"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

venerdì 2 dicembre 2016

I Tagli boschivi e la fame delle Centrali

Di poco tempo fa l'annuncio da parte dell'Ente Regionale di una sovvenzione di poco più di 400.000 euro per il taglio ed il diradamento nei boschi di conifere dei Consorzi dell'Appennino Est.
Più precisamente il taglio dei pini disseccati di Lagdei e Trefiumi e il diradamento delle pinete di Riana, passo del Ticchiano e Trefiumi. Chiesto lumi al tecnico forestale provinciale, riferiva trattarsi di normale diradamento per un migliore sviluppo delle piante e per una maggior accessibilità al bosco, oltre alla normale prevenzione incendi.
Certo, i pini seccati di Lagdei e dintorni vanno tagliati. Non si è mai sentito, tuttavia, di incendi da autocombustione in pineta. Questo, dalle nostre parti, no.


Il diradamento, peraltro, è "quell'operazione con la quale, in un bosco coetaneo dove i fusti cominciano a differenziarsi, si tagliano gli individui soprannumeri, cioè quelli che, in relazione all'età ed allo sviluppo del soprassuolo, ne rendano la densità eccessiva".
Quindi un diradamento selezionato, pianta per pianta, volto a favorire l'accrescimento delle stesse in modo che non si perda la superficie fogliare complessiva.
Perché l'integrità della massa della superficie fogliare e del sottobosco è condizione imprescindibile all'effetto spugna del bosco, alla sua capacità di trattenere l'acqua piovana, rilasciandola lentamente. E' la funzione di presidio idrogeologico del bosco per la nostra martoriata montagna.
Avendolo visto già in essere diverse volte, crediamo che il taglio previsto non sarà come descritto sopra.
Il taglio sarà meccanizzato ed invasivo, atto a produrre il miglior risultato economico possibile, degradando la funzione idrogeologica delle pinete, così importante data la natura argilloso-calcarea dei nostri territori e dato il succedersi di vere e proprie bombe d'acqua causate dal cambiamento climatico in atto.
Crediamo che il diradamento sia stato deciso soprattutto per l'approvvigionamento delle centrali a cippato presenti nel nostro Appennino: Monchio, Palanzano, Neviano, Calestano, Varano Melegari, Borgotaro. Le centrali a cippato hanno difficoltà ad approvvigionarsi dato il costo della legna che è doppio di quello del cippato.
Chi taglia preferisce vendere la legna e non cipparla: guadagna molto di più.
I Comuni in possesso di centrali non sanno come fare ed allora interviene la Regione a sovvenzionare il taglio per rifornirle di cippato a basso costo.
Ma il problema principale delle centrali non è il loro approvvigionamento, ma le emissioni nocive, non avendo avendo nessun filtro, a parte un multiciclone per raccogliere le ceneri volanti.
I tecnici di Aiel (una ditta costruttrice) sostengono che è l'ottimizzazione della combustione a garantire una bassa emissione nociva.
Un dato falso, dato che il cippato fresco, ad elevato tenore di umidità, brucia male.
Infatti se non ci fosse pericolo per le polveri sottili, gli ossidi di azoto, come mai le grandi centrali a cippato di Brunico e Dobbiaco hanno filtri di ogni tipo? A maniche, elettrostatiche, ecc.?
Perché oltre alle polveri ed agli ossidi, la combustione del cippato di legna produce benzopirene (sostanza cancerogena) in quantità superiori alle normative, come verificato in diversi paesi del Trentino: 3 o 4 volte maggiori del massimo consentito (1 nanogrammo per ogni metro cubo di emissioni).
La scelta delle centrali a cippato è sbagliata, sia per i boschi che per la salute umana.
Gli investimenti pubblici dovrebbero puntare invece su efficientamento e risparmio energetico.

Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma

salvaguardia e sostenibilità del territorio locale

domenica 10 luglio 2016

Un'inutile e costosa cassa di espansione

Rete Ambiente Parma ha già espresso la sua opinione estremamente negativa sulla costruzione di una cassa d'espansione sul torrente Baganza.


