà, però, bruciare la legna può essere a basse emissioni di CO2 solo a certe condizioni, a seconda della velocità di crescita degli alberi. Ma la pubblicistica scientifica del settore forestale afferma che un bosco ceduo sottoposto a taglio recupera la stessa capacità di catturare CO2 precedente il taglio solo dopo circa tre anni.
Secondo l'Agenzia europea per l'ambiente, supporre «che la combustione di biomasse sarebbe intrinsecamente a emissioni zero ignora il fatto che usare il terreno per produrre piante per l'energia significa che questo 
terreno non sta producendo le piante per altri scopi, compresa la cattura di Co2».

l'Ue,con le centrali a legna, ha creato un incentivo che costa molto, probabilmente non riduce le emissioni e non stimola neppure l'adozione di nuove tecnologie energetiche.

Perchè allora nella nostra provincia ed in tutto l'Appennino Tosco-Emiliano stanno sorgendo come funghi centrali termiche a cippato ?

Il motivo è semplice : una volta impiantate le centrali, le amministrazioni si chiederanno perchè non utilizzarle anche per produrre elettricità ed intascare incentivi, come ha già fatto il comune di Monchio. Ci racconteranno che visto che ormai ci sono, varrà la pena farci un pò di soldi anche se ridicolo com'è il rendimento della combustione della legna per produrre elettricità ( a Monchio è del 10%, detto dal sindaco) , occorrerà bruciarne dieci volte tanto e tagliare ancor più i boschi, già rimaneggiati dalla speculazione sulla legna da ardere.

Questo il progetto per il futuro che ci prospettano amministrazioni e governo: produrre elettricità bruciando i boschi.

Serioli Giuliano

domenica 17 novembre 2013

Tagli boschivi e normative

I criteri attuali delle normative forestali sui tagli, orientati alla funzione produttiva di legna dei boschi, si rivelano inefficaci di fronte a crescenti richieste di conservazione della biodiversità ed al valore economico e turistico del bosco come componente del paesaggio. 
Esiste oggi la necessità di predisporre progetti di taglio alternativi e più aggiornati per costruire consenso sociale attorno a nuovi, più completi e trasparenti indirizzi di gestione del patrimonio forestale.
Il bosco ceduo si trova da tempo al centro di un dibattito tra chi ne riconosce il carattere di sostenibilità e chi invece non lo considera compatibile con tale requisito.
Il tentativo di far coincidere il concetto di sviluppo economico con la crescita del PIL si manifesta attraverso due eclatanti fenomeni presenti in quasi tutti i paesi industrializzati: una crescente disoccupazione e un crescente degrado dell'ambiente.
Il taglio raso generalizzato del ceduo, come si sta di nuovo realizzando oggi, non risolve assolutamente il problema dell'occupazione in montagna mentre accresce notevolmente il degrado dell'ambiente.
La crescita economica non ha niente a che fare con l'equilibrio biofisico, che è invece alla base dello sviluppo sostenibile.

Il bosco per eccellenza è la foresta, la faggeta del Casentino, le distese di grandi alberi dei parchi naturali. E' anche l'intricata macchia mediterranea.
Ma nel nostro paese esiste tutt'ora il bosco da sottoporre a taglio economico, a ceduazione per produrre legna da ardere. Ed è circa 1/3 di tutta la superficie boschiva.
Dalla fine dell'800 agli anni '60 del novecento il bosco ceduo ha avuto una funzione energetica preminente ed è stato sottoposto ad un taglio economico anche decennale. La sua funzione è stata poi soppiantata dai combustibili fossili e i boschi sono stati gradatamente abbandonati.
La maggior parte del bosco ceduo infatti è oggi un ceduo invecchiato.
Da uno studio della dott.ssa Annalisa Paniz di AIEL ( azienda italiana energia dal legno) si apprende che al 2012 il nostro paese ricava dai boschi cedui, estesi per circa 3.663.000 ha, circa 12,5 milioni di t. di legna da ardere e circa 0.8 mln. di t. di pellet corrispondenti a circa il 92% del loro accrescimento annuo, cioè della loro possibilità di ricostituirsi.
La soglia della loro rinnovabilità è quindi molto vicina ad essere intaccata.
E' una ripresa dei tagli dovuta alla speculazione sulla legna da ardere e sulle biomasse che rischia di intaccare seriamente la superficie fogliare e quindi di compromettere anche la capacità di cattura di CO2 da parte dei boschi.

I boschi cedui devono rimanere in proporzione agli abitanti che popolano la montagna ed ai loro bisogni di autoconsumo di legna. I rimanenti possono essere avviati a totale recupero come corpi forestali effettivi, 
avviandoli da cedui invecchiati a fustaie.

