"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

martedì 12 febbraio 2019

FALDE ACQUIFERE ED ALLUVIONI


Uno dei modi di ricarica naturale delle falde acquifere è l'inondazione
di aree estese in occasione delle piene.
Alle falde acquifere delle conoidi dei torrenti appenninici manca
l'acqua nelle estati siccitose.
Per trovarla si arriva a pescare nei pozzi fino a 100 metri di profondità.
Si fa un gran parlare di invasi di montagna con dighe per trattenere
l'acqua e rifornire così la pianura,
con gravi problemi di costi, di perdita di aree boschive SIC ( siti di
interesse comunitario) e di erosione dei sedimenti rocciosi delle nostre
montagne.
La logica suggerirebbe di ricaricare tali falde sotterranee durante le
piene autunnali,
alluvionando le campagne con esondazioni controllate e sfioratoi
appositamente dedicati.
Servirebbero anche traverse per convogliare parte dell'acqua torrentizia
in vasche di sedimentazione e di ricarica, usando cave estinte.
Ma il principio da utilizzare è di conservare l'acqua di alluvioni
controllate per ricaricare con la stessa le falde sotterranee.
Si eviterebbe così la necessità di manufatti costosi ed insufficienti,
come dighe montane e casse d'espansione in pianura,
che porterebbero ad una ulteriore, nefasta cementificazione del regime
acquifero e del nostro territorio.
A parte considerazioni ambientali e di costi, il problema generato da
tali manufatti è l'eccesso di sedimenti che in breve tempo
ne pregiudicherebbe la funzionalità, dato il carattere argillitico del
substrato roccioso del nostro Appennino.
Al contrario l'estensione della falda sotterranea potrebbe essere
rimpinguata da pozzi a dispersione e da gallerie di infiltrazione a fianco
dell'asta torrintizia.
In pratica una cassa d'espansione non è altro che un innalzamento
abnorme degli argini di un torrente in un determinato sito.
Quello dell'innalzamento degli argini è una via senza sbocco per diversi
fiumi già troppo antropizzati. E' il Caso del Po, dove da tempo si
parla di tracimazioni controllate perchè innalzare ancor più gli argini
è impossibile e pericoloso.
Alcuni tecnici dicono che una cassa d'espansione è necessaria ma non
sufficiente.
E' un'affermazione che ha poco senso : se non è sufficiente non è
neanche necessaria. E l'alternativa esiste, è un'altra, aree alluvionabili.
Di fatto le zone alluvionabili ci sono nelle nostre campagne e i danni
ai coltivi ed alle case isolate di agricoltori sono molto meno gravosi
che non quelli di interi paesi sott'acqua e sono più facilmente e
rapidamente rifondibili.
Si tratta in molti casi di vecchie golene strappate ai corsi d'acqua che
potrebbero gradualmente tornare al loro antico ruolo.
Di fatto, sono casse d'espansione naturali e l'infiltrazione dell'acqua
le renderà ancora più fertili di quanto non siano oggi perchè l'acqua
stessa, trattenuta
in cave o laghetti artificiali, sarà utilizzabile nella stagione secca.

Serioli Giuliano

ReteambienteParma

venerdì 1 febbraio 2019

AUTORITA' DI BACINO E DIGA DI VETTO

L'Autorità di bacino del Po è stata investita dalla Regione Emilia del 
ruolo di decisore della fattibilità tecnica di un invaso a Vetto.
Dopo l'alluvione a Lentigione il problema è anche di sicurezza nei 
confronti della popolazioni della bassa, ma il problema principale è 
irriguo :
manca l'acqua nella Pedemontana, sia Reggiana che Parmigiana.
La temperatura degli ultimi anni tende a crescere e nel contempo le 
piogge tendono a diminuire nella media annuale.


Di più, le piogge durano poco ma con una intensità mai vista prima. 
Arrivano prevalentemente in autunno, dopo la siccità estiva, e trovano 
una terra indurita
per cui scivolano via verso il torrente Enza ingrossandolo a dismisura. 
Di quell'acqua non filtra niente nel suolo, va direttamente in Po, 
magari facendo
danni, come a Lentigione o come nel quartiere Montanara a Parma nel 2014 
ad opera del torrente Baganza.
I coltivi di pianura hanno bisogno d'acqua soprattutto d'estate ma la 
falda ne ha sempre meno e i pozzi nella pedemontana arrivano a pescare 
fino a 100
metri di profondità. Siamo alla frutta, manca l'acqua nella zona del 
parmigiano reggiano. Occorre trovare una soluzione in fretta.
L'annoso e sterile dibattito sulla diga di Vetto torna improvvisamente 
di attualità.
Ma non i 120 milioni di m3 di invaso del vecchio progetto caldeggiato 
dal povero Lino Franzini, sindaco di Palanzano, lasciato solo a parlare 
al vento  sognando
uno sviluppo turistico della montagna legato al lago. Un sogno folle e 
sterile come l'invaso di acque grigiastre sul torrente Arda testimonia 
da tempo.
No, uno di dimensioni molto più contenute, pare di 40 milioni di m3, 
utile alla bisogna, ma senza essere troppo invasivo, che metta d'accordo 
tutti, ambientalisti ed agricoltori e senza, soprattutto, scontri 
ideologici tra fautori delle dighe e loro detrattori.
Ma come faranno i nostri tecnici a fare i conti coi problemi che una 
diga comporta nel nostro territorio montano?
Con l'interruzione del deflusso di subalveo del torrente, quello che 
alimenta la falda sotterranea della conoide pedemontana?
Dove pescheranno l'acqua i pozzi degli agricoltori se già ora non la 
trovano a 100 metri di profondità?
Ma soprattutto, come farà il lago che si creerà a monte della diga a non 
riempirsi di sedimenti per l'enorme trasporto solido delle acque di piena?
Occorre, infatti, considerare la struttura flyschoide-argillitica delle 
rocce della valle che le piogge battenti eroderanno in gran quantità 
convogliandole
all'interno dell'invaso.
Come si farà, in tal modo, a produrre energia elettrica? Fatale sarà 
ogni 2 o 3 anni svuotare il lago e togliere i sedimenti che havranno 
preso il posto dell'acqua.
Non è più ragionevole, come afferma il professor Valloni, dotare l'asta 
del torrente di laghetti di cava o artificiali nella conoide in modo 
che  si allarghi la
falda sotterranea alimentata dalle piogge primaverili ed invernali?
Non è più logico dotare il torrente di traverse che portino l'acqua a 
tale sistema di laghetti quando le piene autunnali rovescieranno il loro 
carico abnorme?
Trattenedone una parte consistente in modo che la bassa non vada sotto?
Molto meglio un progetto di fiume che non una diga, o che una cassa 
d'espansione.
Si, meglio anche di una cassa d'espansione. Perchè se il futuro ci 
riserva le sorprese sgradevoli di un cambiamento climatico è chiaro che 
neanche una cassa d'espansione di capacità millenaria sarà in grado di 
far fronte alle masse d'acqua che tali eventi produrranno. Mentre 
tracimazioni controllate in terreni agricoli
riusciranno a sfogarle senza arrivare nei centri abitati.
La rifusione dei danni sarà molto meno costosa di dighe o casse 
d'espansione, per le quali si parla di diverse decine di milioni di euro.


Vetto d'Enza 31-01- 2019

Serioli Giuliano

ReteambienteParma