La convinzione è che ci sia una soluzione alternativa meno invasiva dell'ambiente, con minor consumo di suolo, di spesa molto inferiore.
Non una soluzione artificiale che prevede un invaso di 74 ettari con l'asporto di diversi milioni di metri cubi di ghiaia, ma, col coinvolgimento di agricoltori da compensare, dotare di sfioratoi gli argini del torrente, in modo da limare le piene in una zona di campagna a valle dell'abitato di Sala Baganza.
Anche perché per la costruzione della prevista cassa di espansione occorreranno diversi anni, mentre la proposta di messa in sicurezza alternativa richiede molto meno tempo.
Occorre pensare anche cosa fare a monte, da dove l'acqua arriva.
In questo senso è necessario sfatare alcuni luoghi comuni sulla "manutenzione del territorio" e sulla necessità della "pulizia del fiume", spesso associati al rischio idrogeologico.
Questi termini indicano in montagna e collina le piccole opere idrauliche (canalizzazioni) finalizzate a limitare l'erosione del suolo e le piccole frane per colamento.
Altro luogo comune è che sia necessaria la "pulizia dei boschi", che oggi altro non è che un concetto gentile che nasconde il taglio industriale degli stessi, come si è visto a Cascinapiano, dove la delega di taglio ad una azienda privata da parte del sindaco di Langhirano ha determinato un vero e proprio scempio ambientale.
Il dissesto idrogeologico è spesso attribuito "all'abbandono della montagna"ed "alla mancata manutenzione".
Ma quasi mai l'abbandono delle pratiche agricole e la mancata manutenzione sono causa del dissesto.
Le opere di terrazzamento e di canalizzazione in terreni argillosi sono necessarie per evitare l'erosione da acqua piovana quando le aree sono coltivate, ma la maggior parte di queste aree sono da tempo abbandonate e soggette a ricolonizzazione della natura, che ha già portato alla copertura boschiva.
E' il bosco la più efficace protezione del suolo montano e la miglior riduzione del rischio idraulico a valle.
Le radici degli alberi, molto più vigorose ed estese di quelle delle coltivazioni, consolidano il terreno e la chioma degli alberi trattiene la pioggia accrescendo il tempo di corrivazione.
In sostanza, nel lungo termine, l'abbandono dei coltivi a favore del bosco ha portato al miglioramento dell'assetto idrogeologico di montagna e collina.
Al contrario, opere di manutenzione e di drenaggio dell'acqua nei coltivi di montagna hanno un effetto idrologico opposto a quello del bosco, perché accelerano il deflusso verso rii e torrenti, spostando il rischio idrologico a valle.
La "manutenzione del territorio" è invece assolutamente necessaria lungo le strade sui versanti montani. Strade e carraie aumentate a dismisura per il taglio boschivo meccanizzato di questi ultimi anni. Strade che sono la principale causa delle frane di versante: infatti l'alterazione del profilo di versante accresce l'incanalamento delle acque ed innesca le frane.
Inoltre, è opinione comune che per ridurre i rischi di piena occorra "manutenzione e pulizia degli alvei".
Sembra ragionevole eliminare la vegetazione che si forma naturalmente nelle golene, ai margini dell'alveo attivo di un torrente. Come se erbe, arbusti ed alberi attorno ai corsi d'acqua siano qualcosa da rimuovere.
Invece, dal punto di vista idraulico, la presenza di vegetazione in
golena aumenta la sua scabrezza e quindi rallenta le acque di piena, abbassandone il picco.
A monte dei centri abitati e soprattutto in  montagna un forte incremento della vegetazione lamina le piene.
Altro luogo comune della "pulizia fluviale" sembra essere costituito dalla necessità che gli alberi morti lasciati in alveo, trascinati dalla piena, non vadano ad incastrarsi nelle arcate dei ponti ostruendoli e provocando esondazioni.
Un motivo inconsistente.
Infatti le piene maggiori sono sempre accompagnate da frane degli stessi versanti boscati, fonte principale di alberi e spezzoni legnosi che l'acqua trascina fino ad ostruire le arcate dei ponti, come nella piena del Baganza.
Le pulizie fluviali sono inutili di fronte alla massa di alberi provenienti dalle frane a monte, in caso di piena. Forse addirittura dannose perché la vegetazione riparia eliminata avrebbe potuto fermare e
trattenere in golena i tronchi provenienti dalle frane a monte.

Giuliano Serioli

10 luglio 2016

Rete Ambiente Parma

salvaguardia e sostenibilità del territorio locale

giovedì 16 giugno 2016