Gli svantaggi ecologici, infatti, associati all'esercizio della ceduazione, possono essere gravi se associati agli effetti a breve dei cambiamenti climatici.
  • Erosione e dilavamento del suolo. In seguito alla ceduazione del soprassuolo si verificano bassi valori di copertura fogliare che accentuano i rischi idrogeologici legati a fenomeni di erosione e di dilavamento, in particolare subito dopo il taglio raso.
  • Impoverimento del suolo. Erosione e dilavamento del suolo sono conseguenza diretta del progressivo impoverimento del soprassuolo boschivo. La ceduazione può inoltre comportare un graduale esaurimento del terreno a causa dello squilibrio tra le sostanze asportate e humus non ricostituito.
  • Riduzione del ciclo biologico degli alberi. Con il governo a ceduo i cicli di produzione hanno una durata di pochi decenni con turni anche solo di circa 15 o 20 anni. L'estrema riduzione dei cicli biologici determina una notevole disparità rispetto alla naturale longevità secolare delle specie arboree;
  • Riduzione della variabilità genetica. La riproduzione agamica, tramite polloni, non può essere considerata “rinnovazione”. Se è tale sotto il profilo legnoso-produttivo, dal punto di vista ecologico è un patrimonio genetico che si mantiene in vita, ma non si “rinnova”. Al contrario, la variabilità genetica si riduce.
  • Modificazioni estetiche e paesaggistiche. La ceduazione può provocare un forte impatto sul paesaggio, soprattutto nel caso di tagliate di una certa estensione.
A seguito delle tagliate il paesaggio è percepito come bruscamente alterato per la durata di anni.

E'possibile valutare misure di tutela e contenimento dell'impatto ambientale, in relazione agli obiettivi di Rete Natura 2000.
  • applicazione di turni più lunghi rispetto a quelli tradizionali;
  • riduzione della superficie delle tagliate;
  • sospensione delle utilizzazioni in zone di criticità (ad es. rilascio di fasce di rispetto);
  • adozione di tassi di utilizzazione cautelativi;
  • differimento spaziale delle utilizzazioni al fine di non creare ampie superfici prive di copertura;
  • rilascio di matricine, dove possibile per gruppi, e di specie diverse da quella principale per favorire la creazione di popolamenti misti;
  • rilascio di individui di grosse dimensioni di specie rare o sporadiche, o fruttifere
  • rilascio in bosco dei residui delle utilizzazioni dove non esistano particolari problemi legati al rischio di incendio, con l'obiettivo della creazione di humus.

Giuliano Serioli

venerdì 15 novembre 2013

"Togliete le castagne per le biomasse che rendono di più". E il biomassista Rossi (presidente PD della Toscana) si becca una clamoosa contestazione da un cittadino

Il presidente biomassista della Toscana, Rossi, contestato a Gallicano (lucchesia) da un imprenditore che non si è trattenuto quando il politico ha consigliato di eliminare i castagneti da frutto per trasformarli in piantagioni per la produzione di biomassa per le centrali. La contestazione "è stata un modo per tirar fuori la mia rabbia nel vedere tutto il nostro patrimonio sottratto alla comunità per l'avidità di qualche politico e gli interessi di qualche cooperativa”. Le biomasse come goccia che fa traboccare il vaso.



Il contestatore di Enrico Rossi: “Vi spiego perché ho reagito così…”
(01.11.2013)

