"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

giovedì 29 dicembre 2011

CENTRALI TERMICHE A CIPPATO: INQUINANTI ED ANTIECONOMICHE

"Poco più di un anno fa mi sono collegato in video conferenza ( con SKIPE) con il comitato "No Centrali a Biomasse" di Villadossola, a pochi chilometri da Domodossola. Durante la conferenza ho chiarito come le biomasse siano un combustibile povero e inquinante e che la prassi consueta di quasi tutti gli impianti a biomasse che si propongono in Italia, sia quella di buttare letteralmente all'aria, come calore non utilizzato, oltre il 70% dell'energia termica delle biomasse bruciate."              (Federico Valerio)
Quello cui fa qui riferimento Federico Valerio, noto chimico Genovese, sono inceneritori a cippato di legna per produrre energia elettrica e per incamerare certificati verdi da incentivi pubblici. 
Impianti, sottolinea, che lasciano inutilizzato il 70% dell'energia termica prodotta.
Federico Valerio afferma comunque che tutti gli inceneritori a legna bruciano un combustibile povero ed inquinante.
Lo prendiamo in parola e andiamo oltre. Sosteniamo che sono inquinanti ed antieconomici anche i piccoli inceneritori sorti per produrre solo energia termica. Per intenderci, quelli sotto il Mw di cui Regione e Provincia stanno finanziando l'installazione in tutto l'Appennino. 3 sono già funzionanti e 5 sono già stati finanziati. Dall'Olio, funzionario della Provincia e candidato alle primarie del Pd, ha firmato un documento che comproverebbe la larga disponibilità di legna utilizzabile dal punto di vista energetico nonostante i massicci tagli dovuti alla speculazione sulla legna da ardere, arrivando ad affermare che di tali inceneritori a cippato se ne potrebbero installare, senza problemi, addirittura una trentina nei borghi del nostro Appennino.
Gli argomenti addotti per giustificare tale scelta sono ormai dei mantra, frasi fatte ripetute ad ogni piè sospinto e ritenute certezze intoccabili. Sarebbe il caso, invece, di sottoporli a giudizio critico.

il primo mantra è dato dalla certezza che la combustione delle biomasse non contribuisca all'effetto serra. Viene detto che la stessa CO2 assorbita durante la crescita viene restituita durante
la combustione. Cioè sarebbero impianti a somma zero di emissioni CO2.
In astratto è vero : la CO2 emessa è quella incorporata nel legno. 
Ma non si considera il fattore tempo. In natura le piante hanno una vita di molte decine di anni e ne impiegano altrettanti, una volta morte, a seccarsi, marcire, diventare humus e rilasciare CO2. 
Nel concreto dalla combustione di cippato di legna viene emessa anidride carbonica in quantità industriale che gli ettari di bosco, tagliati per fornirlo, impiegheranno anni prima di avere la massa arborea sufficiente a ricatturare la stessa quantità di CO2 di prima.

il secondo mantra è dato dalla certezza che una centrale termica a cippato, fornendo teleriscaldamento in sostituzione delle vecchie caldaie a legna delle case, abbia emissioni meno nocive di queste e che l'aria dei borghi in inverno diventi addirittura più salubre.
Sbagliato. La gente ha già provveduto in questi ultimi anni a dotarsi di moderne caldaie funzionanti sia a pellet che a legna, con abbattimento dei fumi. La caldaia è programmata per accendersi automaticamente col pellet ed è poi rifornita manualmente di legna durante la giornata. Il pellet ha un contenuto idrico dell'8%. La legna usata è secca, stagionata due anni, ha un contenuto di umidità inferiore al 20% e produce basse emissioni, ulteriormente abbattute dal filtro della caldaia. 
La centrale a biomassa, al contrario, brucia cippato fresco con umidità del 50-60%. Produce una cattiva combustione con eccessi di fumi e con residui di ceneri anche del 5%. Ma soprattutto supera ampiamente il range massimo di 100 mg/m3 di polveri previsto dalla normativa nazionale.     
L'ingegner Saviano della SIRAM, la ditta costruttrice della centrale a cippato dentro l'ospedale di Borgotaro, ha dovuto inventarsi alchimista per dosare la quantità di calore della caldaia a metano con quella della caldaia a cippato in modo che questa avesse la minor quantità di emissioni e di ceneri possibile per un ospedale e ha dovuto approviggionarsi di cippato di legna stagionata, per non dover servirsi di cippato fresco, così difficile da bruciare e così inquinante.

Il terzo mantra è dato dalla certezza del risparmio con la centrale a cippato.
Forse è vero rispetto al gasolio che si usava prima, ma non rispetto ad altre possibilità.
Il costo di una centrale come quella di Palanzano, con due caldaie da 350 Kw l'una, è di 426.000 euro e il costo di quella di Monchio, da 926 Kw, è di 650.000 euro. Il costo aggiuntivo della rete di teleriscaldamento è di 500 euro al metro. Monchio ha già speso 100.000 euro solo per una parte della rete di teleriscaldamento. Il comune di Palanzano, viste le conseguenze nel bruciare cippato fresco : grandi emissioni di fumi e grosse quantità di ceneri, è passato a bruciare pellet. Costa di più ma rende molto di più, ha emissioni e ceneri 10 volte inferiori al cippato fresco. Forti di questa esperienza avrebbero risparmiato molto di più mettendo caldaie a pellet in ognuno dei 5 fabbricati del comune, senza bisogno dei costi del teleriscaldamento. Una caldaia automatica a pellet da 60 Kw di potenza, capace di riscaldare una superficie di 800 m2, costa 36.000 euro( iva e installazione comprese), detraibili al 55% in 10 anni. Il costo reale diventerebbe di 16.000 euro.
Con neanche 100.000 euro avrebbero risolto il problema e avrebbero potuto destinare il resto dei finanziamenti  regionali ad interventi di ristrutturazione per il risparmio energetico, creando così anche lavoro.

- il quarto mantra è che non si intacca il patrimonio forestale perchè il cippato deriva solo dalla pulizia dei boschi. Falso. La pulizia dei boschi la si faceva una volta quando la legna era poca e la gente tanta. Ora non la fa più nessuno, tantomeno i boscaioli o le cooperative di taglio. 
Il cippato fresco, anzi, deriva proprio dal taglio meccanizzato del bosco, dall'esbosco a pianta intera, con cui il tronco diventa tondame da lavoro e i rami e il cimale, una volta tagliati, vengono subito cippati con foglie e tutto il resto. Per un tale taglio meccanizzato è prevista anche l'apertura di nuove strade e quindi un'ulteriore rimaneggiamento del bosco ed una sua maggiore esposizione al taglio generalizzato già in atto per la speculazione sulla legna da ardere che ha già superato la sostenibilità e che sta intaccando la rinnovabilità.

Il quinto mantra è che l'investimento strutturale nel teleriscaldamento sia necessario nei piccoli borghi perchè gli anziani non sono più in grado di essere autonomi nemmeno a casa loro. Risibile. Per chi non ce la fa ci sono le case di riposo attrezzate.
Sono necessari, invece, investimenti strutturali per creare lavoro, cosa che le centrali a cippato non fanno minimamente. Investimenti per la ristrutturazione dei borghi finalizzata al risparmio energetico ed alla ricezione agrituristica ed ospitativa, capaci di creare lavoro nell'edilizia e nell'indotto e a seguire nel turismo, ormai moribondo.