Casse di espansione, sì o no?

Un'opinione controcorrente ma a misura d'ambiente

Per messa in sicurezza "definitiva" di un corso d'acqua si intende generalmente la costruzione di una cassa d'espansione, o di laminazione, finalizzata al contenimento di eccezionali masse di acqua prodotte da eventi atmosferici particolarmente intensi.


Nel caso del torrente Baganza è stata prevista una escavazione lineare dell'alveo e delle parti laterali per circa 5 milioni di metri cubi.
L'abbassamento dell'alveo implica la migrazione dell'erosione sia a monte che a valle, compromettendo la struttura e la dinamica delle falde acquifere, soprattutto nelle zone di drenaggio, dove queste arrivano a convergere sul livello del torrente.
Mentre a monte il torrente alimentava le falde, l'abbassamento della quota di scorrimento non permetterà più una normale ricarica delle stesse.
A valle, dove le falde prima si riversavano in alveo, non più ostacolate dalla contropressione di acqua e ghiaia, verrà dispersa nel torrente una quantità di acqua molto maggiore, con grave calo delle stesse.
L'erosione provoca anche l'instabilità laterale del torrente con incisione delle sponde ed alterazione di tratti precedentemente stabili.
L'instabilità dell'alveo per l'erosione a valle può determinare l'instabilità di manufatti esistenti, come lo scalzamento dei piloni dei ponti.
Non solo. L'escavazione dell'alveo ha come effetto l'abbassamento del pelo dell'acqua del torrente e quindi delle falde ad esso connesse dal punto di vista idrogeologico. Con maggiori difficoltà di
approvvigionamento idrico in zona, eliminazione di aree umide e difficoltà per lo sviluppo della vegetazione ripariale così necessaria al trattenimento e alla difesa delle sponde.
Ma è proprio il concetto di "messa in sicurezza" che è sbagliato, perché anche se il progetto ha un tempo di ritorno teoricamente lungo, esiste oggi una forte probabilità che si verifichino piene sempre maggiori della precedente, dato il cambiamento climatico in atto.
In sostanza, se si progetta oggi la cassa d'espansione del Baganza ci si deve basare su dati meteo storici probabilmente già superabili nel brevissimo periodo.
E, nonostante i buoni propositi delle amministrazioni locali, nell'area "messa in sicurezza" è possibile che si continui ad edificare proprio per la pretesa sicurezza percepita e per la pressione che l'economia e la speculazione esercitano.
Le alternative.
Alla cassa di espansione si può contrapporre un'opera molto meno invasiva che non preveda così elevati volumi di scavo.
Un'area golenale collegata, tramite sfioratoi nelle arginature, alla campagna circostante.
Argini e sfioratoi costruiti direttamente dagli agricoltori della zona, con un prelievo di ghiaia dall'alveo meno invasiva e più diffusa, tale da non modificare il profilo longitudinale del torrente.
Ghiaia prelevata dagli stessi agricoltori da aree deputate a diventare laghi in caso di piena, serbatoi d'acqua da utilizzare a livello irriguo per la campagna della Pedemontana, già più volte in sofferenza nel periodo estivo.
I volumi di ghiaia sarebbero pari alla metà di quelli previsti dal progetto della cassa d'espansione e sarebbero utilizzati in loco.
Il problema del progetto attuale, infatti, è dato anche dal fatto di dove collocare con profitto quei grandi volumi di inerti, data la crisi ormai cronica dell'edilizia.
Il mancato smaltimento della ghiaia potrebbe spostare ulteriormente in là nel tempo l'edificazione della cassa, mentre il cambiamento climatico spinge ad una soluzione anche provvisoria, ma rapida e soprattutto coinvolgente.
Il tema di coinvolgere il territorio non è secondario. Attiene a chi esegue i lavori e ne ha un ritorno economico.
Col progetto della cassa si parla di 60 milioni di euro che finiranno fatalmente ad una grande azienda in grado di eseguire i lavori.
Col progetto alternativo si spende molto meno e quei soldi finiscono agli agricoltori della zona e a piccole aziende del comparto edilizio.
In tal modo è il territorio stesso a prendere in carico la sua sicurezza, a preoccuparsi degli eventi e a prevenirli.
Un vero e proprio salto di qualità culturale.
E un intervento a misura d'ambiente.
Desta infine meraviglia che la sezione locale di Legambiente si sia preoccupata delle necessità ecologiche dell'ambiente fluviale senza tener conto dei danni causati da un intervento così massiccio, senza indicare invece una soluzione alternativa sostenibile.