Personalmente ho assistito a decine, direi centinaia, di visite ufficiali di autorità, politici e amministratori vari. Solitamente la scena che si ripete è sempre la stessa e mi richiama sempre alla memoria la celebre e meravigliosa scena del secondo film di Fantozzi, quella del varo della nave al porto di Genova con esilarante elenco di personalità, dal sindaco con fascia tricolore, al ministro della marina mercantile, dalla 102enne baronessa all’arcivescovo con anello pastorale… 20-30 minuti di attesa, l’arrivo tra strette di mano e fotografie, i discorsi ufficiali e di circostanza, gli applausi: sempre uguale il copione, sempre meno che nell’ultima occasione, quella della visita a Gallicano del ministro dell’ambiente Orlando e del governatore della Toscana Enrico Rossi.
In particolare quest’ultimo è stato contestato da un cittadino, un imprenditore locale, presente nell’aula: una scena alla quale mai avevo assistito e che mi ha spinto a cercare quest’uomo, dotato sicuramente di grande coraggio e sincerità. Per capire le ragioni della sua reazione: si chiama Luca Lorenzi, imprenditore di Fornovolasco nella troticoltura e proprietario di un ristorante caratteristico della zona, L’Eremita alle pendici dell’Eremo di Calomini.
“Le ragioni della mia reazione? Sono semplici, mi trovavo all’incontro, assieme ad altri imprenditori della zona, per avere risposte istituzionali da parte di colui che ha il potere di gestire il denaro pubblico in occasioni come questa e da lui ci aspettavamo risposte chiare. Il governatore Enrico Rossi ha effettivamente detto che avrebbe dato qualcosa alle famiglie, mentre non si è preso impegni chiari con le aziende. A parte questo, sentir parlare di abbandonare la coltivazione delle castagne, in favore dello sfruttamento del bosco più redditizio, a sentire lui, per la legna per le centrali a biomasse mi ha veramente irritato”.
Lei pertanto contesta le parole di Rossi che ha esaltato la produzione di energia con le centrali a biomasse grazie alla legna dei boschi… “ Rossi ha affrontato l’argomento in maniera superficiale,affermando per esempio che gli impianti a biomasse non inquinano, che il bosco viene coltivato dai taglialegna. Chiunque sa, 
invece, che tagliando il bosco, il rischio è che franino le montagne”.
La sua reazione è stata pertanto giustificata… “La tensione accumulata nei giorni precedenti mi ha fatto reagire in modo sbagliato, anche se purtroppo era l'unico modo per farsi sentire. Mi scuso per il tipo di reazione, comunque”.
Come ritiene che dovrebbe essere affrontato il problema della tenuta dei boschi e del territorio? “Io credo profondamente che si debba vivere in armonia in un territorio, creare la bio diversità. Tutto ciò che va in una sola direzione porta all'impoverimento dell'ambiente. Abbiamo un territorio difficile anche da vivere ma che ha spettacolari bellezze. E' un territorio che risulta più facile e talvolta più remunerativo sfruttandolo dal punto di vista turistico. Io ne ho fatto una scelta di vita. Ho investito tutto per realizzare un'attività sostenibile in armonia con il territorio in cui vivo. La mia famiglia vive del territorio e lo cura, certo non diventeremo mai ricchi ma a noi non mancherà mai niente. Noi da 18 anni facciamo accoglienza ma è sempre più difficile farlo in un territorio abbruttito, scarsamente curato, poco pulito. La reazione che ho avuto e di cui mi scuso se è risultata offensiva, è stata un modo per tirar fuori la mia rabbia nel vedere tutto il nostro patrimonio sottratto alla comunità per l'avidità di qualche politico e gli interessi di qualche cooperativa”.

Simone Pierotti 

lunedì 11 novembre 2013

Incontro dibattito: tagli della legna in montagna e biomasse

COMUNE DI LANGHIRANO                                    RETEAMBIENTEPARMA 

incontro dibattito

TAGLI DELLA LEGNA IN MONTAGNA E BIOMASSE

Il paesaggio della nostra montagna sta cambiando: frane; interruzioni di strade; sempre meno gente nei paesi; pochi turisti e di contro un rinnovato utilizzo e sfruttamento dei boschi.

Autoconsumo o speculazione del mercato sulla legna da ardere?

Soldi che, restano in montagna; che generano reddito locale?

La legge non basta, non frena la speculazione. Occorre una pianificazione dei tagli in modo che non intacchino la rinnovabilità e non accrescano il degrado di versanti e strade.

E poi centrali, centrali a biomassa.

Bruciare biomasse per produrre calore ed elettricità è ammesso dalle normative vigenti ed è diventato un mantra intoccabile per i governi che si succedono nel nostro paese.

Quali possibilità hanno i cittadini per incidere sulle scelte energetiche dei territori come gli stessi PAES prevedono.

Cittadini preoccupati per le emissioni nocive come lo è la stessa Comunità Europea con la sua DIRETTIVA ARIA : "che prevede che ogni nuovo impianto non accresca l'inquinamento esistente, anzi lo abbassi”.

Ne parliamo:

sabato 16 novembre ore 17:00 presso il Centro Culturale di Langhirano

sono gradite adesioni di amministrazioni, comitati di cittadini, associazioni ambientali entro martedì 12/11.

Hanno già dato la loro adesione :


  • Comitato giarola-vaestano(palanzano)
  • Comitato pro val parma(corniglio)
  • Libera
  • WWF
  • Acgr
  • Legambiente alta val taro

martedì 5 novembre 2013

Aggiornamento tagli Monte Fuso

Disboscamenti avvenuti quest’anno sul versante sud del Monte Fuso.
I tagli corrisposti alle lettere B e C sono a valle del Monte Faino, la cui cima è visibile sull’immediata destra della lettera “C”,
mentre il taglio corrispondente alla lettera A, è molto più a ovest della suddetta cima.



