"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

venerdì 19 dicembre 2014

Un altro inceneritore inutile e dannoso

Il caso Pilastro
Gazzetta di Parma - 19 dicembre 2014
pagina 45
Argomenti
di Giuliano Serioli
Rete Ambiente Parma

lunedì 24 novembre 2014

Montagna, disastri e progetti

Gli eventi disastrosi che hanno così gravemente segnato la nostra montagna ed in particolare la Val Baganza ed il Cornigliese devono farci riflettere.
L'evento atmosferico che ne è stato la causa è sicuramente di carattere eccezionale: 260 mm per m2 di acqua caduta a Bosco di Corniglio in sole due ore corrispondono a 260 litri d'acqua su ogni m2 tutto in una volta.


L'effetto spugna del bosco e della lettiera non poteva sicuramente essere sufficiente a trattenere tutta quell'acqua caduta in così poco tempo.
Ma col probabile perdurare di simili fenomeni atmosferici e con lo stato già disastroso degli eventi franosi degli ultimi anni, c'è da chiedersi come porsi nei confronti della nostra montagna e quali misure adottare per limitare i danni.
La ceduazione completa o con rilascio di matricine ha un effetto immediato sul soprassuolo rimasto. L'eliminazione dell'effetto copertura delle chiome espone il suolo all'azione diretta degli agenti atmosferici. Il dilavamento e l'aumento del deflusso delle acque superficiali crea un'alterazione della lettiera, aumenta l'erosione per instabilità del suolo, contribuisce alla maggior incidenza degli eventi atmosferici estremi ed altera le caratteristiche dei corpi idrici forestali.
Il taglio industriale del bosco implica, inoltre, l'apertura di piste da esbosco con rottura della copertura del suolo in grado di innescare movimenti franosi per il venir meno dell'effetto spugna della lettiera stessa.
La ceduazione con rilascio di matricine comporta spesso la caduta delle matricine stesse a causa di eventi atmosferici violenti contro cui il loro isolamento non può niente come ad esempio il fenomeno del vetro ghiaccio, contro cui piccole piante estremamente rade non hanno difesa alcuna.
In sostanza, la ceduazione con la perdita totale della chioma ha come conseguenza un impoverimento del suolo.
Erosione e dilavamento ne sono una conseguenza diretta.
La ceduazione in suoli molto acclivi può portare ad un graduale esaurimento del terreno a causa dello squilibrio tra sostanze asportate e quelle restituite.
La ceduazione spinta cui stiamo assistendo nel nostro Appennino ad opera del mercato speculativo della legna da ardere, l'indirizzo dei finanziamenti pubblici verso il taglio industriale con movimentazione del suolo di interi versanti, l'incentivazione pubblica di centrali a cippato di legna per produrre calore ed energia elettrica sono tutti fattori che contribuiranno al degrado idrogeologico della nostra montagna e ad un ulteriore crescita della sua franosità ed abbandono economico.
Delle intenzioni programmatiche della Regione Toscana non ci sono più dubbi: ha espressamente rivendicato di voler promuovere la costruzione di centrali a cippato di legna sotto il Mw per una potenza complessiva di 70 Mw elettrici, bruciando 700.000 tonnellate di legna, che corrispondono a circa 7.000 ettari di boschi.
Ma anche le intenzioni programmatiche della Regione Emilia Romagna sul progetto di centrali elettriche da legna non sono da meno.
Al termine di un incontro su un progetto di pala eolica presentato da un ingegnare di Parma è emerso che la regione sosterrà e finanzierà a breve progetti di centrali a biomassa legnosa per la produzione di energia elettrica da dislocare in tutto il territorio dell'Emilia Romagna.
Allora è tutto vero quello che andiamo dicendo ormai da anni.
Per la nostra regione l'uso della risorsa boschiva per ricavarne elettricità è un obiettivo.
Le centrali a cippato attuali sono solo termiche, ma rappresentano un cavallo di Troia per cominciare un processo che porterà ad un disboscamento industriale di cui la speculazione attuale sulla legna da ardere è solo un pallido riflesso.
Una montagna sempre più abbandonata e sempre meno abitata sarà predata delle sue risorse naturali, anche se le istituzioni identificheranno questo processo come un esempio virtuoso di economia sostenibile

Giuliano Serioli
24 novembre 2014

Rete Ambiente Parma

per la salvaguardia del territorio parmense

giovedì 16 ottobre 2014

Inquinamento, la madre di tutte le alluvioni

Il disastro ha una firma umana

E' vero, come denuncia Legambiente, che la cementificazione è la causa principale del mancato assorbimento dell'acqua piovana, e di conseguenza del suo dilavamento rapido verso valle.
Anche perché, se la cementificazione è statisticamente all'8% del territorio nazionale nel suo complesso, nella realtà, contando le aree montane che lo sono molto meno, nella pianura padana si arriva al 15%.
E' vero anche che sono troppi gli enti che fanno previsioni meteo in modo separato e che monitorano per loro conto gli eventi atmosferici: Protezione Civile, Ente Bonifica, Provincia,o quello che ne rimane, Comuni.