Giuliano Serioli
16 giugno 2016
Rete Ambiente Parma

salvaguardia e sostenibilità del territorio locale

giovedì 9 giugno 2016

Pedemontana, urge un progetto economico

In un recente video, Luca Mercalli, meteorologo e conduttore di Rai 3, tenendo fra le mani un pezzo di terra della bassa padana, afferma quanto sia grassa, corposa, la migliore che ci sia.
Viene subito in mente come la terra della nostra Pedemontana sia fin meglio, vista la ricchezza di sali minerali apportati dai torrenti di montagna.
Così ricca da produrre abbondanza: dal pomodoro al frumento, dal mais all'erba medica, base produttiva su cui si fonda l'intera economia del prosciutto e del parmigiano.


A vigilare sulla qualità dei prodotti ci sono i relativi consorzi.
Il primo prescrive come le cosce di maiale debbano necessariamente evere una età di 11 mesi ed essere italiane, anche se spesso poi sono invece solo di 8 mesi, gonfiate con antibiotici e di provenienza estera.
Il secondo bada che le aflatossine non finiscano nel mais e poi nel latte inquinando il grana e che lo spandimento di letame in aree sensibili non superi i 170 kg di azoto, anche se gli allevamenti industriali non sono mai sostenibili, visto il particolato che producono e le falde acquifere che inquinano.
Tutta questa ricchezza fatta di sapienze secolari e di microclimi ideali per le stagionature, ha sopra di sé i veleni di un'aria orribilmente inquinata.
Lo afferma la regione Emilia Romagna che definisce la nostra Pedemontana "zona rossa", dove qualsiasi nuovo impianto industriale dovrebbe essere a saldo zero di emissioni nocive, se non addirittura in grado di diminuirle.
Veleni veicolati dalle polveri sottili, che ogni anno superano i 35 sforamenti dei 50 microgrammi di PM10 consentiti dalla normativa.
Da chi sono prodotte? Dall'industria? Dal traffico veicolare? Dagli inceneritori di rifiuti?
Da tutti questi ma non solo.
Secondo Ispra per un terzo dal riscaldamento domestico da legna e pellet e per un altro terzo dalla ricombinazione secondaria dell'azoto ammoniacale degli allevamenti industriali.
Anche l'Istat non c'è andata leggera quando ha riferito del picco di mortalità, aumentato nel 2015 del 16,3% rispetto al 2014.
Un fatto accaduto solo durante le due guerre mondiali.
Un dato nazionale, spalmato su tutto il Paese, che è plausibile si riferisca principalmente al Nord Italia.
Sempre Ispra, il mese scorso, ha comunicato che il 65% delle acque superficiali sono inquinate e stessa cosa per il 32% delle acque sotterranee.
Nella pianura padana tali valori crescono rispettivamente oltre il 70% ed il 40%.
Ma quello che Istat ed Ispra non dicono è che la pianura padana è tappezzata da più di 1.000 centrali a biogas dell'ordine del MWe. Ognuna di queste produce 40 milioni di Nm3 di emissioni nocive annue, soprattutto ossidi di azoto, ma anche particolato secondario.
Moltiplicate il tutto ed otterrete un valore emissivo di 40 miliardi di Nm3, che sommato a quello delle centrali che bruciano cippato di legna, dall'Alto Adige all'Appennino, si arriva a un valore emissivo maggiore degli inceneritori del Nord Italia (una trentina).
L'inceneritore di Parma emette 144.000 Nm3/h, in un anno 1,3 miliardi di Nm3. Fate voi i conti.
Ci siamo battuti per anni contro gli inceneritori, li stiamo facendo dimagrire con la raccolta differenziata diffusa dai paesi alle città e le lobby delle biomasse ci ributtano addosso le stesse emissioni mefitiche con le centrali a biomassa.
Sulle rinnovabili si sono tuffate anche le grandi corporations dell'energia e del petrolio, trovando appetitosi gli incentivi pubblici e fregandosene dell'insostenibilità ambientale.
Comoda scusa è la direttiva Europea del saldo zero di emissioni di CO2 per le biomasse, che è già bugiarda per la legna e del tutto falsa per il grasso animale.
Scusa valida anche per istituzioni ed enti pubblici, pronti ad accettar per buone le autocertificazioni emissive delle lobby medesime.
Perché, diciamocelo, sono le industrie stesse a suggerire i limiti normativi, non certo le Ausl.
E' ora di chiedersi, infatti, perché le nostre normative sono cinque volte meno restrittive di quelle tedesche.
E la salute dei cittadini? E l'inquinamento della base agroalimentare da cui dipendono le nostre eccellenze?
Le normative igienico sanitarie europee sulla produzione del latte sembrano ritagliate sulle grandi stalle. Solo gli allevamenti industriali sono in grado di rispettare quella pletora incredibile di
norme burocratiche, le piccole stalle no, non ce la fanno.
E così devono chiudere proprio le stalle di montagna, quelle che lasciano ancora le vacche libere al pascolo.
Notare che è proprio l'azoto ammoniacale degli allevamenti industriali quello che emette il particolato secondario che grava sulla pianura padana.
Dovrebbero essere la Ue e l'Efsa a imporre lo strippaggio dell'ammoniaca anche per impedire che la sua lisciviazione finisca in falda, inquinandola come capita oggi.
Anche nei prosciuttifici, le normative igienico sanitarie e le norme sulla sicurezza del lavoro sembrano ritagliate sulle grandi aziende. Al punto che i piccoli, gli artigianali, sono proprio quelli maggiormente colpiti dai controlli e multati. Solo che una multa per una grande azienda è poca cosa e viceversa per una piccola.
Le grandi aziende hanno compresso i salari attraverso la robotica, espellendo manodopera specializzata ed attingendo alla manovalanza generica delle cooperative.
Tutto questo per produrre di più, a detrimento, però, della qualità del prodotto. Che, viceversa, i prosciuttifici artigiani hanno mantenuto alta, proprio attraverso manodopera qualificata.
In sostanza, sono i piccoli che mantengono e sviluppano la qualità.
Sono loro che continuano a valorizzare i marchi d'eccellenza e la possibilità di commercializzarli in Italia ed all'estero.
Sta ai consorzi, ma soprattutto ai comuni, incentivare la produzione di qualità e la crescita della piccola produzione.
Sono consapevoli che più un'azienda è grande più tende a finanziarizzare la propria attività, speculando sulla materia prima. Andando ad occupare segmenti industriali speculativi che esulano completamente dal settore lavorativo che le è proprio, come produrre elettricità dalla combustione del grasso.
Le eccellenze alimentari si sviluppano solo impedendo il degrado ambientale che ogni processo industriale comporta.
Tutto queste tematiche sono state portate in assemblee pubbliche per ben due volte ad esempio a Felino, prima delle amministrative. Gli argomenti sono stati condivisi largamente dalle due liste di opposizione al Pd, sia di centro destra che di sinistra, soprattutto sul no alle biomasse.
Eppure lo spirito di bottega ha prevalso ancora una volta. Ha impedito che si formasse una lista unica no inceneritore e no biomasse in grado di mandare a casa gli amministratori attuali.
Rete Ambiente Parma rimane in prima linea per un'alternativa sostenibile, sotto tutti i punti di vista.

Giuliano Serioli
9 giugno 2016

Rete Ambiente Parma

per la salvaguardia del territorio parmense

domenica 29 maggio 2016

Cambiare il Paes di Felino. Chi ci sta?

Nell'assemblea pubblica del 26 maggio al cinema di Felino, su proposta di Rete Ambiente Parma e dei comitati della pedemontana, i candidati sindaci delle liste "Cambiamo Felino" e "Vivere il cambiamento" hanno convenuto la necessità di rigettare dal PAES comunale in 2 punti.
Azione 9 - Sviluppo di micro- teleriscaldamento tramite vettori energetici solidi.