Ma nella nostra montagna, altrettanto grave dell'abbandono dei borghi e della mancanza di lavoro
è il taglio dei boschi causato dalla speculazione sulla legna da ardere. Le tonnellate di cippato che bruceranno nelle decine di future centrali termiche si andranno a sommare alle migliaia di tonnellate di legna che ogni anno vengono portate via su camion, con grave dissesto per i boschi, i versanti dei monti e le strade delle valli. 
Su circa 300.000 tonnellate potenzialmente prelevabili dai boschi del nostro Appennino, stando ai dati delle comunità montane, nel 2009 ne sono state effettivamente tagliate 190.000, sotto la voce di autoconsumo. Ma questa parola in borghi semiabbandonati è ormai un eufemismo, valida quando le case erano tutte abitate, ma non certo ora che lo è una casa su quattro.
Tutta quella legna viene portata via dal nostro territorio e venduta a caro prezzo chissà dove. 
Il prezzo di mercato della legna da ardere stagionata 3 mesi è di 11 euro al quintale, arriva anche a 18 euro se stagionata 2 anni. 
Di quei soldi in montagna resta ben poco.  Gli anziani dei borghi che fanno tagliare i loro boschi di proprietà incamerano solo 1.000 euro all'ettaro. 
La gran parte dei soldi del taglio finisce però giù in città.  
A coloro che vi si sono trasferiti da tempo e che hanno conservato la proprietà della casa e di appezzamenti boschivi. Certo, qualche boscaiolo in ogni borgo mette in tasca un pò di più, 4 o 5.000 euro per ogni ettaro tagliato, ma non si arricchisce di sicuro col sudore della sua fronte. 
Nè quel pò di euro in più che girano per i borghi ne cambiano l'assetto economico.
Ma soprattutto finiscono nelle tasche dei commercianti e grossisti della filiera del legno che non torneranno certo ad investirli lassù.
I dati degli ettari richiesti al taglio nel 2011 non sono ancora disponibili, ma non lo sono nemmeno quelli del 2010, nonostante siano stati richiesti per un anno intero. Tutti i boscaioli dicono che si è tagliato molto di più, forse molto più del doppio e che sono nate delle aziende che hanno assunto in nero extracomunitari che tagliano a più non posso e pagati un tanto a m3. 
A confermare l'enormità dei tagli e il mancato rispetto spesso delle regole minime sono le parole stesse del sindaco Bovis di Langhirano ad un'assemblea aperta del Pd sullo stato della montagna del settembre scorso : " Se dovessimo punire quest'anno chi ha sgarrato dalle regole dei tagli, dovremmo comminare ammende per alcune decine di migliaia di euro. Ma non so se è il caso di farlo : alcune aziende fallirebbero."
Ma se i tagli hanno ormai superato la sostenibilità e stanno intaccando la rinnovabilità dei nostri boschi, non si può più accettare che le autorità amministrative impongano il silenzio ai funzionari preposti. La risorsa verde dei boschi non è "il nuovo petrolio su cui siamo seduti", come affermato da un funzionario della Provincia, ma una risorsa preziosa che va salvaguardata proprio nell'interesse della montagna, di chi vi abita e del suo futuro possibile.
"Ogni burocrazia si adopera per rafforzare la superiorità della sua posizione mantenendo segrete le sue informazioni e le sue intenzioni. Cerca di sottrarsi alla visibilità del pubblico, perchè questo è il modo migliore per difendersi dallo scrutinio critico." ( Max Weber )

Serioli Giuliano

martedì 27 dicembre 2011

Amianto a Borgo Val di Taro

Amianto a Borgo Val di Taro ma non solo: sarebbe utile che anche negli altri comuni delle valli parmensi si facesse una lista dei siti da bonificare, a integrazione della mappatura regionale del 30-09-2011 (le cave di pietre verdi sono già incluse nella lista) Tanti tetti in ethernet si vedono percorrendo le nostre valli.
http://www.caveallamiantonograzie.info/2011/12/amianto-borgo-val-di-taro.html

giovedì 22 dicembre 2011

AMIANTO IN OGNI DOVE


La Regione Emilia - Romagna il 30/09/2011 ha reso nota la mappatura aggiornata dei siti contaminati da amianto, e in Valtaro – Valceno  ne risultano parecchi. Questa mappatura ha individuato e inserito solo i siti più estesi. Una elementare logica di tutela sanitaria avrebbe voluto che i Sindaci, nella loro funzione di autorità sanitaria, si fossero fatti parte diligente al fine di completare i rilievi sul territorio, finalizzati quantomeno ad individuare una priorità di interventi. Questo lavoro consentirebbe di prevenire almeno interventi di emergenza sanitaria che, nel prossimo futuro, stante l’attuale disinteresse, si renderanno sempre più frequenti.
Ricordo per inciso che la prima mappatura delle contaminazioni da amianto risale al 2005, che il decreto applicativo sulle metodiche di bonifica è del 1996, che la legge basilare che vieta l’uso dell’ amianto e dei materiali contenenti amianto e  dispone la bonifica dei siti contaminati è del 1992. Dunque da 19 anni tutti gli Amministratori Pubblici sanno.
Parlare più diffusamente sul tema mi imporrebbe di dare testimonianza di quanti  da tempo si battono in tutta Italia perché questo problema rientri nelle priorità assolute della politica e della  amministrazione pubblica.
Al problema dei manufatti in cemento-amianto, nelle nostre valli si aggiunge quello delle cave ofiolitiche che disperdono in ambiente nuove fibre di amianto, un vero tabù che dovrebbe risultare insopportabile per i cittadini più consapevoli e intellettualmente attivi.
Sul tema cave, sul   FORUM  di riferimento di Borgotaro, ho fatto qualche intervento totalmente ignorato. Negli ultimi in ordine di tempo scrivevo:
"Devo costatare con rammarico profondo che ancora oggi su questo tema la comunità Borgotarese non vuole riflettere, e quello delle cave ofiolitiche non è un problema localizzato, non riguarda solo il territorio di Bardi e di Borgotaro,  circostante alle aree di cava, ma coinvolge tutti i comuni e gli abitanti delle valli del Taro e del Ceno.
Da qualche mese seguo i dibattiti su FORUM  e ho potuto apprezzare la libertà di pensiero e la preparazione di molti interventi, ma sul tema il silenzio continua; ho l’impressione che la vicenda della cava di Roccamurata sia vissuta dalla maggioranza dei borgotaresi come problema locale, di pochi cittadini. Una impressione che mi turba parecchio e che vorrei mi venisse confutata.
Di questa problematica mi occupo ormai da due anni e mi sono radicato nella convinzione che nascondere e negare sarà sempre più difficile; e allora, Signori miei, rinviare ulteriormente una presa di coscienza  collettiva è autolesionismo puro.
"
 
Oggi assistiamo all’ultimo paradosso di avere dei Piani delle Attività Astrattive, approvati o in itinere, che prevedono il rilascio di nuove concessioni a cavare inerti in siti dichiarati dalla Regione contaminati da amianto, alla faccia della gente, della logica: la cava "Le Predelle", la cava "Groppo di Pietranera", la cava "Groppo di Goro", ma non solo, perché come ho già avuto modo di sostenere queste valli sono diventate, per volontà di una politica scellerata, il più grande polo estrattivo ofiolitico esistente in Italia.
Quanto ancora dobbiamo aspettare per vedere il coraggio civico di portare dentro i Consigli Comunali questo tema? In una recente intervista il presidente della giunta regionale Vasco Errani ebbe a dichiarare che la regione da Lui amministrata è l’unica in Italia dove non si apre una cava che il Sindaco non voglia.

Fabio Paterniti

sabato 17 dicembre 2011

Ospedale di Borgotaro, il cippato inquina. L'esposto ad Arpa e la risposta di Usl

Abbiamo denunciato in questi giorni la grave situazione venutasi a creare all'ospedale di Borgotaro, dove una centrale a biomassa a cippato, inaugurata da pochi mesi, sta creando non pochi problemi all'ospedale stesso, degenti ed operatori compresi.
La segnalazione, sviluppata in un esposto ad Arpa, verteva su diversi aspetti della vicenda, mettendo alla berlina le false rassicurazioni inerenti la corretta impostazione del progetto e lo sviluppo della sua messa in pratica.
Ieri Arpa-Usl hanno risposto tramite l'ufficio stampa (non proprio l'organo maggiormente deputato, ma ci dobbiamo accontentare), ammettendo di fatto che qualcosa non funzioni.
I problemi della centrale termica a cippato all'interno dell'ospedale di Borgotare rimangono diversi ed importanti, che qui è importante rimettere in evidenza, per far capire lo stato dell'arte della vicenda e cercare di porre rimedio a difetti macroscopici che fino a ieri erano stati del tutto ignorati, sostituiti da toni trionfalistici sull'aver realizzato un gioiello, che oggi si mostra appannato, e molto.

1) La tubazione in cui vengono convogliate le emissioni si presenta a livello del tetto, mentre dovrebbe esserci un camino più alto della sommità degli edifici di almeno 3 metri, per permettere un congruo allontanamento dei fumi
2) Una parte delle emissioni tende così a ristagnare all'interno dello spazio cortile dell'ospedale, soprattutto in caso di depressione delle condizioni atmosferiche, appestandone l'aria
3) Il ricambio d'aria delle sale di degenza e delle cucine, anche se attraverso i filtri, avviene pur sempre come scambio tra quella interna viziata e quella esterna, che con la nuova centrale si presenta nelle condizioni di cui sopra
4) La combustione di cippato di legna emette polveri sottili che nessun filtro a multiciclone, come quello esistente nell'impianto, può minimamente trattenere. La combustione della lignina e della cellulosa del cippato, inoltre, produce diossina che nessun filtro attuale può catturare.