Dovrebbe invece funzionare meglio una catena unica, come quella della protezione civile, ma certo ha sbagliato le sue previsioni.
Tutti le hanno sbagliate.
Nessuno poteva immaginare che in due ore cadessero 26 centimetri di pioggia, come a Bosco di Corniglio. Una quantità d'acqua che nessuno ha previsto, come è successo nel fine settimana a Genova, o nei mesi passati nella pedemontana veneta, a Valdobbiadene.
Il cambiamento climatico è già in atto e ci trova impreparati a riconoscerlo, interpretarlo, prevenirlo.
I giornali hanno battezzato il fenomeno come “bombe d'acqua”, indicandolo come un evento anomalo.
Ma non basta, occorre chiarirne la dinamica.
Le previsioni sulla quantità di pioggia sono tarate sugli eventi precedenti, sullo storico delle precipitazioni in determinate località e non tengono conto di fattori nuovi, come ad esempio la maggior energia in gioco.
Nel nostro Appennino, un inverno senza neve fino a mille metri ha comportato che il calore immagazzinato dalla terra nei mesi estivi non si sia disperso con il ghiaccio e il gelo.
E' rimasto quasi intatto e si è sommato a quello dell'irraggiamento solare dalla primavera in poi.
Nella nostra montagna c'è sempre stato un microclima particolarmente umido, con temporali e massimi pluviometrici, perché l'irraggiamento solare su una foresta compatta creava le condizioni di evotraspirazione che favorivano temporali frequenti.
Ma questo nuovo rapporto energetico tra terra e cielo ha creato le condizioni per una estate anomala, con piogge quasi tutti i giorni, quasi fosse la condensa dell'evaporazione che il calore, l'energia in gioco, sviluppava.
Con l'autunno arrivano fronti di correnti fredde di differente temperatura che impattano su tale sistema energetico, sulla massa di umidità in eccesso presente, svuotandola dall'acqua tutta in una volta, con le conseguenze che vediamo.
Abbiamo innescato un meccanismo che esegue semplicemente le istruzioni date.
La pressione delle attività umane ha portato al surriscaldamento terrestre.
L'ambiente, per liberarsi dell'eccesso di calore, se lo scrolla semplicemente di dosso.
E sarà sempre peggio.

Giuliano Serioli
16 ottobre 2014

Rete Ambiente Parma

per la salvaguardia del territorio parmense

venerdì 3 ottobre 2014

Dissest Economy

Il lato oscuro del green washing

Giovedì scorso, presso il circolo Zerbini, Rete Ambiente Parma ha organizzato un incontro con l’adesione di Lesignano Futura, Commissione Audit e l'associazione Gestione Corretta Rifiuti.
Si è parlato dei tagli dei boschi nel nostro appennino, del dissesto idrogeologico e della cosiddetta green economy, tre temi molto connessi tra loro.


A questo appuntamento tanti amanti della natura, ma anche attivisti di commissione Audit, Rifondazione, WWF, Slow Food, rappresentanti del comitato Palanzano, del Comitato di Felino, di Salviamo il Paesaggio.
Il primo intervento quello di Roberto Cavanna, Centro studi Monte Sporno, che ha mostrato e raccontato come vengono realizzati i tagli dei boschi, le condizioni dei sentieri e il paesaggio che si presenta dopo l'utilizzo scriteriato di motoseghe e mezzi pesanti.
Dalle foto del territorio della Val Baganza (è così in larga parte dell'appennino), un'area, che dovrebbe essere sotto tutela ambientale e con vincolo d'immutabilità, si è potuto capire quanto sia lontana la corretta gestione del patrimonio arboreo, a causa di tagli spesso non controllati e lasciati alla "competenza" di tagliatori improvvisati o non rispettosi delle norme vigenti.
Ci sono aree dove il taglio è stato realizzato lasciando una percentuale di matricine appena sufficiente, aree invece dove si è adottato un taglio raso, non lasciando in piedi nemmeno un albero.
Un altro elemento la "coincidenza" di alcuni tagli con la formazione di frane.
Esempio tipico la frana di Pietta nel Comune di Tizzano, e altre frane minori lungo la provinciale che da Calestano porta a Berceto.
Si taglia ovunque, vicino a una frana o su versanti fortemente in pendenza.
Difficile comprendere come le autorità non vedano tali pericoli.
Roberto Cavanna ha mostrato il taglio anche di alberi molto vecchi, utilissimi per il sostegno del suolo, anche con un diametro di un metro e più.
Piante secolari perse per sempre.
Un altro grosso problema è il dilavamento del suolo.
I solchi formatisi nel terreno vengono scavati dall'acqua, che non avendo più alberi che rallentano il suo deflusso, innescano una fase erosiva che porta smottamenti a valle.
L'utilizzo di mezzi pesanti per recuperare la legna tagliata, escavatori e caterpillar per creare vie d'accesso a trattori e camion creano strade che una volta terminata la missione vengono completamente abbandonate, provocando ulteriori erosioni.
Che peso ha la green economy sul territorio e sulle persone?
Giuliano Serioli si è posto la domanda su quali impianti servano alla montagna per sopravvivere, e le centrali a biomassa certo assomigliano di più ad una mera speculazione economica.
Tagliare migliaia di tonnellate di legna, disboscando l'appennino, bruciare e produrre una quantità misera di corrente elettrica, con un rendimento nell'ordine del 10%, è una follia.
Eppure la volontà della regione è di investire in centrali a biomassa, così come la Toscana, che intende realizzare impianti per 70 MW, che prevedono l'utilizzo di circa 700.000 tonnellate di legna ogni anno e un esborso di circa 42 milioni di euro, quando con una centrale a metano, meno impattante sotto il profilo dell'inquinamento da polveri e metalli pesanti, si spenderebbe circa la metà.
La strada per trovare energia è quella del risparmio, investire cioè quei 40 milioni nell'efficientamento energetico degli edifici.
La strada intrapresa dal mercato degli elettrodomestici, che oggi sono arrivati a rese energetiche inimmaginabili anni fa.
Gli impianti a biomassa invece portano sempre grandi problemi.
E' il caso del cogeneratore della Citterio a Poggio S.Ilario (Felino) che dopo lo stop per l'eccessiva acidità del grasso da bruciare, che potevano creare seri problemi al motore, ha risolto l'imbuto trattando lo scarto con reagenti chimici e soda caustica, soluzione poi sversata nel Rio S.Ilario, adiacente allo stabilimento, con conseguente inquinamento delle acque.
E la diffida arrivata dalla Provincia.
La strada da seguire per trovare un economia in montagna non può passare dal taglio indiscriminato dei boschi e dagli impianti a biomasse, ma da un piano di sviluppo rurale, turistico ed edilizio di recupero dei borghi ed efficientamento energetico.
Enzo Valloni, dell'università di Parma, ha portato l'esempio degli interventi contro l'erosione delle coste adriatiche, che avviene con annuali scarichi di tonnellate di sabbia, senza invece pensare a risolvere il problema a monte, cioè nei fiumi che non apportano più al mare la parte sedimentaria, che andrebbe a fermare il fenomeno erosivo.
Bisogna cambiare i PAES dei piccoli comuni della val Padana, in modo che prevedano di risolvere l’inquinamento del suolo agricolo da sversamenti di liquami degli allevamenti industriali.
Facendo sì che le 500 centrali a biogas esistenti, che digestano mangimi animali da coltivazioni dedicate, passino a trattare letame e, attraverso lo strippaggio dell’ammoniaca, producano biometano da autotrazione e da mettere in rete.