L’attuale amministrazione intende promuovere lo sviluppo di reti di micro-teleriscaldamento (25-500 kW) alimentate attraverso l’utilizzo di circa 800 tonnellate/anno di biomasse legnose in forma di cippato o pellets.
Azione 10 - BIOGAS. Produzione di Energia elettrica da reflui e scarti zootecnici.
L'attuale amministrazione di Felino intende favorire la realizzazione di impianti a biogas a partire esclusivamente da matrici organiche di scarto già presenti sul territorio: scarti dell'agricoltura e allevamento, così come impianti a biogas che utilizzino la FORSU (Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano). Elemento importante da valutare è l'inserimento di un impianto nella nuova zona industriale dell'Apea.
Si ritiene che l'uso e la combustione di biomasse e biogas sia in conflitto con la salute dei cittadini e con la necessità di un ambiente con meno polveri sottili, in cui produrre le eccellenze alimentari tipiche dell'economia della Pedemontana.
E' necessario, altresì, rigettare la delibera dell'attuale giunta cche promuove impianti a biomassa in ogni azienda che ne faccia richiesta.
La CO2 in atmosfera è principalmente dovuta alla produzione di energia da fonti fossili.
Dal protocollo di Kyoto del 1997 fino al Cop 21 di Parigi la direzione intrapresa è stata quella di produrre energia da fonti rinnovabili.
Impegno sottoscritto fin dal 2005 dall'associazione dei Comuni virtuosi, che fa del risparmio energetico e della partecipazione dei cittadini la sua bandiera.
Nei PAES dei "Comuni Virtuosi" della pedemontana, Felino in primis, viene ascritto e preso per buono l'elenco di tutte le fonti di energie rinnovabili, senza distinzione alcuna tra quelle che producono energia pulita: fotovoltaico, eolico, solare, geotermia e pompe di calore, e quelle che, pur derivando da fonti rinnovabili, producono energia con emissioni nocive per la salute e per l'ambiente: centrali a biogas e centrali a combustione di biomasse.
Come dire che un comune che fa della partecipazione dei cittadini il suo stendardo non fa proprie le loro preoccupazioni per la salute.
Come se l'energia prodotta da un impianto fotovoltaico fosse uguale a quella prodotta dalla combustione di cippato di legna o da olio di grasso animale.
Ma è vero che l'uso di biomasse, anche se con emissioni nocive, è a saldo zero di emissioni di CO2, come richiesto dal Protocollo di Kyoto?
Per la combustione di cippato di legna e pellet non è la verità.
La legna, se proviene dall'estero, è prodotta dagli scarti dei tagli della foresta pluviale che ogni anno viene rimaneggiata.
Se proviene dai nostri boschi cedui, si deve considerare che se non si perde superficie boschiva, si perde quella fogliare che impiega circa 3 anni a raggiungere la stessa capacità di cattura della CO2 di prima.
Il taglio industriale smuove il terreno ed il carbonio in esso contenuto da secoli, ributtandolo in atmosfera.
Quantificarlo come saldo zero è assurdo oltre che ridicolo.
Per la combustione di olio di colza o olio di palma, fonti rinnovabili, c'è lo stesso problema del mancato saldo zero di emissioni di CO2.
Intere foreste, infatti, vengono tagliate per far posto a tali coltivazioni, la cui superficie fogliare è nettamente inferiore alla capacità di cattura dei milioni di piante tagliate.
Per la combustione di grasso animale che sta sostituendo la colza, diventata troppo cara per l'aumento della domanda di mercato e anch'esso fonte rinnovabile, si pone sempre il problema del mancato saldo zero.
Se, infatti, dagli scarti di macellazione animale si sottrae grasso da bruciare con emissioni di CO2, si dovrà accrescere la produzione animale o la sua importazione dall'estero per compensare il loro mancato utilizzo nell'industria del pet e della cosmetica, e quindi con ulteriore emissioni di CO2.
Le emissioni nocive della cogenerazione di biomasse sono inversamente proporzionali alla potenza degli impianti stessi.
Più un impianto è piccolo, più inquina. Non avendo gli stessi numeri e valori di spesa di quelli grandi, non ha nemmeno filtri capaci ma solo cicloni per far precipitare unicamente le ceneri volanti.
Il problema emissivo, però, è già grave per i grandi impianti, perché il benzopirene non può essere fermato dai filtri. I suoi valori sono già oltre i massimi in Trentino Alto Adige.
Gli amministratori che hanno promosso quegli impianti sono in grave imbarazzo.
In tutti i PAES dei cosiddetti "comuni virtuosi" c'è il progetto di impiantare piccoli cogeneratori condominali ed aziendali sia a cippato che a grasso animale.
Una follia dal punto di vista del saldo zero di CO2, ma soprattutto dell'inquinamento dell'atmosfera del nostro territorio.
I prosciuttifici e i caseifici della pedemontana, da Traversetolo fino a Collecchio, sono i maggiori produttori di eccellenze alimentari, fonte di occupazione anche per l'indotto e di esportazione. Le materie prime che essi lavorano derivano dagli allevamenti zootecnici industriali. E gli spandimenti delle deiezioni animali che vi si creano, costituiscono il maggior problema per i suoli agricoli e le falde acquifere.
Proprio nei nostri territori vi sono aree sensibili in cui tali spandimenti non devono superare i 170 Kg di azoto per ettaro, la metà della norma, pena la compromissione di coltivi ed erba medica per vacche da latte. Conseguenza di tali spandimenti è anche la lisciviazione dell'azoto e l'arrivo di nitriti e nitrati nella falda acquifera, con grave inquinamento della stessa. Il pagamento dell'acqua in bolletta è il doppio del suo costo effettivo, proprio per la spesa di depurazione.
La soluzione di tali problemi ambientali, che tendono sempre più ad aggravarsi con la crescita dei volumi delle eccellenze alimentari, non può essere nelle centrali a biogas che coi loro cogeneratori impestano già tutta la Pianura Padana e fermate proprio nel nostro territorio.
Ci può essere solo una soluzione alla radice del problema: eliminare l'ammoniaca dalle deiezioni con lo strippaggio e la neutralizzazione con soda caustica e formazione di solfato d'ammonio, un ammendante vendibile sul mercato. Tolta l'ammoniaca, le deiezioni animali possono essere trattate per produrre biometano da autotrazione o da mettere direttamente in rete. Un toccasana per gli stessi suoli agricoli, concimabili con sostanze naturali e non più con additivi chimici chimici.
Una soluzione del problema non più rinviabile.