 Taglio A da una posizione migliore.



Proseguendo verso est possiamo vedere un altro notevole taglio boschivo all’interno del Monte Lavacchio, il monte situato subito ad est del Monte Faino.



Più a est ancora, uno dei tagli più massicci, che arriva fino in prossimità del torrente Bardea.
Forse questa zona viene ampiamente martoriata per la posizione particolarmente nascosta alla vista, infatti la parte inferiore della macchia boschiva tagliata, non è visibile nemmeno da questa posizione.




sabato 2 novembre 2013


Una dilagante forma di grave illegalità ambientale 

Il nuovo crimine di devastazione di boschi e foreste tra "furti di legna" e reati di danno all'ambiente boschivo 


A cura del Dott. Maurizio Santoloci


Una nuova dilagante forma di crimine ambientale si aggiunge da qualche tempo ai già numerosi attacchi al nostro territorio posti in essere da fronti e per finalità diverse: il fenomeno dei tagli abusivi degli alberi nei boschi e foreste per depredare il legname che ne deriva a fini commerciali. Fenomeno che si indica comunemente come “furti di legna”, terminologia che – lo diciamo subito – a noi non piace perché molto riduttiva e fuorviante, in quanto culturalmente rischia di relegare queste azioni delittuose ad una mera “asportazione di legna” dal territorio e dunque di rispolverare arcaici concetti degli alberi visti solo come “legname” da commercio e non già in via primaria come preziosi beni ambientali. Sul bosco da decenni si fronteggiano due visioni del tutto antitetiche, tra una cultura che vede le nostre aree verdi solo come fonte produttiva di “legno” ed altri “prodotti”, ed una cultura che invece individua nel bosco un’entità di primaria importanza ambientale in senso totale ma anche paesaggistica. E le terminologie sono importanti per affrontare bene i fenomeni criminali conseguenti. E’ un po’ come l’uso di qualificare come “piromani” i criminali incendiari dolosi; sono due cose ben diverse (il primo è un malato psichico, il secondo è un soggetto che delinque in modo perfettamente consapevole). Le terminologie errate a volte creano retropensieri di tacita giustificazione o attenuazione di responsabilità latente.

Così oggi se ricolleghiamo il fenomeno, puramente criminale, dei tagli a raso di intere aree boscate ad un “furto di legna”, poi magari si passa a ricollegare tali tagli con il contesto della crisi generale e della necessità per qualcuno di “riscaldarsi” e di trovare un po’ di legname per non morire di freddo etc… etc… (vedo già articoli di stampa così orientati) e si passa implicitamente – a livello culturale – dal crimine puro al fenomeno sociale (che poi fa costume e notizia) sì illegale, ma poi di fatto meno illegale in via sostanziale.. E’ un po’ come l’alibi che molti furbi autori di scellerati abusi edilizi sulle coste sono riusciti abilmente a creare a livello di comunicazione sui mass media, inventandosi il concetto di “casa di necessità” per creare cortine fumogene a difesa degli scempi edilizi delle seconde case e fronteggiare poi le demolizioni mischiando tra ville sul mare qualche casetta modesta abitata da anziani da usare come scudo ideologico.

Il crimine di taglio di alberi a fini di commercio va dunque affrontato per quello che è, in relazione ai gravissimi danni che sta creando nelle aree boscate ed in connessione con tutti gli altrettanto gravissimi reati conseguenti che – logicamente – non sono collegati solo al “furto di legna” ma prima ancora anche e soprattutto ai danni ambientali provocati e – dunque – ai reati connessi con le norme ambientali ed a tutela del territorio. E questo – sempre logicamente – indipendentemente dal fatto che il bosco sia su un’area privata o pubblica. Il danno ambientale è in questo senso da sempre storicamente trasversale. Si cambia solo il soggetto di parte lesa.

E va considerato – sempre in relazione al problema di inquadramento culturale sopra citato – che vanno bene valutate le relazioni tra illeciti amministrativi previste dalle norme (antiche) di settore che individuano il bosco ancora solo come “legname” e fonte economico/produttiva, ed i reati ambientali più moderni ed in linea con la tutela dell’ambiente a livello europeo. Se tali diverse tipologie di illeciti (derivanti da concezioni culturali appartenenti storicamente a visioni, ma soprattutto epoche, totalmente diverse) coesistono a livello di vigenza normativa nel nostro sistema giuridico, non significa certo che una esclude l’altra o – peggio – l’una “assorbe” l’altra…