Andrea Ferrari

Rete Ambiente Parma

per la salvaguardia del territorio parmense

lunedì 22 settembre 2014

Tagli boschivi & green economy

L'appuntamento è per giovedì 25

I tagli boschivi, il saccheggio delle risorse naturali da parte del mercato e della politica miope delle Regioni nascono dal guazzabuglio dei programmi della UE, che sostiene di voler accrescere la superficie forestale e nel contempo sviluppare energia da biomasse boschive.
La Ue, dopo Kyoto, ha adottato il programma 20-20-20, da raggiungere entro il 2020.



Ridurre le emissioni di CO2 del20%, accrescere del 20% l'energia da fonti rinnovabili, incrementare del 20% l'efficienza energetica.
In realtà è solo la crisi ad aver fatto ridurre le emissioni inquinanti, mentre l'efficientamento è ancora molto basso e lontano dal traguardo, e solo l'energia prodotta da fonti rinnovabili ha incrementato nettamente il suo valore attestandosi al 65%.
La direttiva europea Aria invece (no ad altre emissioni oltre la soglia esistente) è di fatto inapplicata.
In altre parole, un'economia liberista non è in grado di sviluppare l'energia da fonti rinnovabili senza penalizzare l'ambiente e l'aria che respiriamo.
E' la stessa Ue che ha prodotto lo sviluppo speculativo dell'energia da fonti rinnovabili, la cosiddetta green economy, che di verde ha molto poco se non niente.
La politica degli incentivi, slegati da qualsiasi grado di efficienza, spinta dai governi del nostro Paese, dalle Regioni e dalle altre istituzioni locali, ha fatto il resto: si costruiscono impianti non per usare in loco l'energia prodotta, ma con il solo scopo di incamerare soldi pubblici, i famosi incentivi.
Per dare una parvenza di progettualità alle fonti rinnovabili gli enti locali hanno promosso i Paes,
progetti molto astratti redatti da docenti universitari che mescolano impianti speculativi già esistenti e future applicazioni locali, frutto di cervellotiche farneticazioni di burocrati comunali.
Gli incentivi dovrebbero invece andare ad impianti promossi dalle istituzioni locali con la partecipazione ed il consenso dei cittadini, allo scopo di migliorare la qualità dell'aria, delle falde acquifere e dei terreni agricoli.
Non più soldi dal pubblico ai privati, ma dal pubblico al pubblico.

Se ne parlerà giovedì 25 settembre, alle ore 21, presso il circolo Zerbini di Parma (vicolo S.Caterina 1) in una serata di dibattito con Roberto Cavanna, esponente del Centro Studi Monte Sporno, Renzo Valloni, geologo, docente al Dicatea dell'Università di Parma, Giuliano Serioli, geologo, coordinatore di R ete Ambiente Parma.
Rete Ambiente Parma
per la salvaguardia del territorio parmense


Aderiscono : Associazione Lesignano Futura, Commissione Audit, Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse GCR

martedì 26 agosto 2014

Tagliare e bruciare

Il piano della regione per fare cassa con il grande falò

La Regione Emilia Romagna sta redigendo il nuovo piano forestale per gli anni 2014-2020.
Dopo il solito rituale retorico, “gli interventi nel bosco devono essere all'insegna di una selvicoltura naturale, accostandosi il più possibile a come il bosco si sviluppa naturalmente per conto suo”,
si arriva al sodo: “E' in atto una forte tendenza all’abbandono delle attività gestionali del bosco... Per questo, pur riconfermando la primaria funzione protettiva e di conservazione della biodiversità svolta dalle nostre foreste, si rende necessario introdurre sul piano programmatico, alcune rilevanti novità tese a favorire la ricostruzione, in chiave di moderna imprenditoria forestale, della filiera produttiva, soprattutto a fini energetici, della risorsa boschiva”.
E' la dichiarazione formale di voler favorire tramite finanziamenti il taglio industriale del bosco.
Il fine principale è quello di costruire centrali a cippato che sfruttino la legna a fini energetici.
Saranno solo centrali termiche per il teleriscaldamento, come dichiarato finora?
No di certo.