Giuliano Serioli
29 maggio 2016

Rete Ambiente Parma

per la salvaguardia del territorio parmense

mercoledì 11 maggio 2016

Suona l'allarme, è quello di Ispra

L'ex sindaco di Felino Barbara Lori, attualmente approdata in Regione, aveva affermato che Rete Ambiente Parma (Rap) faceva solo terrorismo ambientale, seminando ingiustificato allarme tra la popolazione.
Pensando alla sua totale incompetenza sul tema, sovveniva un riso amaro, consapevoli del potere da lei rappresentato Comune e in Regione.
Rete Ambiente però oggi non è più sola.


Al suo fianco ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale), che conferma le tesi sovversive di Rap.
Le acque dei nostri fiumi sono impestate e quelle delle falde acquifere sotterranee anche.
Il 70% delle acque superficiali in Emilia è contaminato dal glifosato, diserbante cancerogeno, e da altre 200 sostanze nocive, la cui ricombinazione produce un mix di veleni.
Le falde acquifere sotterranee non sono solo minacciate dalla lisciviazione dell'azoto e dai nitrati, ma anche da diserbanti e pesticidi.
Lo zuccherificio Eridania di S.Quirico di Trecasali chiude perché gli agricoltori non coltivano più bietole, non più remunerative. Prezzi crollati per la concorrenza del Nord Europa.
Così tutti a coltivare mais da biodigestare nelle oltre 1.000 centrali a biogas della Pianura Padana.
Ma i milioni di tonnellate di quel biodigestato, pieno di ammoniaca, viene poi riversato nelle campagne e nei coltivi di pregio, nei prati di erba medica per la produzione di latte e formaggio grana.
Quell'azoto ce lo ritroviamo a tavola nelle insalate, verze e pomodori.
La presenza di nitrati negli ortaggi è considerato un problema di salute pubblica.
Problemi alla tiroide, scarsità di vitamina A e in certi casi, cancro allo stomaco.
Se anche la lattuga diventa pericolosa siamo veramente sull'orlo di un disastro.
Non è più il caso di parlare di diete, ma di ambiente.
Abbiamo trasformato la Pianura Padana, la terra più fertile d'Europa, in una landa grigia, priva di alberi e di filari di vite, un paesaggio nudo e tetro.
Per rincorrere le promesse dell'agricoltura industriale abbiamo imbottito la terra di veleni.
E a questi abbiamo aggiunto i prodotti delle centrali a biomassa.
Che percolano fatalmente nelle falde acquifere, sommandosi ad altri inquinanti nitrici derivati dalle migliaia di allevamenti industriali.
Ecco perché l'acqua che ci arriva in casa costa sempre di più in bolletta.
Il costo della depurazione è pari se non superiore a quello dell'acqua stessa.
Ma non c'è limite al peggio.
L'aria che respiriamo è più pericolosa del suolo agricolo e dell'acqua inquinati.
Alle emissioni industriali si sono sommate quelle degli inceneritori, quelli dei cogeneratori di biomasse, quelle del riscaldamento domestico a legna, per tacere del traffico veicolare che mangia altra pianura con nuovi tracciati di autostrade.
Ora si capiscono i dati allarmanti sul picco di mortalità nel 2015, superiore del 16,3% al 2014.
Il dato statistico era volutamente spalmato a livello nazionale, ma presumibilmente si riferiva alla zona più inquinata del paese, la Pianura Padana.

Giuliano Serioli
11 Maggio 2016

Rete Ambiente Parma

per la salvaguardia del territorio parmense

martedì 10 maggio 2016

Appello ad Arpa

Egr. Dott. De Munari,

le scrivo a nome del Comitato che rappresento e di altri abitanti della frazione di Poggio di Sant'Ilario Baganza, riguardo l'installazione della postazione mobile di rilevamento degli inquinanti, presso la nostra frazione.
Mi faccio portavoce del disagio e dell'apprensione di buona parte della popolazione residente nelle vicinanze dell'impianto di Citterio.


Gli odori sgradevoli che di tanto in tanto si avvertono e il parere di autorevoli tecnici e di medici riguardo alla pericolosità di impianti di cogenerazione del tipo di quello suddetto, ci preoccupa fortemente.
La Giunta del Comune di Felino ha deliberato verso la fine dello scorso mese di dicembre l'istituzione di un osservatorio ambientale, allo scopo di monitorare le emissioni, ma questo è ancora solo su carta.
Venerdì 8 aprile la stazione mobile, presente da diversi giorni, è stata rimossa, e ci è stato comunicato che i dati rilevati dal momento della sua installazione, non saranno disponibili se non prima di due mesi.
A questo punto mi permetto di formulare la richiesta di una stazione permanente presso la nostra frazione e soprattutto la tempestività della comunicazione sulla presenza di sostanze inquinanti (polveri sottili , ossido di azoto ecc.) attraverso un pannello di immediata lettura al di fuori della stazione, oppure attraverso dati on line immediatamente pubblicati.
Tali accorgimenti ci permetterebbero una miglior convivenza con l'insediamento produttivo della Citterio ed una minor preoccupazione riguardo alla nostra salute e a quella dei nostri figli.
Nel ringraziarla anticipatamente del suo interessamento, le porgo cordiali saluti.

Gabriele Allegri

Comitato No Cogeneratore olio animale al Poggio

giovedì 5 maggio 2016

Territorio, o salvezza o dannazione

Cosa fare e cosa non fare nel nostro ecosistema

E' ormai assodato da tempo che l'effetto serra ed il cambiamento climatico sono causati dall'emissione e dall'accumulo di CO2.
La CO2 in atmosfera è principalmente dovuta alla produzione di energia da fonti fossili.
Dal protocollo di Kyoto del 1997 fino al Cop 21 di Parigi la direzione intrapresa è stata quella di riuscire a produrre energia da fonti rinnovabili.
Impegno sottoscritto fin dal 2005 dall'associazione dei Comuni virtuosi, che fa del risparmio energetico e della partecipazione dei cittadini la sua bandiera.