La stessa Arpa, rispondendo alla nostra denuncia, comparsa su ParmaRepubblica.it del 15 dicembre scorso, ha dovuto ammettere che ripenserà alla possibilità di far applicare ulteriori sistemi di filtrazione.

Come dire, accidenti ci hanno beccato!

Giuliano Serioli

ASSEMBLEA BIOMASSE DEL 12 dicembre a BORGOTARO

Lo staff della provincia, Dall'Olio e Ferrari, il presidente della comunità montana ovest Bassi, nonchè sindaco di Varano, hanno annunciato e presentato la costruzione di 5 nuove centrali a cippato finanziate in
parte dalla Regione, a Berceto, Calestano, Neviano e Varano Melegari, oltre ad una più piccola alla fattoria di Vigheffio.
Ma il senso vero dell'incontro era tutto nella presentazione dei dati di funzionamento della centrale a cippato dell'ospedale S.Maria di Borgotaro da parte dell'ing. Saviano della Siram, la ditta costruttrice, e del dott. Francescato dell'AIEL, la filiera dell'energia da legno.
La cura dei tecnici nel monitorare i livelli della combustione nella centrale li ha portati a dosare la potenza della centrale a cippato su standard che permettessero contemporaneamente anche l'uso della caldaia a metano. Da quel che si è capito, hanno fatto in modo di non spegnere mai la centrale a cippato, mantenendola su valori che, alla bisogna, potessero essere integrati dall'intervento di quella a metano perchè le maggiori emissioni nocive si avevano proprio nelle fasi di spegnimento e di accensione della centrale a cippato. Solo con l'uso combinato delle due caldaie, a detta loro, è stato possibile smussare i bassi valori
della combustione del cippato e diminuire i volumi delle emissioni di polveri, facendoli rientrare nel range previsto dalle normative vigenti.
Ma da solo questo non sarebbe bastato, a detta dell'ing. Saviano. E' stato necessario ancorare la qualità del cippato e il suo stesso prezzo alla sua effettiva produttività in kw/h. A questo si è giunti, ha continuato Mortali, della comunalia fornitrice, con la miscelazione di vari tipi di pezzature di cippato, con l'aggiunta di segatura da segheria, ma soprattutto cippando solo legname stagionato ( abete e castagno ).
Tutti questi sforzi per rimanere nei range previsti dalla normativa. Ma proprio perchè si è all'interno di un ospedale, noi non crediamo che questo basti. Non crediamo che basti un filtro a multiciclone, capace solo di abbatere la fuliggine, a garantire dalle emissioni nocive gli ammalati, come ha invece assicurato il dott. Francescato, che però ha dovuto ammettere che sarebbe meglio aggiungere anche un filtro a maniche. Per questi motivi abbiamo dato seguito ad un esposto all'ARPA.
Inoltre, ci pare evidente che la modulazione di potenza attraverso due caldaie, di cui una a metano, non sia trasferibile alle altre centrali a cippato esistenti o in progetto e neppure ci pare possibile si possa realizzare tutta quella cura nella selezione del cippato che da altre parti è solo di legna fresca e stivato all'aperto.
Tutto questo, infatti, non lo si trova nelle centrali di Palanzano e di Monchio, nè lo si troverà nelle altre cinque centrali che saranno costruite. Perchè il cippato da pulizia dei boschi, come dice di volere la Provincia, ha un contenuto idrico elevato , anche più del 50%, producendo emissioni elevate ed un residuo di ceneri anche del 5%.
E' per questo motivo che il comune di Palanzano, dopo l'esperienza negativa col cippato fresco da pulizia del bosco, ha deciso di bruciare pellet fornito da una piccola ditta artigiana del vicino comune di Ramiseto che ne garantisce la tracciabilità. Il pellet è prodotto dal cippato per compressione ed ha un contenuto idrico inferiore al 10%, praticamente è asciutto. Col pellet, a detta dello stesso ufficio tecnico del comune, hanno emissioni e residui di cenere insignificanti, pari ad un decimo di quelle precedenti.
Il pellet ha un potere calorifico fino a 5 Kw per Kg, mentre nel cippato fresco si va da 1,5 a 1,8 kw per kg , circa 3 volte meno. Questo è il motivo per cui il pellet, pur costando 27 euro a quintale, avendo una resa molto più alta del cippato permette al comune di Palanzano non solo di avere molto meno in emissioni, ma anche di spendere meno : 16.000 euro contro i 18.000 euro dei 3000 q. di cippato che Monchio brucia per
riscaldare i medesimi edifici pubblici.
Ma a questo punto viene naturale chiedersi perchè spendere tanti soldi in queste centrali : 426.000 euro a Palanzano, 650.000 euro a Monchio, senza considerare la ulteriore spesa per il tracciato del teleriscaldamento. Perchè buttare i finanziamenti regionali in questi inceneritori inquinanti quando basterebbe dotare quegli stessi edifici comunali di normali caldaie a pellet automatizzate, come già sta facendo la gente dei borghi, il cui costo è molto inferiore e per di più detraibile al 55% dalla dichiarazione dei redditi in tre anni. E utilizzare, invece, tutti i finanziamenti per il risparmio energetico, cominciando a ristrutturare i borghi a tal fine e incentivando, in tal modo, una adeguata ricezione turistica assolutamente mancante.
Tali finanziamenti muoverebbero l'edilizia, coinvolgerebbero le piccole aziende artigiane del luogo, darebbero una continuità di lavoro che tratterrebbe i giovani dall'andarsene altrove, oltre a porre le condizioni necessarie per uno sviluppo turistico attualmente moribondo.

Parma 15/12/2011

Giuliano Serioli

domenica 13 novembre 2011

LA FOOD VALLEY MINACCIATA

Da più voci risulta che la food valley sia gravemente minacciata. Dalla Gazzetta dell'8 novembre si evince che Sartori, vicepresidente di Asser, associazione regionale dei suinicultori, afferma che le aziende con meno
di dieci capi chiudono perchè gli allevatori sono anziani e non c'è ricambio in famiglia e che le aziende con più di 100 capi chiudono perchè più capi vuol dire più costi a prezzi di vendita invariati. Come mai, invece, crescono le aziende con un numero di capi tra 10 e 100?
Sono più agevolate nello smaltimmento o meno sottoposte a controlli?
Non esiste una disciplinare sulle coscie che imponga la loro produzione locale, vietando l'importazione? Non esiste alcuna tracciabilità?
Le coscie di prosciutto vengono infatti ormai in gran parte importate dalla Romania perchè numerosi allevamenti suini hanno chiuso essendo troppo costosi gli impianti minimamente richiesti per lo smaltimento
delle deiezioni. Gli stessi allevamenti bovini, tutti rigorosamente industriali, stanno gravemente intasando di ammoniaca le falde e i suoli in pianura, quando non addirittura inquinando bellamente i torrenti in cui scaricano impunemente, come lungo l'Enza, il Cedra etc.
"La svolta negativa in zootecnia, afferma il dott. Cunial, è avvenuta alla fine degli anni 70 quando sono nati i mangimifici che riconvertono spesso rifiuti (vedi oli esausti e diossina nelle galline ) in alimenti zootecnici, slegando completamente la produzione animale dal suolo agricolo che prima era necessario per l'alimentazione degli animali e per lo spargimento delle deiezioni, inoltre l'inquinamento è divenuto
altissimo passando dal letame al liquame : un'autentica bomba per le falde perchè contiene azoto altamente solubile (nitrico nitroso ed ammoniacale). Il letame maturo ha tutto l'azoto in forma organica e quindi non solubile in acqua, inoltre ha un odore caratteristico non sgradevole, ma la politica soprattutto europea ha spinto verso la direzione sbagliata, inoltre posso testimoniare che si controllano le cose formali e non si vuole intervenire sull'inquinamento reale. I nitrati che si trovano nelle acque e nell'acquedotto di Parma arrivano
soprattutto dalle zone collinari ed appenniniche che alimentano le reti acquedottistiche. Mi è capitato di trovare negli acquedotti anche valori 6 volte superiori alla norma, ma se chiedi i dati ti danno dei
valori medi perodici. Per il prosciutto servirebbe il censimento dei capi così che si scoprirebbe che i suini italiani sono meno della metà ! 
Altro che trifoglio, l'importazione di balle di fieno da qualsiasi parte è ormai la norma e per ovviare alla disciplinare del parmigiano per quanto riguarda gli ettari in rapporto al numero di capi in stalla, pare si ricorra all'affitto senza il governo dei tagli, solo per essere formalmente in regola.
Tali allevamenti industriali stanno colonizzando anche la montagna, risalendo le valli fino ai crinali. Infatti dai dati del censimento bovino del 2010 risulta che le aziende con numero di capi tra 100 e 500
sono in crescita e ne sono a conferma le stalle sorte tra Selvanizza e Monchio, tra Selvanizza e Rigoso e tra Neviano e Lagrimone.
Come potranno suoli, torrenti e falde sempre più inquinati sostenere un processo industriale che sembra non porsi limiti di quantità di prodotto, mirando solo ad una speculazione forsennata e improvvida? 
Come ci si può basare solo su una tracciabilità igienica formale per produrre un alimentare che si pretende di elevata qualità e non soprattutto sull'eccellenza dei sapori che solo la qualità artigianale delle lavorazioni può garantire, insieme alla sostenibilità del tutto per l'integrità del territorio? Non è una mia affermazione, ma di Mutti dell'omonima azienda produttrice di conserve di pomodoro.
Una strada potrebbe essere quella dei biodigestori anaerobici per produrre metano dalle deiezioni e di quelli aerobici per produrre compost, fertilizzante naturale. Il comune di Montechiarugolo aveva accennato ad un progetto in tal senso, ma pareva dimensionato sullo smaltimento dell'intero comprensorio che dalla città andava fino a Neviano, con gli ovvi problemi di traffico e sostenibilità.
In ogni caso non se ne è più saputo niente.
Da ultimo ho saputo dal mio fornitore di prosciutto, cui è stato proposto, che un sacco di aziende si sono buttate sulle rinnovabili per specularci, producendo energia elettrica e incamerando incentivi dalla combustione di olio di colza importato da chissà dove. Se fosse una cosa diffusa sarebbe un'ulteriore fattore di inquinamento della valley.