Qui si stanno mettendo le carte in tavola come ha fatto molto più esplicitamente la Regione Toscana, che ha esplicitamente espresso la volontà di ottenere 70 Mw/h elettrici dalla legna con piccole centrali sotto il Mw. (http://www.greeneconomytoscana.it/)
La Regione Toscana vuole produrre energia elettrica, con efficienza del 10%, (è il livello dichiarato dal sindaco del comune di Monchio, per la sua caldaia a cippato). Non crediamo che le centrali toscane siano differenti, perché utilizzeranno cippatura di ramaglie, sfalci lungo le strade e scarti di disbosco e non certo legna da ardere, che ha un prezzo di vendita al dettaglio doppio rispetto al cippato: 12 euro la legna, 6 euro il cippato.
Monchio per fare funzionare la sua turbina da 100 Kwe brucia ogni anno 1.000 tonnellate di cippato. Per capire i numeri, i 70 Mw elettrici proposti dalla Toscana corrispondono a 700 volte la potenza elettrica della turbina di Monchio.
Quindi per produrre quella miseria di elettricità la Regione Toscana vuol bruciare 700.000 tonnellate di legna ogni anno.
Proprio una bella idea.
70 Mwe di potenza per 7.000 ore utili all'anno producono circa 500.000 Mwe, cioè 500 milioni di Kw/h.
Produrli con il cippato costa 42 milioni di euro (700.000 tonnellate di cippato per 60 euro).
In una moderna centrale a gas per produrre la stessa energia servono 90 milioni di metri cubi di metano che, a 30 centesimi di euro a metro cubo, fa 27 milioni di euro.
L'energia elettrica prodotta col metano costa il 35% in meno.
Ecco che però a coprire l'inefficienza entrano in gioco gli incentivi pubblici per le biomasse.
Produrremo energia elettrica come a fine '800 e la pagheremo carissima, con la scusa della riduzione di emissioni di CO2.
Ma è vero?
Dopo che si è fatto il taglio raso in un bosco ceduo, la superficie fogliare ci mette 2,5 anni per ricrescere e catturare la stessa CO2 di prima del taglio.
Dalla pubblicistica selvicolturale si sa che un albero cattura in un anno 20 Kg di CO2.
In un ettaro di bosco ceduo ci sono mediamente 400 alberi che moltiplicati per 20 kg danno 8 tonnellate di CO2.
Gli ettari da tagliare sarebbero 7.000 (700.000 t./100 tonnellate per ettaro) e quindi la CO2 che non verrebbe catturata, che resterebbe in aria, se tagliassimo tutti quegli alberi, sarebbe la modica cifra di 56.000 tonnellate.
Ma non è finita.
Occorre moltiplicare quelle 56.000 t. di CO2 per i 2,5 gli anni che impiega il bosco ad avere la superficie fogliare sufficiente a catturare la stessa quantità di CO2 di prima.
Quindi le tonnellate di CO2 diventano139.000.
Occorre tener presente che il bosco ci mette 30 anni a ricrescere, tempo in cui le sue funzioni idrogeologica e paesaggistica restano degradate e debilitate.
La nostra Regione sta seguendo le orme di quella toscana, elettricità dalla legna.
Ma non pare proprio una idea sostenibile.

Giuliano Serioli
26 agosto 2014

Rete Ambiente Parma

per la salvaguardia del territorio parmense

lunedì 7 luglio 2014

Tagli suicidi

La crisi della montagna sembra non aver mai fine

L'ultima notizia è sulla bocca di tutti: la legna a tronchetti viene pagata 4,5 euro al quintale.
Questo significa che se ne è tagliata troppa rispetto alla domanda e il mercato ha fatto scendere il prezzo.
Nel 2009 era venduta a 9 euro, ma poi si è cominciato a tagliare a più non posso.
E' scesa a 5,5 euro nel 2011 per poi stabilizzarsi a 6 euro nel 2012.
Ed ora l'ulteriore sensibile calo.


Il prezzo al quintale è un indicatore infallibile di quanto si sia tagliato: più il prezzo scende, più boschi sono stati decimati.
Ma di dati provinciali non ce ne sono e nemmeno a livello regionale.
E' disponibile un dato nazionale sulla legna consumata nel 2013, elaborato da AIEL (azienda italiana energia dal legno).
In totale sono 19,3 milioni di tonnellate.
Di queste, 3,5 milioni vengono importate dall'estero, che sottratte al totale ci danno la legna prodotta in Italia, 15,8 milioni di tonnellate.
Stiamo superando la sostenibilità ed intaccando la rinnovabilità dei nostri boschi.
Infatti la superficie boschiva da cui è possibile ricavare legna è costituita dai 3.663.000 ettari di bosco ceduo che, moltiplicati per il 4% di accrescimento annuo per ettaro, danno 14,6 milioni di tonnellate.
Solo l'anno scorso, quindi, abbiamo tagliato 1,2 milioni di tonnellate di legna in più di quanto consentito dalle normative nazionali e regionali che preservano la rinnovabilità.
Le autorità, gli enti preposti, la stessa AIEL, la Coldiretti, negano che la rinnovabilità sia intaccata, anzi per loro c'è ancora tanto da tagliare. Il loro giochino è di riferire quanto si è tagliato non al bosco ceduo, ma all'intera superficie boscata nazionale che è di quasi 11 milioni di ettari.
Ma la superficie boschiva totale contiene anche boschi ripariali, macchia mediterranea, parchi.
Ettari che non possono essere tagliati per produrre legna.
Nella nostra montagna, invece, ed in tutto l'Appennino Tosco-Emiliano la situazione è ancora più grave perché il bosco ceduo rappresenta l'80% di tutta la superficie boschiva e quindi i tagli riguardano la quasi totalità dei boschi.
Da Cervarezza a Corniglio i boschi dei nostri monti: Ventasso, Alpe di Succiso, Fageto, Costa Maria Gallina, Caio, Navert ed Acuto, sono costellati di buchi come gruviere.
Si stima che in questi ultimi 5 anni sia stato tagliato il 20% della loro superficie fogliare, con gravi danni idrogeologici ai versanti (frane), danni paesaggistici e altrettanto gravi danni a tutte le strade: comunali, provinciali e statali, rese difficilmente percorribili non solo per le frane, ma anche perché il manto stradale risulta letteralmente sfondato dal peso dei camion che portano legna in pianura.
Quelli che tagliano non sono solo boscaioli del posto che hanno sempre fatto il mestiere.
Si sono messi a tagliare un po' tutti, magari pagando in nero operai dell'Est Europa, perché da soli non ce la fanno.
Tagliano anche aziende edili in crisi provenienti dalla pianura o dalla città (come sottolinea la Forestale), con tutto il loro armamentario di scavatrici e pale meccaniche cingolate che trasformano sentieri in carraie, rovinando interi versanti.
Quelli che tagliano si difendono dicendo che sia l'unico lavoro che c'è e che fa girare un po' l'economia in montagna.
E' proprio vero?
A 4,5 euro al quintale la spesa per il taglio forse supera il guadagno.
Molti di quei soldi vanno a chi effettua il taglio, altri servono a pagare il proprietario del bosco, altri ancora servono a pagare le spese e infine una grossa fetta va a coprire le rate per i trattori nuovi che si vedono ormai da ogni parte.
Il prezzo del trattore nuovo da 120 cavalli è molto scontato per gli incentivi statali.
Per i primi 3 anni di mutuo non si pagano interessi perché paga la Regione.
Ma dopo le rate arrivano tutte in una volta e sono salate.
Nei borghi non si vede un negozio che apre.
Anzi ne chiudono in continuazione perché non ce la fanno, così anche le osterie perché di turismo non ce n'è quasi più.
E quei soldi che dicono girino per la montagna dove vanno allora?
Forse proprio alle industrie che producono attrezzi di taglio e trattori, oltre che nelle tasche di qualche furbo che li mette in banca o si compra un appartamento al mare.
E' così che si crea un'economia che fa rivivere la montagna?
Crediamo proprio di no.
Così si contribuisce solo a distruggerne le risorse.
Di attenzione cosciente, per il destino delle terre alte, proprio non se ne vede.