Quindi, per essere più chiari, se tagliare alcuni alberi nel contesto della normativa specifica di settore sui tagli (più vetusta) è solo un illecito amministrativo connesso al problema “albero = fonte di legname e fonte di reddito”, per la legge sui vincoli paesaggistici ambientali e per le altre leggi a presidio del territorio (di più moderna concezione) quello stesso taglio è un grave crimine contro l’ambiente, ed anche e soprattutto in tale contesto va perseguito a livello di intervento di polizia giudiziaria (oltre che essere un furto ai sensi del codice penale). Ci possono dunque essere anche gli estremi – secondo i casi -­‐ per un arresto in flagranza o per un fermo di PG o per una richiesta di ordinanza di custodia cautelare alla magistratura. Comunque sono doverosi i sequestri preventivi delle aree e soprattutto dei mezzi (tutti, anche dei veicoli) utilizzati dagli autori di tali delitti, per impedire che il reato venga reiterato e/o portato ad ulteriori conseguenze (lasciare nella disponibilità di tali soggetti colti in flagranza gli strumenti e i veicoli utilizzati per commettere tali reati significa omettere l’azione preventiva di impedire quello ed altri futuri reati similari).

Questo fenomeno vede una particolare incidenza nel centro-­‐sud della penisola, nei parchi nazionali e nelle proprietà demaniali. I boschi maggiormente coinvolti sono – appunto -­‐ quelli demaniali, come quelli compresi in zone sottoposte a vincoli idrogeologici e paesaggistici, parchi nazionali e regionali. In generale tutte quelle foreste nelle quali sono presenti alberi di alto fusto e di specie particolarmente pregiate. Non vengono risparmiati neanche alberi secolari e zone di alto pregio ambientale.

A lanciare l'allarme è il Corpo forestale dello Stato, che solo nel 2012 ha rilevato più di 800 illeciti penali, con conseguenti 20 arresti, e quattromila illeciti amministrativi a fronte di circa 40mila controlli nelle regioni a statuto ordinario, per un totale che supera i 3 milioni di euro. E il trend è in aumento nel 2013 e conta già 25 arresti in flagranza di reato.

La formula è sottrarre grandi quantitativi di legname per poi rivenderli a basso costo. Non vengono lasciati in pace neanche alberi secolari. Questo perché piante di tale mole possono essere utilizzate per la fabbricazione di mobili o come combustibile.

Inoltre c’è da sottolineare che i tagli cosiddetti “a raso” creano un danno ambientale devastante, anche con incidenza diretta poi sugli assetti idrogeologici del territorio e favoriscono frane e crolli territoriali di ogni tipo, oltre che il mancato controllo del flusso delle acque delle piogge con i fenomeni poi che vediamo ormai frequentemente sulle cronache. Anche l’impatto ambientale sulla fauna di questo tipo di crimine a danno dei boschi è notevole dato che priva tutti gli animali di una vasta area di ogni possibile rifugio o luogo di nidificazione.

Insomma un vero e proprio “mercato nero” del nostro patrimonio boschivo con effetti nefasti a tutti i livelli che merita la massima attenzione da parte di tutti e – soprattutto . nessuno sconto a livello culturale, ma anche e soprattutto procedurale e sanzionatorio.


Maurizio Santoloci

Pubblicato il 31 ottobre 2013




sabato 26 ottobre 2013

Montagna: tagli e centrali


Il paesaggio della nostra montagna cambia in peggio, comincia ad allarmarci.
Boschi come groviere, strade sfondate dai camion che portano via legna, frane, interruzioni di strade, sempre meno turisti e sempre meno gente nei paesi.
Non si tratta più di autoconsumo, come la burocrazia si ostina ancora a chiamare i tagli.
Che il fabbisogno della gente rimasta nei borghi è irrisorio rispetto a quanto tagliato.
E' un'altra cosa, vero e proprio taglio industriale, speculazione economica.

Soldi che restano in montagna?
Ben pochi. La gran parte vanno a chi commercia legna in pedemontana.
Altri vanno ai proprietari dei boschi, in gran parte da tempo residenti in città.
Altri ancora vanno a remunerare l'acquisto di macchinari per il taglio ed il trasporto.
Certo, tanti tagliano e qualcosa si mettono in tasca. Ma la gran massa dei tagli viene fatta da imprese nate dal nulla e che utilizzano gente dell'est europa pagandola in nero e a resa. Soldi, di cui praticamente niente resterà in montagna.
Versanti spogliati e strade sfondate, quindi, cui non corrisponde un'economia.
Nessun giovamento alla vita dei paesi, nè lavoro per trattenere i giovani.