Parma 10 -11 -2011
Serioli Giuliano

venerdì 4 novembre 2011

Albo pretorio, Informatizzazione e Trasparenza


Le Leggi 9 gennaio 2004, n. 4, e Legge 69/2009 ( nate con la finalità di migliorare l’accessibilità agli atti amministrativi e l’introduzione e utilizzo, nella circolazione e conservazione dei documenti delle P.A., su base elettronica) è portata come argomento per giustificare l’abolizione dell’albo pretorio fisico che consentiva a tutti i cittadini di visionare gli Atti Pubblici. Sono convinto che la legge impone il formato elettronico come unico mezzo di trasmissione degli atti solo fra Enti ( fonte questa di produzione di innumerevoli copia cartacee e non certo per risparmiare la carta di una unica copia per l’albo). Nelle comunicazione ai cittadini non è possibile né praticata la comunicazione esclusiva su base informatica poiché ciò richiederebbe l’obbligo per ogni cittadino di dotarsi di idoneo supporto informatico di ricezione. Ci e stato obbiettato che la pubblicazione su carta all’Albo Pretorio non ha più alcun valore legale ma ai fini della funzione informativa ciò è irrilevante a maggior ragione nelle more dell’attivazione di una posizione informatica, di consultazione, presso la sede comunale ,sostitutiva dell'albo cartaceo. Alla luce del comportamento attuale di molte P.A. sorge fra le tante possibili una domanda :

- Gli uffici comunali si rifiuteranno in futuro di rilasciare copia conforme su base cartacea di documenti?

In realtà credo che nel rapporto con i cittadini le P.A. continueranno a scrivere su carta per adempiere a una miriade di richieste e per un notevole numero di anni a venire. Una magnifica occasione per le Amministrazioni opache di complicare, con interpretazioni di comodo, l’accesso agli atti. Un problema in più per arrivare alla trasparenza amministrativa. Invito i cittadini civicamente attivi ad effettuare le verifiche delle prassi adottate dalle P.A. I resoconti provenienti dal territorio potranno servire a fotografare il livello di opacità esistente.

Fabio Paterniti

mercoledì 19 ottobre 2011

Sala Baganza : altra puntata del "fotovoltaico insieme" della Provincia

E' entrato in funzione il 28 Agosto scorso ma inaugurato ieri, 15 ottobre, il parco fotovoltaico di Castellaro di Sala Baganza. L'impianto ha una potenza di 243 Kwe ed è in grado di produrre 240.000 Kw annui. La spesa è stata di 693.000 euro, a totale carico della ditta Sthrold di Reggio Emilia che incamererà anche il totale degli incentivi statali per i prossimi vent'anni. Alla tariffa di 0,263 euro per Kw prodotto ( tariffa agosto 2011) la ditta costruttrice introiterà nei vent'anni 1.302.000 euro, quasi il doppio dell'investimento effettuato. 
Al comune andranno 21.000 euro annui, in pratica i soldi che Enel pagherà alla ditta per la vendita dell'energia prodotta alla tariffa di 0,09 euro a Kw e che la ditta girerà al comune. 

La Provincia si vanta di aver portato nel nostro territorio oltre 120 milioni di euro di investimenti per costruire parchi fotovoltaici in project-financing in quasi ogni comune. Non si capisce, tuttavia, di cosa si vanti. L'energia elettrica è tutta acquistata da Enel a 0,09 euro, la metà di quanto la fa poi pagare ai cittadini. I soldi degli incentivi, versati dalle nostre bollette, finiscono tutti in tasca a finanziarie e ditte private. Ai comuni non va nè elettricità a basso costo, nè la massa dei soldi delle nostre bollette per investirli od usarli a nostro vantaggio. A loro in pratica resta solo un affitto per gli ettari occupati dai parchi fotovoltaici. Una compensazione, non altro. Hanno forse sbagliato quei piccoli comuni come Monchio, Neviano e Montechiarugolo che hanno fatto debiti per intestarseli diventandone proprietari ? Non ci pare proprio. Con gli incentivi realizzati e la vendita dell'elettricità hanno i fondi per le rate del debito e gli resta un gruzzolo consistente da investire in altre iniziative come l'avvio della ristrutturazione dei borghi per il risparmio energetico o per l'impianto di biodigestori per lo smaltimento delle deiezioni animali degli allevamenti industriali. Un'amministrazione provinciale avrebbe dovuto garantire anche che il fotovoltaico finisse sui tetti, come tutti a parole si auguravano, e invece occupa ettari su ettari di superficie agricola che dopo vent'anni di uso dei pannelli perderà del tutto la sua fertilità. Gli impianti sui tetti delle case avrebbero coinvolto anche i cittadini in cambio di un minor costo dei loro consumi di elettricità. 

Insomma, il fotovoltaico come energia rinnovabile è probabilmente la maggior occasione di rinnovamento dell'assetto energetico del territorio e la maggior occasione di democrazia energetica ed economica. Non sfruttare i soldi delle nostre bollette per questo ci pare un grave errore. 

Serioli Giuliano

martedì 18 ottobre 2011

TRECASALI : LA CENTRALE E IL SINDACO

Nella delibera n° 51 del 26 luglio 2011 sulle Rinnovabili la Regione, nel prescrivere le normative, esclude espressamente da queste gli accordi intercorsi con la Sadam Eridania del 15 novembre 2010, che qui vi allego. 

" di prevedere che non siano soggetti alle disposizioni del presente atto, ai soli fini localizzativi e fermo restando l.’obbligo del rispetto delle prescrizioni tecniche previste ai sensi del presente atto, i procedimenti per l.’istallazione degli impianti: Progr. n. 51 12 1. per i quali, alla data di pubblicazione sul BURERT del presente atto, sia stata presentata domanda di accesso a finanziamento pubblico; 2. che siano previsti nei progetti di sviluppo o riconversione del settore bieticolo-saccarifero, in attuazione della normativa comunitaria e nazionale in materia, ivi compresi gli impianti derivanti dagli accordi interprofessionali sottoscritti in data 15 novembre 2010 fra le Associazioni bieticole con Eridania-Sadam COPROB/Italia Zuccheri, e Unionzucchero" 

In altre parole, la Regione, nell'ambito della riconversione del settore bieticolo-saccarifero, dichiara di di aver deciso di non porre limiti agli impianti a biomassa derivanti dagli accordi intercorsi tra associazioni bieticole e Sadam Eridania. Da qui il suo VIA dell'agosto scorso per gli impianti di Russi e Trecasali. 
Che il consiglio comunale si sia espresso contrario all'impianto, peraltro con grave ritardo e a cose ormai fatte, non può intaccare minimamente il piano regionale. Il sindaco dovrebbe opporsi alla realizzazione dell'impianto in qualità di massima autorità sanitaria del territorio comunale e chiamare alla mobilitazione l'intera cittadinanza. 

Solo una tale levata di scudi potrebbe far rimangiare la decisione presa dalla Regione. Non altro. 