Giuliano Serioli
7 luglio 2014

Rete Ambiente Parma

per la salvaguardia del territorio parmense

martedì 17 giugno 2014

Tagliare è illogico, bruciare diabolico

Dall'Olio, incubo del bosco parmense
Di fronte allo scempio della montagna oggi è il tempo di agire

Nicola Dall'Olio, candidato alle primarie Pd, candidato assessore con Bernazzoli, candidato alle europee, ma sempre trombato, nel 2010 aveva detto, in un documento a sua firma, che era possibile prelevare dai boschi del parmense 390 mila tonnellate di legna ogni anno senza intaccare la rinnovabilità.


Avevamo contestato questo dato, perché ottenuto moltiplicando l'accrescimento annuo dei faggi (notoriamente superiore a quello dei querceti) per gli ettari della totalità dei boschi.
Dall'Olio voleva giustificare la possibilità di impiantare 30, 40 centrali termiche a cippato nei borghi di montagna. Per lui un sogno, per il bosco un incubo.
Già nel 2009 i dati delle comunicazioni di taglio alle comunità montane dicevano che gli ettari di ceduo richiesti al taglio erano quasi doppi rispetto al 2008.
L'autoconsumo era in costante diminuzione e si ipotizzava che fossero state prodotte 200 mila tonnellate di legna da ardere.
Non era che l'inizio.
Ancora non si erano visti i ripidi versanti completamente denudati e le cataste ininterrotte di legna lungo le strade di montagna, pronte per essere prelevate e portate chissà dove dai camion.
Le strade non erano completamente sfondate dal passaggio dei mezzi pesanti.
Gli effetti idrogeologici di questo dissennato abbattere non si erano ancora manifestati.
Come a Pietta, dove il taglio è stato una delle cause della frana e, come tale, denunciato all'autorità giudiziaria dalla Forestale.
E' il mercato a decidere quanta legna debba essere tagliata e quale sarà l'assetto economico e paesaggistico là in alto.
Dati provinciali sul prelievo di legna non ce ne sono, se ci sono non vengono resi pubblici.
E' disponibile un dato nazionale sulla legna consumata nel 2013 elaborato da AIEL.
In totale sono 19,3 milioni di tonnellate.
Di queste, 3,5 milioni vengono importate dall'estero, che sottratte al totale ci danno la legna prodotta in Italia, 15,8 milioni di tonnellate.
Stiamo superando la sostenibilità ed intaccando la rinnovabilità dei nostri boschi.
I boschi da cui è possibile ricavare legna sono i 3.663.000 ettari di ceduo che, moltiplicati per il 4% di accrescimento annuo per ettaro, danno 14,62 milioni di tonnellate.
Solo l'anno scorso abbiamo tagliato 1,2 milioni di tonnellate di legna in più da quanto consentito dalle normative nazionali e regionali che preservano la rinnovabilità.
Ma nel nostro Appennino, in cui il ceduo è l'80% del totale dei boschi, è pensabile che la quantità tagliata sia ancora maggiore, perché più vicino al mercato padano.
Il dirigente ambientalista (?) del Pd manda avanti il progetto delle centrali a cippato, che ora sono 6 già impiantate ed una, quella di Berceto, in costruzione.
Bruciano cippato di ramaglie non stagionato, sono senza filtri, emettono polveri a livello industriale, la cenere volante dei multi cicloni, piena di particelle di metalli pesanti (rifiuto speciale che deve andare in discarica) non si sa dove vada a finire.
Il tutto senza che i finanziamenti fatti affluire per impiantarle abbiano creato un solo posto di lavoro.
Non solo, ma il loro consumo di legna si va ad assommare a quello dei tagli per la legna da ardere che viene portata in tutta la pianura padana.
Solo la centrale di Monchio brucia 1.800 tonnellate di cippato di legna ogni anno (dato dichiarato dal sindaco), una quantità forse addirittura inferiore al reale.
Riteniamo che in montagna al degrado dei boschi per l'eccesso dei tagli si cominci a sommare anche quello dell'aria causato dalle polveri di queste centrali.
Tagliare e bruciare non crea alcuna economia, solo danni all'ambiente ed al turismo.

Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma
16 giugno 2014


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lunedì 2 giugno 2014

Il valore del bosco

Nel 2013 è stata intaccata la riserva verde nazionale

Il valore del nostro bosco non può essere circoscritto ad una mera valutazione economica, come se fossimo ancora negli anni '60, quando era fonte di legna da ardere per scaldare le case dei residenti.

Oggi, con lo spopolamento della montagna, l'autoconsumo decresce continuamente e la funzione del bosco è cambiata.