Nei PAES dei "Comuni Virtuosi" della pedemontana, Felino in primis, viene ascritto e preso per buono l'elenco di tutte le fonti di energie rinnovabili, senza distinzione alcuna tra quelle che producono energia pulita: fotovoltaico, eolico, solare, geotermia e pompe di calore, e quelle che, pur derivando da fonti rinnovabili, producono energia con emissioni nocive per la salute e per l'ambiente: centrali a biogas e centrali a combustione di biomasse.
Come dire che un Comune che fa della partecipazione dei cittadini il suo stendardo non fa proprie le loro preoccupazioni per la salute.
Come se l'energia prodotta da un impianto fotovoltaico fosse uguale a quella prodotta dalla combustione di cippato di legna o da olio di grasso animale.
Felino, infatti, Comune autodefinitosi virtuoso, mette addirittura in bella mostra nel suo PAES il cogeneratore a grasso animale del Poggio di S.Ilario Baganza, quale misura di tale virtù, nonostante le proteste dei suoi cittadini per gli odori e gli inquinanti emessi.
Proteste additate come disinformazione e terrorismo mediatico.
E' vero che l'uso di biomasse, anche se con emissioni nocive, è a saldo zero di emissioni di CO2, come richiesto dal Protocollo di Kyoto?
Per la combustione di cippato di legna e pellet non è la verità.
La legna, se proviene dall'estero, è prodotta dagli scarti dei tagli della foresta pluviale che ogni anno viene rimaneggiata.
Se proviene dai nostri boschi cedui, si deve considerare che se non si perde superficie boschiva, si perde quella fogliare che impiega circa 3 anni a raggiungere la stessa capacità di cattura della CO2 di prima.
Il taglio industriale smuove il terreno ed il carbonio in esso contenuto da secoli, ributtandolo in atmosfera.
Quantificarlo come saldo zero è assurdo oltre che ridicolo.
Per la combustione di olio di colza o olio di palma, fonti rinnovabili, c'è lo stesso problema del mancato saldo zero di emissioni di CO2.
Intere foreste, infatti, vengono tagliate per far posto a tali coltivazioni, la cui superficie fogliare è nettamente inferiore alla capacità di cattura dei milioni di piante tagliate.
Per la combustione di grasso animale che sta sostituendo la colza, diventata troppo cara per l'aumento della domanda di mercato e anch'esso fonte rinnovabile, si pone sempre il problema del mancato saldo zero.
Se, infatti, dagli scarti di macellazione animale si sottrae grasso da bruciare con emissioni di CO2, si dovrà accrescere la produzione animale o la sua importazione dall'estero per compensare il loro mancato utilizzo nell'industria del pet e della cosmetica, e quindi con ulteriore emissioni di CO2.
Le emissioni nocive della cogenerazione di biomasse sono inversamente proporzionali alla potenza degli impianti stessi.
Più un impianto è piccolo, più inquina. Non avendo gli stessi numeri e valori di spesa di quelli grandi, non ha nemmeno filtri capaci ma solo cicloni per far precipitare unicamente le ceneri volanti.
Il problema emissivo, però, è già grave per i grandi impianti, perché il benzopirene non può essere fermato dai filtri. I suoi valori sono già oltre i massimi in Trentino Alto Adige.
Gli amministratori che hanno promosso quegli impianti sono in grave imbarazzo.
In tutti i PAES dei cosiddetti "comuni virtuosi" c'è il progetto di impiantare piccoli cogeneratori condominali ed aziendali sia a cippato che a grasso animale.
Una follia dal punto di vista del saldo zero di CO2, ma soprattutto dell'inquinamento dell'atmosfera del nostro territorio.
I prosciuttifici e i caseifici della pedemontana, da Traversetolo fino a Collecchio, sono i maggiori produttori di eccellenze alimentari, fonte di occupazione anche per l'indotto e di esportazione. Le materie prime che essi lavorano derivano dagli allevamenti zootecnici industriali. E gli spandimenti delle deiezioni animali che vi si creano, costituiscono il maggior problema per i suoli agricoli e le falde acquifere.
Proprio nei nostri territori vi sono aree sensibili in cui tali spandimenti non devono superare i 170 Kg di azoto per ettaro, la metà della norma, pena la compromissione di coltivi ed erba medica per vacche da latte. Conseguenza di tali spandimenti è anche la lisciviazione dell'azoto e l'arrivo di nitriti e nitrati nella falda acquifera, con grave inquinamento della stessa. Il pagamento dell'acqua in bolletta è il doppio del suo costo effettivo, proprio per la spesa di depurazione.
La soluzione di tali problemi ambientali, che tendono sempre più ad aggravarsi con la crescita dell'economia delle eccellenze alimentari, non può essere nelle centrtali a biogas che coi loro cogeneratori impestano già tutta la Pianura Padana e fermate proprio nel nostro territorio.
Ci può essere solo una soluzione alla radice del problema: eliminare l'ammoniaca dalle deiezioni con lo strippaggio e la neutralizzazione con soda caustica e formazione di solfato d'ammonio, un ammendante vendibile sul mercato. Tolta l'ammoniaca, le deiezioni animali possono essere trattate per produrre biometano da autotrazione o da mettere direttamente in rete. Un toccasana per gli stessi suoli agricoli, concimabili con sostanze naturali e non più con additivi chimici chimici.
Una soluzione del problema non più rinviabile.
Ma nei nostri territori si stanno infiltrando le mafie. Lo hanno già fatto. Si sono servite della grave crisi dell'edilizia per allettare qualcuno e servirsene.
E mettere radici. Hanno usato la necessità di finanziamenti che le banche non erogavano alle ditte per appropriarsi di queste o, peggio, per entrare a farne parte e agirvi dall'interno di nascosto, inquinando appalti pubblici, corrompendo amministratori locali, creando una ragnatela inestricabile di favori e collusioni in grado di condizionare la nostra vita pubblica e la nostra economia.
Farne piazza pulita è nostro dovere.
Attraverso la massima trasparenza nelle gare d'appalto.
Opponendo all'offerta minima il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Facendo in modo che il Comune si ponga come intermediario tra aziende edili e banche come garante dei prestiti.
Altro problema che è necessario affrontare è quello della cementificazione del territorio.
L'eccesso di urbanizzazione e cementificazione produce un mancato assorbimento delle acque piovane ed uno scorrimento troppo rapido verso aree a valle con alluvioni ed allagamenti.
Al modello urbanistico basato sui grandi centri commerciali che producono la chiusura delle piccole attività commerciali e la desertificazione dei centri storici, opponiamo il ritorno ad una commercializzazione diffusa favorita economicamente dal Comune stesso.
Ogni nuovo capannone che un'azienda aggiunga per esigenze di allargamento dell'attività deve essere inteso al netto di consumo di suolo, cioè una costruzione similare e abbandonata deve essere riportata dalla stessa azienda e a sue spese alla condizione di suolo agricolo.
Si deve evitare la cementificazione delle sponde di fiumi rii e canali e soprattutto il loro disboscamento affidato dai Comuni a terzi a spesa zero. Cosa che produce un taglio generalizzato dei boschi ripariali per produrre cippato di legna da vendere sul mercato.