ReteAmbienteParma 
Serioli Giuliano

PIANO DELLA REGIONE, TRECASALI, APPENNINO

"Nonostante la situazione sia in costante miglioramento, l'inquinamento atmosferico rimane per l'Emilia Romagna una criticità da affrontare, che le problematiche principali riguardano inquinanti secondari (articolato atmosferico, ossidi di azoto, ozono) e che la qualità dell'aria è fortemente influenzata dalle emissioni derivanti dalla combustione di biomasse, se si considera che una quota rilevante delle emissioni di PM 10 proviene da combustione da biomasse non industriali (riscaldamento), che per il PM10 e il diossido di azoto NO2 i dati rilevati dal monitoraggio della qualità dell'aria hanno evidenziato in varie zone del territorio il superamento di valori limite stabiliti dalla direttiva 2008/50/ CE attuata con D. Lgs. 155/2010....delega la giunta regionale in relazione alla criticità delle diverse aree a formulare i criteri per l'individuazione del computo emissivo per gli impianti con potenza maggiore di 250 Kwt."( Delibera della Regione sulle rinnovabili ) Su tali considerazioni si fonda la pretesa virtuosità della regione. Ammettere solo centrali a biomassa sotto il Mw per uso termico, per il teleriscaldamento dei borghi. Con due significative eccezioni, la centrale a legna della Sadam Eridania di Russi da 30 MWe e quella della Sadam Eridania di Trecasali da 15 MWe. Di fronte ai potentati economici e ai ricatti sindacali non c'è principio che tenga, nè criticità della situazione ambientale. La Regione fa finta di niente, al limite contratterà compensazioni. Ma anche le piccole centrali termiche abbattono ben poco delle emissioni nocive. I loro filtri meccanici a ciclone o multiciclone servono solo a trattenere la fuliggine e a raccogliere le ceneri. Tutto il resto, dalle polveri sottili agli NO2, agli ossidi di metalli pesanti va nelI'aria dove, trovando il cloro volatile della depurazione IREN degli acquedotti, diventa anche diossina. Quindi, mentre nel nostro Appennino si diffondono sempre più stufe a pellet con abbattimento automatico dei fumi ed emissioni sotto i 5 mg x m3, Regione e Provincia vogliono diffondere l'installazione di centrali termiche a cippato che, nella migliore delle ipotesi, hanno emissioni 10 volte superiori rispetto alle stufe a pellet, cioè 50 mg x m3, e questo solo se il cippato non ha un'umidità che supera il 20%, caso estremamente raro. Il cippato fresco ha umidità del 45-50% che provoca valori di emissione doppi o tripli rispetto ai 50 mg prima citati. Le stufe a legna sono inquinanti perchè vecchie, sporcano e sono poco pratiche per le famiglie. La gente in montagna ha trovato per suo conto un'alternativa valida nelle stufe a pellet, ma le amministrazioni vogliono buttare soldi nelle centrali a cippato costose ed inquinanti col loro mantra della filiera corta che dovrebbe essere il toccasana di ogni sostenibilità. In provincia di Parma ce ne sono 5 : la centrale della fattoria sperimentale Stuard della Provincia (100 KWt), le due centrali del comune di Palanzano da 35 KWt ciascuna, per palestra, scuola e casa per anziani, la centrale di Neviano Arduini di cui deve essere ancora assegnato il bando, quella dell'ospedale di Borgotaro da 700 KWt e quella di Monchio da 1 MWt, ma utilizzata al 15% perchè collegata soltanto a palestra, scuola, casa della forestale, casa anziani, utenze per le quali sarebbero bastati i 70 KWt di Palanzano. Se il solare è costoso e l’eolico poco conveniente se non sui crinali, ci si butta sulle biomasse che, in una montagna praticamente abbandonata, significa solo tagli boschivi e legna da ardere. Vorrebbero riempire di centrali a legna quei poveri borghi disabitati. Si inizia col teleriscaldamento per poi finire fatalmente a produrre energia elettrica dalla legna. Nello sfruttamento industriale dei pioppeti i tagli annuali dovevano limitarsi al 4% della superficie boschiva, pena il suo rapido deperimento. Erano i pioppeti del Po, quelli dallo sviluppo decennale. Ora, però, per rifornire le centrali a biomassa che vogliono impiantare nella bassa padana al posto degli zuccherifici chiusi, si parla di pioppeti triennali. A Russi, in Romagna, al posto dell’Eridania sorgerà una centrale a biomassa da 30 MW per la produzione di energia elettrica. Il suo rendimento è solo del 15% e per produrre 250 milioni di KWh annui dovrebbe bruciare circa 300.000 tonnellate di legna, mentre una centrale a gas metano, dal rendimento del 90%, avrebbe consumato molto meno : 1/6 della quantità di metano equivalente alla legna. Stimando la resa del pioppeto in 80 t. per ettaro, occorrerebbero 5000 ettari ogni anno, quindi 15.000 ettari nei tre anni della rotazione della crescita, vale a dire 150 Km2 di pianura padana da sottrarre ai coltivi alimentari di pregio. In pratica, un rettangolo di 30Km x 5Km. Un’enormità! Ma è un’enormità anche quella da 15 MW di Trecasali che avrebbe bisogno di 75 Km2 di pioppeti triennali, vale a dire 15 Km X 5Km di terra della bassa da sottrarre a coltivi ( per capirci : la superficie del comune di Monchio è di 69 Km2). Ma se a quei pioppeti occorrerebbero 3 anni di crescita, ai faggi e alle querce della montagna ne occorrono 30 di anni, per ricrescere. La realtà delle centrali a biomassa già esistenti nel nostro paese è un’altra. Bruciano tutto quello che trovavano e fanno arrivare la legna da dove ce n’è, anche dall’estero via nave, ma in futuro con la pensata della filiera corta si tratterà del nostro Appennino. La crescita a dismisura dei tagli in montagna non trova nessuno che si preoccupi della loro sostenibilità. I sindaci non vogliono inimicarsi nessuno ed altrettanto la comunità montana. Ma c’è la possibilità che la cosa l’abbiano anche studiata. Nessuno dice niente perché così la gente si abitua ad una nuova fonte di denaro, cui non potrebbe certo rinunciare volentieri in futuro. Stanno preparando il terreno per tagli ancor più consistenti per quando le centrali termiche da impiantare in montagna ne avranno bisogno. Legami omertosi con la gente di montagna, rendendola dipendente dalla speculazione del mercato della legna e disponibile al ricatto economico. Una volta che quei soldi si è cominciati a prenderli, ogni anno se ne vorrà di più. Il progetto della regione parla di centrali termiche per il teleriscaldamento dei paesi. Qualche sindaco ha fatto da battistrada e l'ha già impiantata, ma non funziona che al 15% della potenza, perché ci sarebbe da sventrare i borghi per posare i tubi del teleriscaldamento e la cosa costa. Ma costava già di suo l’impianto stesso, la centrale, per cui ci sono rate di debito da pagare. Insomma, quelle centrali termiche sono antieconomiche. I borghi d’inverno si svuotano e con poche utenze allacciate, è fatale che la centrale funzioni per una minima frazione della sua potenza. Eccezion fatta per quella di Borgotaro che serve l’ospedale( e la diossina ?). Erano stati così improvvidi quei sindaci che hanno già cominciato? Lo è la regione e la provincia che addirittura parlano di estenderle a tutta la montagna? No. Sono strategici. Il loro progetto è di mettere la gente davanti al fatto compiuto della centrale costruita, per poi convincerla che sarebbe follia non utilizzarla anche per produrre energia elettrica. La regione Piemonte, col progetto Bresso, aveva dichiarato apertamente di voler ricavare circa l’8% del suo fabbisogno elettrico dalle centrali a legna. La regione Emilia segue apparentemente una via più graduale, ma porterebbe alla stessa conclusione, il diradamento massiccio del patrimonio boschivo col taglio industriale. Le grandi amministrazioni hanno stabilito di sfruttare le risorse della montagna sempre più disabitata ed economicamente ricattabile. Non intendono fermare la speculazione della legna in atto perché pregiudicherebbe la loro rielezione, ma soprattutto perché gioca a loro favore, abituando già da ora a come sarà la montagna col taglio industriale dei boschi che vogliono instaurare. La Regione ha già stanziato 2,5 milioni di euro per l'acquisto di macchinari ( harwester e cippatrice) necessari ai progetti di filiera 10 e di filiera 41 di taglio industriale dei boschi nella provincia di Parma. Sarà una bella gara tra il mercato della legna da ardere ed il taglio industriale del bosco per produrre cippato. Forse non vincerà nessuno, più probabilmente vinceranno entrambi, distruggendo il patrimonio boschivo. Quei politici si riempiono la bocca di ambientalismo ma nei loro intenti di rinnovabile ci sono solo le chiacchiere. Consumeranno il patrimonio boschivo e quindi anche tutto il resto, acqua, aria pura ed ogni ipotesi di un artigianato alimentare di qualità. Nelle centrali a biomassa il bilancio delle emissioni di CO2 è a somma zero, dicono i teorici dell’effetto serra. Si tratta solo di una verità contabile. Tutta apparenza. I boschi da tagliare, crescendo, incorporano CO2. Bruciandoli, dicono, si rimette in atmosfera solo quella che avevano tolto dalla circolazione. La verità è che le piante tagliate non vengono sostituite da altre. Al loro posto vengono lasciate solo poche matricine che per anni non assorbiranno certo la stessa quantità di CO2 delle precedenti. Ma c’è di peggio. Con “la pulizia del bosco”, come loro chiamano la cippatura del secco e delle ramaglie tagliate di fresco, non si creerebbe più l’effetto riducente e la conseguente formazione di nuovo humus. Il bosco lasciato a se stesso, al suo ciclo naturale di degrado, lo produrrebbe a beneficio del suolo, ma la sua colonizzazione industriale no. Tutto quel disastro per niente. Quelle centinaia di migliaia di tonnellate di legna produrrebbero ben poca elettricità. Un bilancio ben poco conveniente, se non ci fossero incentivi statali per le rinnovabili. Ecco qual’à il succo della cosa : le amministrazioni riuscirebbero a finire in attivo solo rastrellando i soldi delle nostre bollette. Cosa importa se quella elettricità a tutti noi costerebbe di più che ad importarla dall’estero! Cosa importa a quelli se si mette a grave rischio il patrimonio boschivo e perciò anche quello dell’acqua e della fauna? Il paesaggio di montagna ne ricaverebbe un danno enorme, impedendo qualsiasi progetto di artigianato alimentare di qualità e qualsiasi seria iniziativa turistica. Se si permettesse che ogni sindaco di montagna si faccia bello coi propri elettori a spese dei boschi nascerebbero tante centrali a biomassa quanti sono i borghi. Centrali che produrrebbero poca elettricità e a carissimo prezzo e teleriscaldamento per gli edifici pubblici e poco altro. I danni sarebbero enormi anche per l’acqua e per l’aria. L’emissione di polveri nocive e di fumi inquinanti sfuggirebbe ad ogni possibilità di controllo che solo le grandi centrali come quelle dell'Alto Adige possono permettersi. Infatti i filtri meccanici delle centrali a legna sotto il MW sono dieci volte più inquinanti delle stufe a pellet. L’aria di montagna non sarà più così pura, anzi, data la presenza di cloro nell’acqua per la depurazione industriale degli acquedotti, le polveri emesse dalle centrali troverebbero l’ingrediente adatto perché si formi anche diossina. Le centrali avrebbero bisogno di molta acqua di raffreddamento che poi tornerebbe ai torrenti ad elevata temperatura, alterandone il ciclo termico, inquinandoli e facendo fuori la fauna ittica. Pur richiesti dalla primavera, i dati degli ettari di bosco chiesti al taglio nel 2010 nella nostra provincia non sono ancora disponibili. Pur avendoli non li danno. Ma l'accenno fatto da Bovis, sindaco di Langhirano, alle migliaia di euro di multa che sarebbe giusto comminare per l'esagerazione dei tagli la dice lunga sul disastro, che chiunque giri per le valli può vedere direttamente. A provocarlo non sono i singoli boscaioli, i tagli artigianali, quanto quelle nuove figure di impresari della montagna che acquistano le richieste di taglio all'ingrosso, mettono le motoseghe in mano ad albanesi (Pianadetto), macedoni (Ramiseto) o romeni (Borgotaro), li pagano in nero e al m3, al punto che si dice che lavorino anche di notte, alla luce artificiale, per aumentare la cubatura e prendere più soldi. Questi montanari coi soldi si sono inventati impresari da un giorno all'altro con la speculazione che corre. Qualcuno di loro è arrivato a tagliare fino a 20.000 t. di legna nel solo 2010, mentre un boscaiolo di Monchio, nello stesso anno, ha tagliato 800 tonnellate lavorando al massimo. La speculazione per viaggiare ha bisogno di autorità compiacenti e di speculatori. Non la fa chi lavora solo con le sue braccia. 