Oggi le grandi famiglie di fusti hanno un ruolo paesaggistico, ma soprattutto di presidio idrogeologico, in una montagna che strutturalmente è soggetta a frane, come gli episodi recenti non smettono di ricordarci.
Il bosco ed il sottobosco sono la spugna con cui la montagna si difende dalle calamità.
A partire dal 2009 la speculazione sulla legna da ardere ha colpito anche la nostra provincia, con evidenti denudamenti di interi versanti e, come a Pietta, diventando una concausa diretta delle frane.

Il dissesto idrogeologico, dovuto anche ai tagli, è evidente a tutti, ma dati provinciali o regionali non ce ne sono.
I numeri sono esclusivamente nazionali e provengono, guarda caso, dalle aziende che producono stufe e caldaie per la combustione della legna e che oggi vivono il loro magic moment.
Dal resoconto di un convegno promosso a Verona da AIEL (Azienda Italiana Energia dal Legno), si evince che la quantità di legna consumata nel 2013 è stata di 19,3 milioni di tonnellate. Considerando che la quantità importata è di 3,5 milioni, si deduce che la produzione nazionale sia stata di 15,8 milioni.
Una cifra che supera la sostenibilità del ceduo del nostro Paese, che arriva ad una disponibilità totale di 14,62 milioni di tonnellate.
I relatori del convegno sostengono che solo il 24% della riserva bosco è intaccata, ma il loro calcolo include tutto il patrimonio boschivo, 11 milioni di ettari, e non solo il ceduo.
Una follia, perché il patrimonio boschivo oltre il ceduo è macchia mediterranea, boschi ripariali e parchi, in cui non si può tagliare.
Se i tagli nazionali hanno superato la sostenibilità di ben 1,2 milioni di tonnellate, in provincia di Parma, dove il ceduo è l'80% dei boschi, sarà andata anche peggio, trovandoci a ridosso all'area di maggior sviluppo del mercato della legna da ardere, la pianura padana.

Giuliano Serioli
Rete Ambiente Parma


2 giugno 2014

venerdì 16 maggio 2014

Piano per la montagna, fronte condiviso

Un piano industriale per la montagna su cui convogliare i finanziamenti europei e regionali per sostenere la ripresa edilizia e il risparmio energetico nei borghi

I candidati sindaci presenti mercoledì al circolo Baccoverde hanno convenuto che le attuali centrali a cippato sono un investimento sbagliato, per non dire di Citterio, dove la combustione di biomassa (grasso animale), oltre che dannosa per la salute, è di fatto solo speculazione.
“Se questi impianti che bruciano legna e bollono ossa, ha affermato Margherita Folzani, non avessero incentivi pubblici, se l'energia prodotta e venduta ad Enel venisse pagata tanto quanto costa al consumatore, nessuno li farebbe perché non c'è guadagno”.
Cervellotico, oltre che sbagliato, produrre calore dal cippato senza ristrutturare case e borghi per trattenerlo, risparmiando il più possibile l'energia.


Perché il vero risparmio energetico è la riduzione dei consumi.
Sul fronte degli investimenti, per eliminare ulteriore consumo di suolo è poi necessario e urgente che le amministrazioni mettano a disposizione gli immobili dismessi, facendoli ristrutturare per una diversa e diffusa ricezione turistica.
Non certo per spendere un milione di euro per 7 posti letto, come avvenuto con la cascina delle Ciliege a Casarola e con la cascina Cavalli a Riana.
Ristrutturare e riutilizzare, poi, stagionature dismesse, per una ripresa della produzione artigianale di eccellenze alimentari, tramite l'introduzione e l'uso di macelli intercomunali facenti capo alle
costituende Unioni dei Comuni.
La prevenzione dei disastri e delle frane è tutt'uno con la corretta valorizzazione dei boschi ed il loro mantenimento. Il taglio del bosco, la legna da lavoro e l'autoconsumo sono altra cosa dal taglio
generalizzato che lascia nudi i versanti montani e porta in pianura la risorsa bosco unitamente alla gran parte dei proventi.
Il taglio speculativo non crea economia in montagna.
I soldi dei tagli vanno a chi commercia la legna in pianura e ai produttori di macchinari e trattori, mentre dovrebbero restare in montagna e finire nelle tasche dei boscaioli locali che fanno il loro lavoro.
La filiera della legna porta via una risorsa, lasciando poco o niente in montagna.
Senza un'economia nelle alte terre, non solo non è possibile fare prevenzione, ma sarà anche sempre più difficile garantire i servizi minimi essenziali nei borghi, quali scuole e strutture protette per anziani.
Senza un progetto di turismo diffuso e di lavorazione artigianale di prodotti alimentari di eccellenza, la montagna è condannata a non avere un'economia.
E le sue risorse naturali continueranno ad essere svendute alla speculazione.

Parma, 16 maggio 2014

Giuliano Serioli, Rete Ambiente Parma
Corrado Mansanti, candidato sindaco a Monchio con la lista "Unità, impegno, democrazia"
Giorgio Zani, candidati sindaco a Langhirano con la lista "Fare Langhirano"
Angelo Lusuardi, candidato sindaco a Felino con la lista "Felino cambia"

Margherita Folzani, produttore di prosciutto e candidata a Felino con la lista "Felino cambia"

martedì 13 maggio 2014

Un voto utile per le terre alte

Un piano per la montagna
Mercoledì 14 maggio
ore 11
presso Circolo Baccoverde
Via Cavallotti 33

SARANNO PRESENTI

Angelo Lusuardi

candidato sindaco a Felino con la lista civica "FELINO CAMBIA"

Giorgio Zani
candidato sindaco a Langhirano con la lista civica "FARE LANGHIRANO"

Corrado Mansanti
candidato sindaco a Monchio con la lista civica "UNITA', IMPEGNO, DEMOCRAZIA"

Renzo Valloni
docente di geologia applicata – università degli studi di Parma
simpatizzante di Reteambiente

Giuliano Serioli, Rete Ambiente Parma

presenta il manifesto per la montagna
ai candidati alle amministrative del 25 maggio

Un voto utile per le terre alte


La S.V. è invitata

*
Un progetto industriale per la montagna
Il manifesto di Rete Ambiente Parma in vista delle amministrative del 25 maggio