Giuliano Serioli
5 maggio 2016

Rete Ambiente Parma

per la salvaguardia del territorio parmense

martedì 26 aprile 2016

Biomasse e comuni virtuosi

La combustione di biomasse produce emissioni nocive ed emissioni di CO2 ma, in quanto fonti rinnovabili, si dice siano a saldo zero, tali da emettere in atmosfera la stessa CO2 catturata durante la crescita.
Per la combustione di legna, cippato e pellet non è la verità.


La legna, se proviene dall'estero, è prodotta dagli scarti dei tagli della foresta pluviale che ogni anno viene rimaneggiata. Un disastro ecologico proprio dal punto di vista della mancata cattura di CO2.
Se proviene dai nostri boschi cedui, si deve considerare che se non si perde superficie boschiva, si perde quella fogliare che impiega circa 3 anni a raggiungere la stessa capacità di cattura della CO2 di prima.
Non solo, il taglio industriale meccanizzato, che ha sostituito del tutto quello artigianale dei vecchi boscaioli, smuove il terreno ed il carbonio in esso contenuto da secoli, ributtandolo in aria, nell'atmosfera.
Quantificarlo come saldo zero è assurdo oltre che ridicolo.
Per la combustione di olio di colza o olio di palma, fonti rinnovabili, c'è lo stesso problema del mancato saldo zero di emissioni di CO2.
Intere foreste vengono tagliate per far posto a tali coltivazioni, la cui superficie fogliare è nettamente inferiore alla capacità di cattura delle foreste tagliate.
Per la combustione di grasso animale che sta sostituendo la colza, diventata troppo cara per l'aumento della domanda di mercato e anch'esso fonte rinnovabile, si pone sempre il problema del mancato saldo zero.
Se dagli scarti di macellazione animale si sottrae grasso da bruciare, con emissioni di CO2, si dovrà accrescere la produzione animale o la sua importazione dall'estero per compensare il loro mancato utilizzo nell'industria del pet e della cosmetica, e quindi con ulteriore emissioni di CO2.
Le emissioni nocive della cogenerazione di biomasse sono inversamente proporzionali alla potenza degli impianti stessi. Più un impianto è piccolo, più inquina.
Non avendo gli stessi numeri e valori di spesa di quelli grandi, non ha nemmeno filtri capaci ma solo cicloni per far precipitare solo le ceneri volanti.
Il problema emissivo è già però grave per i grandi impianti, perchè il benzopirene non può essere fermato dai filtri. I suoi valori sono già oltre i massimi in Trentino ed Alto Adige. Gli amministratori che hanno promosso quegli impianti non sanno più che fare.
In sostanza le biomasse, su cui oggi il governo punta, sono si fonti rinnovabili ma per niente a saldo zero. La loro combustione in cogeneratori produce emissioni nocive.
Tali impianti sono tanto più nocivi quanto più sono piccoli e numerosi, soprattutto in una Pianura Padana già gravata da polveri sottili e che deve già sopportare l'inquinamento da ossidi di azoto di un migliaio di centrali a biogas, simili a funghi velenosi che spuntano un pò dappertutto.
In tutti i PAES dei cosiddetti "comuni virtuosi" c'è il progetto di impiantare cogeneratori condominali ed aziendali sia a cippato che a grasso animale.
Una follia dal punto di vista del saldo zero di CO2, ma soprattutto dell'inquinamento dell'atmosfera del nostro territorio.

Giuliano Serioli
26 aprile 2016

Rete Ambiente Parma
per la salvaguardia del territorio parmense