Parma 
4/10/ 2011 

Serioli Giuliano

mercoledì 31 agosto 2011

Voce ai cittadini: storica sentenza del TAR Piemonte

Ottime notizie da http://www.greenews.info:
Il cittadino ha diritto di sapere puntualmente dalle amministrazioni pubbliche perché le sue osservazioni non sono state accolte. La partecipazione del cittadino e dei comitati ai procedimenti amministrativi, con memorie e documenti, trova dunque ampia applicazione nelle valutazioni ambientali e nelle procedure di formazione degli strumenti urbanistici.
La sentenza n. 718/2011 del TAR Piemonte (Dott.Franco Bianchi, presidente, Dott. Ariberto Sabino Limongelli, estensore), ha portato all'annullamento di un provvedimento amministrativo per violazione dell’art. 10 della legge 241 del 1990, norma in virtù della quale l’amministrazione ha l’obbligo di esaminare memorie scritte e documenti presentati da soggetti portatori di interessi pubblici o privati, nonché di interessi diffusi costituiti in associazioni e comitati, ai quali possa derivare un pregiudizio dal provvedimento.

Nell’accogliere il ricorso la pronuncia del TAR ha annullato il provvedimento riconoscendolo illegittimo. Correttamente la sentenza rileva che “la funzione della partecipazione del cittadino al procedimento amministrativo attraverso la prospettazione di osservazioni e controdeduzioni è quella di far emergere interessi, anche spiccatamente privati, che sottostanno all’azione amministrativa discrezionale, in modo da orientare correttamente ed esaustivamente la stessa scelta della pubblica amministrazione attraverso una ponderata valutazione di tutti gli interessi (pubblici e privati) in gioco per il raggiungimento della maggiore soddisfazione possibile dell’interesse pubblico. E se ciò non comporta che l’amministrazione sia tenuta ad accogliere le osservazioni del privato, un rilievo invalidante del provvedimento amministrativo deve invece riconoscersi quando sia provato che l’amministrazione non abbia neppure esaminato le osservazioni e le controdeduzioni formulate dall’interessato a seguito della rituale comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento (Consiglio Stato, Sez. IV, 22 ottobre 2004, n. 6959; Consiglio di Stato, sez. IV, 29 aprile 2002, n. 2280)
Questa sentenza calzerà a pennello con la situazione di "Cave All'Amianto? No Grazie" e di tutti i soggetti che hanno presentato osservazioni al Piano delle Attività Estrattive, se l'amministrazione Comunale di Bardi non le considererà con la dovuta attenzione non motivando l'eventuale non recepimento delle stesse.

sabato 6 agosto 2011

Provincia e Fotovoltaico: insieme per la speculazione?

Si chiama “Fotovoltaico insieme” il progetto della Provincia per fare in modo che in ogni comune venga allestito un campo solare che produca energia elettrica.
L'amministrazione ha dichiarato di di essere riuscita ad attirare nel nostro territorio ben 120 milioni di euro di investimenti. I parchi fotovoltaici crescono come funghi e non c'è comune che non ci stia.

Ma qualcosa non è chiaro.

Quando si vanno a leggere gli articoli della Gazzetta si vengono a sapere altri fatti, altre informazioni.
A Fidenza, a fronte di un parco fotovoltaico della potenza di 998 Kwh, costato 3,8 milioni di euro e che produrrà 1,2 milioni di Kwh, il comune incassa solo 100.000 euro, mentre il volume degli incentivi prodotto dall'impianto sarà invece di 530.000 euro.
A Varsi, a fronte di un impianto di 800 Kwh di potenza, che dovrebbe rendere circa 400.000 euro di incentivi, il comune ne introita solo 50.000.

Come mai?

La risposta è semplice. Le amministrazioni locali si occupano solo dell'affitto del terreno, e tutto il resto se lo intasca chi ha allestito il progetto.
A Roccabianca il comune incamererà solo 100.000 euro, anzi 80.000 perché 20.000, dice il scrive il giornalista della Gazzetta, li dovrà dare alla Provincia per le consulenze.
Anzi, ancora meno. Spetterà ancora al comune pagare l'affitto al proprietario del terreno, che è un privato.

Qualcosa non torna.