L'oggi desolante
La montagna parmense è un corollario di disastri.
Frane, frazioni abbandonate, strade interrotte e quasi sempre sfondate.
La frana di Capriglio, quella di Boschetto, quella di Pietta, sono lì a suggerirci che la nostra montagna è per sua struttura molto franosa.
Alla franosità si somma sempre più il cambiamento climatico, che oggi alle alte quote ha portato la la pioggia a sostituirsi alla neve.
La neve per la montagna ha un effetto benefico fondamentale. Con la percolazione lenta all'interno della roccia permette la ricarica delle sorgenti ma, allo stesso modo, ricoprendo tutto e sciogliendosi lentamente, impedisce il dilavamento violento e massiccio causato dalle piogge limitando così l'innesco delle frane.
Con la crisi economica si va a sommare a tutto questo il taglio massiccio dei boschi causato dalla speculazione sulla legna da ardere, che determina le quantità di ettari di bosco da tagliare, che certo non sono per l'autoconsumo delle genti dei borghi.
Pesanti camion percorrono le strade delle valli, per portare chissà dove la legna tagliata, contribuendo significativamente anche allo sfondamento della viabilità.
La devastazione in atto ricorda certe foto di inizio Novecento.
Il taglio generalizzato di interi versanti boschivi e la loro denudazione provoca dilavamento e asportazione del soprasuolo, innescando frane e accrescendo enormemente il trasporto solido dei torrenti, capace a sua volta di innescare altre frane lungo il corso dei rii.
La politica di prevenzione degli smottamenti messa in atto dalle amministrazioni è praticamente inesistente.
Un esempio significativo è stato il rifacimento della Massese.
Dei 20 milioni di euro spesi la quasi totalità è andata ad opere di immagine ad uso della rielezione degli amministratori. Di tutte le varianti e correzioni di curve effettuate, la sola variante di Ranzano ha visto la sistemazione della frana dei Tre Laghi con opere di canalizzazione.
In sostanza la metà di quei 20 milioni poteva essere utilizzata per mettere in sicurezza la strada da frane storiche e da punti pericolosi come Boschetto e Antognola.
In tal modo si sarebbe evitata l'interruzione attuale della provinciale a Boschetto.
Senza un'economia è impossibile fare prevenzione.
Tutta la nostra montagna, tranne la Valtaro, non ha più un'economia che tale si possa chiamare.
In questi trent'anni l'industria ha distrutto l'artigianato e l'agricoltura di sussistenza, costringendo le genti a trovare occupazione altrove.
Oggi l'80% degli abitanti delle terra alte sono anziani, mentre i giovani lavorano nella pedemontana.
Prato Spilla, con l'impianto di risalita e l'albergo, è la testimonianza lampante degli errori fatti in passato dalle amministrazioni, dei soldi buttati al vento per un progetto turistico impossibile.
Ora invece tutti i finanziamenti si concentrano sulla legna.
Soldi per finanziare centrali a cippato, teleriscaldamento e produzione di energia elettrica e soldi per finanziare cooperative di taglio per rifornirle.
Questo nuovo filone si aggiunge alla devastazione causata dalla speculazione sulla legna da ardere.
Si finge che il taglio della risorsa bosco crei un'economia, inondi di soldi i borghi e impedisca che negozi e servizi chiudano.
I soldi invece sciamano lontano, come i camion verso la pianura, per giungere nelle tasche di chi commercia la legna.
Ancor meno economia creano le centrali a cippato, né lavoro.
Sono solo soldi per la lobby degli inceneritori e i soliti interventi di immagine degli amministratori.
Centrali che sono veri e proprio impianti industriali, senza filtri, molto inquinanti, di cui solo i residenti nei capoluogo possono usufruire, mentre le frazioni sono totalmente escluse.


L'economia necessaria
Per contrastare i disastri e fermare l'abbandono della montagna occorre creare un'economia.
Canalizzare tutti i finanziamenti nell'edilizia per il recupero dei borghi col risparmio energetico, capace di costruire una ricezione dignitosa, oggi inesistente, per un turismo diffuso.
Un turismo basato su una serie di piccole strutture nei borghi capaci di supportare a livello di accoglienza e logistica i percorsi turistici della alte vie, coordinati ai rifugi esistenti e soprattutto a quelli abbandonati e da ripristinare.
Un turismo collegato ai parchi e alla possibilità che questi si facciano portavoce della praticabilità della natura nelle scuole e nell'università.
Lo scoutismo è un'esperienza positiva che va allargata alla scuola dell'obbligo, con una leva di guide volontarie capaci di organizzare e condurre i ragazzi, anche dal punto di vista descrittivo e culturale.
Tramite le unioni di comuni occorre costruire le condizioni infrastrutturali (ad esempio macelli intercomunali), gli incentivi finanziari e locativi e la disponibilità bancarie ad iniziative per la produzione e la stagionatura artigianali di eccellenze alimentari che l'aria pulita e l'elevata
umidità possono garantire con un livello superiore di qualità rispetto alla loro produzione industriale.
E' pensabile trasformare dei giovani senza lavoro in artigiani di montagna, dei laureati senza occupazione in imprenditori di se stessi con idee giuste per un agroalimentare di eccellenza.
Di questo vogliamo discutere con chi si propone oggi agli elettori come futuro amministratore.

Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma
14 maggio 2014

lunedì 12 maggio 2014

Inquinamento a Pontremoli, ci risiamo

Noi del "comitato centrale a biomasse, no grazie" non riusciamo proprio a stare tranquilli.
Dopo aver combattuto strenuamente, e senza ancora un esito pienamente positivo, contro le ciclopiche pale eoliche sul crinale intorno alla nostra città e contro l'ecomostro della centrale
biomasse di Novoleto, ci ritroviamo con una nuova fonte di inquinamento di più ridotta potenza ma a ridosso del centro storico.