La legge c'è, permette ai proprietari dei boschi di tagliare fino ad un massimo di 6 ettari.
Ma è una legge che non tiene conto della speculazione sulla legna da ardere.
Se il mercato inducesse la gran parte di chi possiede boschi a tagliarli per far soldi, complice una ulteriore recrudescenza della crisi economica, e tutti tagliassero, chi li potrebbe fermare? Questa legge?
Sicuramente no.
Occorre preoccuparsi di non intaccare la rinnovabilità dei boschi e di non accrescere il degrado idrogeologico.
Occorre un piano annuale dei tagli che ne tenga conto e che non possa essere eluso e superato.

Molti amministratori sostengono le tesi dei tagliatori.

“L'abbandono dei boschi è palese e non è positivo. Una politica delle comunità montane che possa permettere la nascita di qualche centrale a biomassa che permetta la produzione di elettricità e di teleriscaldamento non farebbe male e permetterebbe di monitorare e tenere puliti i boschi, garantendo la giusta turnazione delle piante, la pulizia del sottobosco ed in ultimo ma non meno importante garantire lavoro a territori che continuano a spopolarsi a causa di mancanza di lavoro”.
Finanziamenti di Regione e Provincia per la montagna sono, infatti, solo finalizzati dotare di macchinari di taglio le comunalie e soprattutto ad impiantare centrali termiche a cippato.
Non si comprende cosa voglia dire creare posti di lavoro nel taglio dei boschi. Il lavoro lo crea già il taglio speculativo e selvaggio, lo crea il mercato della legna da ardere.
Dotare di mezzi meccanici di taglio una comunalia significa dare man forte a tale mercato senza regole,
incentivare le comunalie a far parte di tale meccanismo perverso.
D'altronde, la cosa è del tutto coerente alle affermazioni di funzionari  ed amministratori :
qualcuno ha detto che 'siamo seduti su un nuovo petrolio e neanche ce ne accorgiamo';
altri dice che potremmo anche tagliare tutto quello che è ricresciuto nei boschi da quarant'anni a questa parte senza preoccupazione alcuna per la rinnovabilità.
Anche se la rinnovabilità annuale, il 4% di tutta la massa boschiva, è decretata dalla Regione come non superabile.

Ormai chi abita in montagna per riscaldarsi non usa più il gpl, nè tantomeno il gasolio, entrambi carissimi. La gente è tornata a bruciare legna nei camini, nelle stufe, dotandosi anche di moderne stufe a pellet o stufe miste pellet-legna. In montagna, da sempre, si usa legna che brucia bene, legna stagionata due anni : un anno all'aperto ed uno al chiuso, in modo che il suo tenore di umidità sia inferiore al 20% ed abbia un alto rendimento di calore.
Perchè allora impiantare centrali a cippato per produrre calore per il teleriscaldamento?
Centrali da 500 Kw a 1.000 Kw di potenza?
Dicono, per fare economia. Non ha senso, non certo rispetto alla legna e al pellet!
Dicono, per avere meno emissioni nocive rispetto alle vecchie stufe a legna.
Ma le centrali bruciano cippato fresco, con umidità elevata, basso rendimento,
senza alcun filtro per abbattere le emissioni nocive!
Dicono, il filtro c'è, è il multiciclone. Ma no, serve solo a raccogliere le ceneri volanti!
Dicono, la maggioranza della gente sono anziani che non ce la fanno più a ricaricare la stufa.
Non è vero, un anziano che non ce la fa più viene accolto nella casa protetta.
Dicono, per creare posti di lavoro. Non è vero,le centrali sono completamente automatizzate!

Parchè buttare tutti quei soldi nelle centrali termiche e non nel risparmio energetico?
Perchè non avviare la ristrutturazione dei borghi per un'accoglienza turistica diffusa che creerebbe subito posti di lavoro nell'edilizia?

Forse perchè l'intento inconfessato delle amministrazioni è di produrre poi elettricità con le centrali, come sta facendo Monchio?
Ma sarebbe una follia! La legna ha un rendimento bassissimo.
Bruciare i boschi per produrre un po di elettricità? Davvero pazzesco!
Però, badate bene, era ciò che teorizzava nel 2009 Mercedes Bresso, ex governatore Pd del Piemonte:
centrali elettriche a legna dal diradamento di tutti i boschi della regione.

Serioli Giuliano

venerdì 25 ottobre 2013

Bannone, carte in tavola

Bannone, carte in tavola

Da una parte il profitto di una azienda, dall'altra il benessere dei cittadini. I sindaci da che parte stanno?



Salone pieno al circolo Arci di Bannone, dove oltre un centinaio di persone si sono riunite per discutere della centrale a combustione di pollina che si vuole impiantare a S.Maria del Piano.