Tutti ormai sanno che il fotovoltaico, con gli incentivi, rende circa il 12% annuo del capitale investito. Quasi tutte le banche sono disposte a concedere mutui ai municipi per impiantare campi fotovoltaici fino ad un massimo di 5 milioni di euro.
Anche se le banche chiedono interessi del 6%, gli incentivi sono sufficienti a ripagare mutuo ed interessi e resta sempre un gruzzolo da utilizzare, soprattutto perché nel frattempo il costo dei pannelli tende continuamente a diminuire.
Perché allora ogni comune della provincia non fa in modo di dotarsi di impianti energetici propri? Perché non copiare Monchio, che utilizzerà una parte dei proventi degli incentivi per ristrutturare le case del paese ai fini del risparmio energetico?
O meglio ancora come Fornovo che, costituita una E.S.Co., coinvolge i cittadini stessi e i loro tetti nell'impianto, facendo lavorare artigiani del luogo all'installazione.
Se l'energia rinnovabile è un'occasione di diffusione di nuova impresa nel territorio, come tutti concordano, non si capisce perché ogni comune non ne possa diventare il motore.
Non si capisce perché gli incentivi, prelevati dalle nostre bollette, debbano finire nella maggior parte dei casi in tasca ad aziende già ampiamente consolidate ed estranee al mondo del lavoro locale, sia per la progettazione che per l'installazione.
Certo, si può capire che piccoli comuni di montagna o della bassa non si sentano tecnicamente attrezzati per farlo da soli. Ecco allora che si capirebbe l'intervento della Provincia per sussidiarli, integrando le loro capacità. Non certo per sostituirsi ad essi, delegando ai privati sia il lavoro che il finanziamento e gli introiti. O peggio, addirittura per chiedere quel 5% ai comuni che ha il sapore di un balzello per non dire di peggio.
I soldi degli incentivi vengono da tutti noi e devono principalmente finire in tasche pubbliche. Devono servire a finanziare opere e servizi per il bene comune e rivitalizzare quell'imprenditoria minuta che è alla base della democrazia economica.
Ma questo non sembra proprio l'intento del meccanismo messo in piedi dalla Provincia.
Un impianto fotovoltaico sui tetti riceve una tariffa di incentivazione, un impianto a terra ne ricava una inferiore.
I parchi fotovoltaici di cui stiamo parlando, quelli da 1Mwh,in gran parte vengono installati a terra. Se un'azienda o una finanziaria se li intestassero, ne fossero i proprietari, percepirebbero 0,30 euro di tariffa onnicomprensiva. Per i comuni, al contrario, sia che l'impianto sia sui tetti, sia che sia a terra la tariffa onnicomprensiva è la stessa, quella massima, cioè 0,44 euro.

Tutto questo, nelle intenzioni, è per favorire i Comuni.
Ma le cose nella pratica vanno diversamente.

Nel conto energia che fa capo al Gse è prevista la possibilità di cedere la concessione ventennale di cui si è intestatari ad altri, ad una banca, ad una finanziaria. Una volta che, con atto notarile, la concessione ventennale è passata alla finanziaria, è questa che riceve tutti i soldi della incentivazione.

Il meccanismo della Provincia funziona proprio in questo modo.

L'amministrazione, attraverso il project-financig, raccoglie investitori disposti a mettere i soldi. I comuni si intestano il parco fotovoltaico da costruire e quando arriva l'omologazione dal Gse cedono la concessione ventennale alla finanziaria, che si tiene la tariffa onnicomprensiva corrispondente all'energia prodotta, cioè tutti soldi degli incentivi.
Ma in quel modo intasca il massimo della tariffa garantita ai comuni, gli 0,44 euro a Kwh e non gli 0,30 euro che spetterebbero ad una normale azienda privata.
In tal modo, le finanziarie truffano legalmente il Gse per 0,14 euro a Kwh.
Moltiplicando gli 0,14 euro per i 30 milioni di Kwh prodotti da tutti gli impianti coinvolti, circa 24 parchi fotovoltaici come affermato dalla Provincia, si ottengono circa 4.200.000 euro che, moltiplicato 20, gli anni di concessione, fanno circa 84 milioni di euro.
Questo l'importo totale che le finanziarie agguantano al Gse e che, guarda caso, corrisponde a più dei due terzi del capitale che hanno investito.
Tutto il resto degli incentivi è quindi per loro guadagno netto, grasso che cola.
Ma andiamo avanti.

L'energia che viene prodotta e che fa scattare gli incentivi è energia elettrica, ha un valore definito, cioè 0,09 euro a Kwh, e viene venduta a quel prezzo all'Enel.
Un impianto da circa 1 Mw di potenza produce mediamente 1200 Mwh, cioè 1.200.000 Kwh.
Provate voi a fare i conti. Sono circa 108.000 euro.
Proprio quei centomila euro da cui eravamo partiti, a Fidenza: i soldi che il comune si prende da tutta la storia.
In altre parole, le finanziarie girano ai comuni solo i proventi della vendita all'Enel dell'elettricità prodotta.
Anzi, un po' meno perché c'è da dare qualcosa alla Provincia che ha organizzato il project-financing attraverso l'assessorato all'ambiente.
Pare siano 20.000 euro ad impianto.
Alle finanziarie va la massa dei soldi degli incentivi. Alla fine coi circa 30 Mw installati e i 120 milioni di euro investiti si prenderanno circa 15 milioni annui per venti anni, cioè 300 milioni.


I comuni non avranno nemmeno l'energia elettrica gratis, ma solo pochi spiccioli, chi più chi meno.
Ma soprattutto non avrranno colto l'occasione di diventare impresa, di essere in grado di produrre progetti e lavoro.

Alla Provincia andrà la sua piccola percentuale per il disturbo che, però, moltiplicata per 24,il numero degli impianti, fa una cifra niente male.
Appunto per questo si chiama "fotovoltaico insieme".
Ma insieme a chi, in realtà? Insieme alla speculazione, ci sembra di poter dire.
E questa massa di denaro che circola, a quali tasche giunge?


Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma
Aria Acqua Suolo Risorse Energie
Comitati Uniti per la Salvaguardia del Territorio Parmense

comitato pro valparma - circolo valbaganza - comitato ecologicamente - comitato rubbiano per la vita - comitato cave all’amianto no grazie - associazione gestione corretta rifiuti e risorse – no cava le predelle