Proviamo a immaginare che chiunque voglia, possa attivare la sua centrale biomasse da 200 Kw e disperdere i fumi, senza alcun controllo, nell'atmosfera.
I cittadini avranno l'aria irrespirabile, le forme tumorali in vertiginoso aumento e i polmoni intasati dalle polveri sottili e ultrasottili, il tutto in plateale contrasto con le norme europee recepite anche dalla Regione Toscana che vietano il peggioramento della qualità dell'aria nell'attivare nuove emissioni.
Per contro gli avventurieri stanziali e di passaggio conteranno i loro profitti.
Proviamo anche a immaginare che tutti i nostri ricorsi per vie legali e le nostre proteste di piazza non sortiscano effetto e che ci si ritrovi con 16 pale da 160 metri sul crinale Cisa-Cirone (ne
abbiamo già 5 da 100 metri in grazioso regalo da Zeri) e con la centrale biomasse da 999 Kw a Novoleto oltre alle piccole in programma e future. Chi vorrà più venire a Pontremoli e in Lunigiana e chi vorrà più restare a Pontremoli? Noi del "comitato" metteremo tutto il nostro impegno per impedire che questo accada, ma sarebbe ora che la popolazione si unisse a noi per fare in modo che la nostra amministrazione metta in campo tutto il suo potere per evitare la distruzione del patrimonio di tutti noi.

Pontremoli 12 maggio 2014

Il Comitato “Centrale Termoelettrica a biomasse di Novoleto e centro storico: No Grazie”

venerdì 9 maggio 2014

La montagna e la sostenibilità delle rinnovabili

L'Ente Parco scende in città a promuovere eccellenze e meraviglie dell'Appennino, ma neanche una parola sui disastri che decorano la nostra montagna, tra strade sfondate e imponenti frane.
Non una parola sul taglio generalizzato dei boschi e sulla speculazione della legna da ardere.
Non una parola sui progetti regionali e provinciali che prevedono l'impianto di centrali a cippato in ogni borgo di ogni valle.
Non una parola sulla sostenibilità dei finanziamenti alle rinnovabili che vengono convogliati verso la combustione delle biomasse e della legna.
Non una parola sulla necessità di prevenire, per impedire che la montagna rimanga sola e avulsa dall'economia del paese e da progetti industriali in grado di rilanciarla.
Il Patto dei Sindaci è un’iniziativa che parte dall’Unione Europea nel 2008 per coinvolgere le città europee nel percorso verso la sostenibilità energetica e ambientale e per ridurre le emissioni inquinanti del 20% entro il 2020.


I Paes, piani di azione delle energie sostenibili, sono degli elenchi di progetti con cui le amministrazioni intendono perseguire l’obiettivo.
Diversi comuni della nostra provincia hanno già presentato il Paes, infilandoci un po’ di tutto.
Sia perché si è arrivati tardi, dopo che la speculazione si era già fatta in quattro per ottenere via libera a inceneritori e incentivi, sia perché quelli contenuti nei Paes non sono progetti concreti, ma voli pindarici destinati a rimanere tali.
Del fotovoltaico non parla più nessuno, perché gli incentivi ormai sono finiti.
Dell'eolico meglio non parlare più, perché la gente di montagna si è giustamente ribellata alla cementificazione delle vette e dei crinali, con le finanziarie che farebbero man bassa degli incentivi.
Restano il risparmio energetico e le bioenergie, cioè centrali a combustione di biomasse e centrali a biogas.
Ci si riempie la bocca di risparmio energetico, ma le detrazioni fiscali non bastano.
Occorre un piano industriale per finanziare l’edilizia di recupero al netto del consumo di suolo, in modo che intere aree vengano restituite a suolo agricolo.
Il biogas che finora ha preso piede in centinaia di centrali è il biogas da coltivazioni dedicate, da mangimi animali insilati, contenenti clostridi, e per questo motivo bloccati nel parmense.
Si tratta di pura speculazione che ha inquinato il mercato dell'affittanza agricola a tutto danno delle produzioni agroalimentari umane ed animali.
Viviamo sotto una cappa di polveri e di inquinanti che copre l'intera valle Padana ed arriva quasi alle cime. Qualsiasi processo industriale di combustione, pur piccolo, che si aggiunga a quelli già esistenti, è un'assurdità, perché aggiunge altri inquinanti ad una zona a rischio salute.
La Regione, la Provincia e alcuni sindaci vogliono impiantare in montagna una serie di centrali a combustione di cippato, senza alcun filtro per le emissioni.
Produrre energia elettrica bruciando legna è un'assurdità energetica perché l'efficienza va dal 10%(come a Monchio) ad un massimo del 15%.
C'è una lobby di industriali che investe e fa ricerca solo nella combustione dei rifiuti e delle biomasse: Hera, A2a e Iren con i loro inceneritori, Termoindustriale con i motori endotermici per i cogeneratori, Aiel con le sue caldaie industriali a cippato e poi gassificatori, pirogassificatori e altre diavolerie tutt'atro che rinnovabili.
Si è scelta così una strada a senso unico, indipendente dall'opinione della gente e dall'esigenza di rispettare l'ambiente.
E' la lobby stessa a dettare i progetti regionali sulle rinnovabili e gli stessi limiti delle emissioni nocive ben superiori a quelli europei.
I progetti di taglio generalizzato per la produzione di cippato e la combustione vanno fermati.
La pianura padana è costellata da una quantità enorme di allevamenti industriali di animali.
Le loro deiezioni costituiscono un grave problema per i suoli e per le falde acquifere.
Centrali a biogas che trattino tali liquami produrrebbero energia rinnovabile davvero sostenibile, il biometano.
Biometano da autotrazione, ma soprattutto da mettere in rete, collegata a quelle già esistenti del metano.
Centrali il cui digestato, depurato dell'ammoniaca in eccesso, potrebbe sostituire i concimi di sintesi, i concimi ricavati chimicamente dal petrolio e dai suoi derivati.

Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma
9 maggio 2014


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