Il progetto è del proprietario del locale allevamento industriale di tacchini (75.000 capi), ed è finalizzato all'incasso dei 250.000 euro di incentivi disponibili.

La dichiarazione è dello stesso titolare, una settimana fa all'assemblea di Rivalta.

I presenti sono quindi già informati che trattasi di un progetto speculativo.

Il sindaco Mari di Traversetolo e Cavatorta di Lesignano, che hanno organizzato l'incontro, sono chiaramente imbarazzati.

I cittadini sono tanti e il nervosismo è palpabile.

Si rumoreggia ed è chiaro da che parte stiano i residenti.

Gli amministratori esordiscono alla Ponzio Pilato, indicando nella conferenza dei servizi l'organo che prende le decisioni nel merito, con il coordinamento della Provincia.

Poi arriva la solita dichiarazione di incompetenza tecnica nel fare le giuste valutazioni.

Ma l'affermazione suscita le risate dei presenti.

Il sindaco è o non è la massima autorità sanitaria? E' il grido della platea.

I cittadini non hanno dubbi. E' un no fermo alla centrale.

Allora i sindaci, Cavatorta in particolare, tirano fuori il PAES.

Nel piano di attivazione delle energie rinnovabili, appena approvato, è prevista la combustione di biomasse. E' cosa buona e sana sostituirla ai combustibili fossili, altrimenti Kyoto va a farsi friggere. C'è poi la previsione di leggi e normative europee e nazionali contro cui non si può andare. Infatti il sindaco Bovis di Langhirano, che si era opposto, è sotto scacco da parte delle autorità e del suo stesso partito, il Pd.

Ma le cose non stanno proprio così.

Il comitato di Trecasali, ad esempio, ha ottenuto il pronunciamento dei sindaci della bassa contro la centrale a biomassa (cippato di legna) dell'Eridania, da 13 Mwe, su cui c'era già l'accordo di Provincia e Regione. E il progetto andò a picco.

Non devono essere i cittadini a dover decidere cosa mettere e cosa no nel PAES?

Non devono essere loro a decidere cosa fare del loro territorio?

Non sono i cittadini a dover decidere in ultima istanza?

I sindaci rispondono di sì, a decidere devono essere i cittadini.

Ne prendiamo atto.

Quello che si vorrebbe fare a Santa Maria del Piano non è un piccolo impianto.

Per far funzionare un cogeneratore ORC da 120Kw/h che produca elettricità, è necessaria una caldaia da 1.200 Kw di potenza; sono necessarie 3.000 tonnellate di pollina, che produrranno circa il 7% di ceneri tossiche, cioè 200 tonnellate annue, da smaltire.

Ovviamente le emissioni che andranno in aria sono proporzionate a tale volume di ceneri, anche se la ditta che fornisce la caldaia dichiara che le emissioni rientrano nei valori delle normative vigenti.

In ogni caso polveri, ossidi di metalli pesanti, ossidi di azoto e diossina finiranno nell'aria dei centri abitati della zona, contravvenendo alla "Direttiva Aria" della UE che dice che un nuovo impianto non solo non deve far aumentare gli inquinanti in zona, ma dovrebbe abbassarli.


Giuliano Serioli

domenica 13 ottobre 2013

Lesignano e la pollina

Un impianto di cogenerazione da combustione di pollina da 150 Kwe, come  quello che vogliono impiantare a S. Maria in Piano (Lesignano), prevede di bruciare e gassificare circa 400 kg/h, cioè 9,5 t. al giorno, quindi 3.000 t. annue per produrre 150 Kw/he.
Infatti ha un rendimento bassissimo, circa del 13%. Circa 3.000 Nm3/h sono i gas emessi, vale a dire circa 22 milioni di Nm3 annui. Produrrà circa 1.100 Mwe bruciando pollina per 7800 ore annue.
Accederà a più di 250.000 euro di incentivi pubblici. ( 257 euro a Mwe ).
L'allevamento in questione ha 75.000 tacchini che producono circa 2.66o t. annue di pollina.

Avrebbe un sistema di depurazione fumi composto da : 1- un depolveratore a ciclone per la raccolta della fuliggine 2- un reattore a secco per l'abbattimento di sostanze acide ed adsorbimento di metalli pesanti tramite l'immissione ed il mescolamento nei fumi di calce idrata, Ca(OH2), e carboni attivi. Le reazioni chimiche di abbattimento producono dei sali : CaCl, CaF, Ca2SO4, Ca2CO3 che verranno recuperati dal filtro successivo. 3- un filtro a maniche in PTFE, un materiale microporoso sintetico ( politetrafluoroetilene) che trattiene polveri(anche PM2,5) e i sali che si diceva prima, che verrebbe pulito con aria compressa in contropressione.

Naturalmente la ditta proponente dichiara che le emissioni rientrano nei limiti previsti dalle normative, è ormai una filastrocca che raccontano tutti. Di fatto si avranno ulteriori emissioni di monossido di carbonio, di ossidi di azoto, di anidride solforosa, di ossidi di metalli pesanti.
In pratica sia il ciclone che il filtro a maniche raccolgono ceneri fini ( ben 180 t.) che dovranno essere portate in discarica, anche se ditta dichiara addirittura che faranno da concime per il terreno.
Ma tali filtri non sono sufficienti a trattenere le polveri sottili e le nanopolveri, cui si attaccano le diossine e che finiranno in atmosfera.
Occorrerebbe un elettrofiltro,ma è troppo costoso e allora niente.

La pollina è un ottimo concime naturale, ma uno degli effetti collaterali della pur sacrosanta "direttiva nitrati", cioè della necessità di diminuire la quantità di azoto per ettaro, è che si sta favorendo la termogassificazione della pollina per produrre energia elettrica anche se con un rendimento ridicolo ( 13%) e con emissioni nocive per l'ambiente.

In gran parte, la concimazione dei terreni è ormai fatta con fertilizzanti chimici, sovraccarichi di azoto e privi di sostanza organica.
I fertilizzanti agricoli sono ormai un optional : vicino ad allevamenti industriali sono sparsi in eccesso, da altre parti in misura anche nulla.
Fare a meno o diminuire la concimazione chimica vuol dire mettere un freno alla lisciviazione dell'azoto di sintesi o minerale, il primo a finire nella falda acquifera,inquinandola, rispetto all'azoto organico.
Se si riduce ulteriormente la concimazione da reflui animali e l'azoto di origine organica i terreni diventano infertili, polverosi, perchè privi di struttura humica.
Il carico di azoto degli avicoli è inferiore a quello degli altri animali da allevamento.

Perchè, allora, bruciare pollina ed avere emissioni nocive e ceneri dell'ordine del 7% del combusto, come nell' impianto di cogenerazione da combustione di pollina da 150 Kwe, che vogliono impiantare a S. Maria in Piano( Lesignano) ?

Semplice. Perchè è la soluzione più facile,anche se la più impattante sull'ambiente, per accedere agli incentivi.

MOLTO MEGLIO SAREBBE FARE UNA CENTRALE A BIOGAS PER DIGESTARE LA POLLINA.

La digestione anaerobica della pollina è di particolare importanza dato l'elevato potenziale energetico della matrice.
Problematica, però, per la biodigestione è l'elevato contenuto di azoto minerale ( acido urico) che in quelle proporzioni inibirebbero sviluppo batterico da cui prende avvio il processo.
Tale contenuto di azoto deve essere ridotto attraverso un pretrattamento volto alla formazione di un sale, il solfato d'ammonio, recuperabile come concime al posto di quelli sintetici, come si diceva più sopra.
Il pretrattamento della pollina consiste nello strippaggio dell'ammoniaca con acido solforico e con recupero del solfato d'ammonio con uno scrubber.
In tal modo può essere digestata anche pollina fino al 100%.

Con gli insilati la resa di metano è di 100 m3/t, con le deiezioni animali è il doppio.

La tecnica dello strippaggio con aria a pressione prevede il passaggio dell’ammoniaca, presente nel liquame in soluzione acquosa, in forma gassosa nell'aria. Il flusso gassoso così prodotto viene intercettato da uno scrubber( torre di lavaggio) che cattura l’ammoniaca presente, per contatto con una soluzione acida, in modo da produrre un sale di ammonio stabile.
Si tratta di un processo che necessita di quantità notevoli di energia termica; la sua applicazione, quindi, non può fare a meno della disponibilità di una fonte energetica a basso costo, come quella che potrebbe essere fornita da un impianto di digestione anaerobica, il cui biogas venga utilizzato per produrre anche energia termica necessaria allo strippaggio.

Dove finisce l'Ammoniaca strippata?

Nella maggior parte dei casi l'Ammoniaca che viene prodotta dall'impianto di strippaggio viene assorbita tramite un processo che utilizza come liquido di lavaggio una soluzione di Acido Solforico: per ogni kg di Ammoniaca occorrono 3 kg di acido solforico.
In questo modo si ottiene un sale, il Solfato d'Ammonio, che può essere gestito come un inerte.

Il Solfato di Ammonio è un ottimo fertilizzante.

Giuliano Serioli