lunedì 25 luglio 2011

Montagna, la meraviglia e il disastro

Ad un turista o ad un camminatore la nostra montagna appare come un regalo meraviglioso della natura. Il manto verde dei boschi risale compatto lungo i suoi versanti, occupando quelli che fino a quarant'anni fa erano solo dirupi e prati.
Il verde si insinua in frane antiche, rassodandole, si inerpica per pendii rocciosi colonizzandoli, arriva ormai fin sopra gli alpeggi e oltre i laghi glaciali, conquistando nuovi spazi in altitudine.
Tutto quel verde, agli occhi di chi è preoccupato per l’ambiente, appare come una benedizione.
Una maggior massa traspirante di piante significa aria più pulita.
Una maggior produzione di ossigeno si traduce in maggior contrasto ai veleni che risalgono dalla
pianura. Vuol dire maggior sequestro di CO2, in contrasto all’effetto serra.
E significa anche maggior contenimento delle polveri sottili, che fumi di industrie e inceneritori producono sempre più, unitamente alla crescita tentacolare di autostrade, l'incremento delle auto circolanti con i loro mefitici scarichi.
Ma ad un montanaro che abita e vive ancora in uno di quei borghi di alta quota, tutto quel verde, cresciuto oltre ogni immaginazione, gli rammenta il sempre maggior abbandono in cui versa la sua terra.
La popolazione è sempre più composta di anziani, il lavoro è quasi scomparso e i pochi giovani, già attratti dalle luccicanti illusioni delle città, se lo vanno a cercare là.
Il turismo invernale si è rivelato un miraggio.
Non c’è neve per tutto l’inverno e non c’è abbastanza freddo perché duri quella artificiale sparata con i cannoni. Le piste sono quasi sempre inutilizzate e tanti soldi pubblici sono stati sprecati inutilmente per spianare interi versanti dei crinali, abbattendo le foreste.
La gente che scia, poi, scavalca i borghi, senza lasciar cadere nemmeno la mancia.
Ma è il turismo complessivo che è in ritirata.
In montagna va sempre meno gente. I fine settimana e il mese di agosto non bastano a sostenere le attività commerciali, ogni anno qualche altro negozio chiude. Le scuole di certi borghi sono già a rischio chiusura e nei prossimi anni verranno trasferite altrove.
Ogni posto o servizio che chiude è percepito dai montanari come un disastro, a cui non sanno opporsi.
Le proposte di sviluppo che puntano ad ambiente e natura sono viste dai montanari come fumo negli occhi, non si vede infatti in esse uno sbarramento al disastro.
I montanari invece sono pronti ad osannare chiunque proponga qualcosa di concreto, fosse pure un progetto speculativo, purché dia loro qualcosa, anche solo l’illusione di una possibilità di vantaggio economico seppur minimo.
Sono disperati e diventano facile preda della speculazione.
E la speculazione è sempre al lavoro, non dorme mai.
Magari ripropone vent’anni dopo la diga di Vetto, o un suo surrogato minore, approfittando del fatto che produrre energia da fonti rinnovabili è un mantra in grado, oggi, di aprire tutte le porte e di coprire qualsiasi malefatta.
E’ risaputo, ormai, che ogni diga al mondo accresce l’erosione a monte e sottrae acqua a valle, invece di conservarla. Le perdite di acqua causate dalle centrali Enel in val Cedra sono del 50%, secondo una stima Iren. Una diga sottrae territorio: boschi e pascoli, invasi dall’acqua. Una diga non serve a limare le piene, perché stante l’altezza dell’acqua che deve restare costante per la produzione di energia elettrica, quando l’acqua sale velocemente per le piogge, la diga deve scolmarla subito per evitare che tracimi e che ne sia travolta.
L’erosione, accresciuta a dismisura, riempirà velocemente di argille rosse, tipiche della val d’Enza, il bacino che si formerà, interrandolo. Si ridurrà così progressivamente sia la produzione di energia che di acqua pulita, a causa dell’accresciuta mole della depurazione. I soldi ricavati caleranno e quelli promessi alla montagna come compensazione si ridurranno da bricole a niente.
Il lago che si creerà sarà di color rosso, intonato alle argille, che significa che spazzerà via ogni illusione di ipotetico sviluppo turistico.
Oppure la speculazione si getterà sulla legna da ardere, come già sta avvenendo.
Interi ripidi versanti sono diventati desolatamente nudi, presto saranno preda dell’opera dilavante dell’acqua, senza più il freno della massa compatta degli alberi. Altre frane e collegamenti stradali interrotti ne saranno la logica conseguenza.
Strade che sono già seriamente logorate per il continuo via vai di mezzi pesanti e autocarri che portano altrove la legna.
Il prezzo della legna sta addirittura calando, è oggi a 6 euro al quintale, che significa che l’offerta ha già superato la pur consistente domanda. La speculazione in questo caso ha messo radici più degli alberi e si taglieranno sempre più piante, per sempre meno soldi. La sostenibilità dei tagli, dicono i dati della comunità montana Parma est, è già fuori controllo ed è a rischio la stessa rinnovabilità dei boschi.
Così la tendenza attuale verrà invertita e tutto quel verde comincerà a diminuire.
Anche alla faccia di quel funzionario della Provincia che in un’assemblea pubblica a Langhirano affermava che “siamo seduti sul petrolio senza saperlo: la legna”.
Il picco della legna lo si raggiungerà, di certo, molto prima di quello del petrolio, che pure è già al limite.
La speculazione punta soprattutto sulle energie rinnovabili.
In montagna, tranne eccezioni come il municipio di Monchio, i comuni sono in bolletta, quando non addirittura indebitati, e la speculazione ha gioco facile ad impiantare parchi fotovoltaici, facendo man bassa degli incentivi, lasciando ai comuni solo i soldi dell’affitto dei terreni.
Si può fare anche peggio, come i progetti di parchi eolici di cui si sente parlare sempre più spesso.
I massicci investimenti necessari escluderanno ancor di più gli enti locali, a tutto vantaggio delle finanziarie e delle aziende costruttrici, golose di certificati verdi. La poca energia che produrranno non compenserà i danni ai crinali e alle cime, con disboscamenti ulteriori per le strade e cementificazioni imponenti per i basamenti delle torri eoliche.
E siamo arrivati alla ciliegina sulla torta.
In Regione e in Provincia si annuncia l'intento di impiantare nella nostra montagna decine di centrali termiche a cippato di legna, prodotto col taglio industriale dei boschi, soprattutto di castagno.
A sentir loro c’è un’enorme serbatoio di legna disponibile ogni anno, qualcosa come 393 mila tonnellate. Ma i conti sono sballati e fasulli. I tagli si sommerebbero a quelli della speculazione della legna da ardere, già eccedenti la sostenibilità ambientale dei nostri boschi.
Ogni borgo dovrebbe così avere la sua centrale a biomassa, che emetterà fumi e polveri sottili in quantità industriali, visto che il filtro a ciclone previsto non abbatterà gli inquinanti se non in minima parte.
Le centrali dovrebbero sostituire col teleriscaldamento le stufe a legna dei privati cittadini e le loro ben più nocive emissioni. Nella realtà, la maggior parte delle abitazioni riscaldano già con moderne stufe a pellet le cui emissioni sono di circa 5 mg/m3, mentre quelle delle centrali sono di 50 mg/m3 dieci volte in più, sempre a patto che l’umidità del cippato non superi il 20%.
Eventualità molto difficile: occorrerebbe che fosse sempre secco.
Il progetto è comunque antieconomico. A fronte di un costo elevato della centrale e del tracciato del teleriscaldamento, centinaia di migliaia di euro, che graverebbe sulle casse del comune, sarebbe molto meglio sovvenzionare con un sostegno finanziario piccole e moderne stufe a pellet per le private abitazioni, che tra l'altro otterrebbero dallo Stato il contributo del 55%, detraibile in 3 anni dalle tasse.
In sostanza le grandi centrali a legna sono inquinanti ed antieconomiche, ma soprattutto accrescono il disboscamento, riducendo di fatto il sequestro di CO2.
E' giunto il tempo di sfatare la convinzione che l’incenerimento di biomasse legnose sia a somma zero di CO2. Un versante denudato col taglio raso, con quelle sottili e rade matricine rimaste, impiegherà anni perché abbia una massa traspirante sufficiente a catturare la stessa CO2 di quando il bosco era in piedi, mentre la legna prodotta dal taglio e bruciata in poco tempo, immetterà in ambiente, e subito, una grossa quantità di anidride carbonica.
Affermare che bisogna accrescere le superfici boschive e nello stesso tempo considerare le biomasse legnose parte integrante delle foti rinnovabili è una contraddizione che non sta né in cielo né in terra e che l’Europa deve risolvere.
L’unico patrimonio che ha la montagna è dato dai boschi, dall’aria pura e dall’acqua pulita.
Se un ambientalista cerca di condividere questo pensiero con i montanari, loro sbuffano e si spazientiscono.
Non gli basta.
Vogliono che i borghi tornino a vivere.
E hanno ragione.
Questo però non succederà, se rinunciano anche ad una sola di queste risorse.
Chiunque proponga progetti insostenibili sbandierando compensazioni in soldi o posti di lavoro (poche briciole, poche unità), in realtà ha in mente di portarsi via ben di più, a favore del proprio portafoglio, a scapito dei territori.
Sia esso un amministratore, un politico o un’impresa, di speculazione stiamo parlando.
Una delle strade da percorrere per aiutare la montagna a crescere è usare il fotovoltaico per raggiungere l'indipendenza energetica e per finanziarsi.
Fondare ad esempio una Esco, capitalizzarla per ottenere il mutuo e diventare proprietari dell’impianto, coinvolgendo i tetti e gli artigiani del paese.
I soldi ricavati posso avviare la ristrutturazione dei borghi orientata al risparmio energetico.
Defiscalizzare completamente, e per un considerevole numero di anni, chiunque voglia stabilirsi in montagna ad avviare un’attività artigianale, mettendogli a disposizione la possibilità di prestiti a la disponibilità gratuita di uno stabile abbandonato da ristrutturare.
Applicare norme per le produzioni alimentari artigiane diverse dall’industria, in modo da non impedire lo sviluppo di piccole attività richiedendo tecnologie ed impianti sovradimensionati.
Accordarsi a livello intercomunale per un sito comune di macellazione carni e conservazione refrigerata degli alimenti.
Proporre all’università la creazione di laboratori post laurea nei borghi, per l’avviamento al lavoro e alla ricerca su committenza sociale dei neolaureati. Laboratori che, con l’appoggio finanziario delle fondazioni bancarie, siano in grado di operare direttamente sui problemi della montagna: frane, strade, alvei dei fiumi, zootecnia, forestazione ed energia.
Legare lo sviluppo turistico allo sviluppo dei parchi, privilegiando un turismo consapevole dell’ambiente e legato ad una ricezione sia agrituristica effettiva che ad una ristrutturazione e crescita della ricezione delle alte vie, tipo Lagdei, Lagoni, rifugio Lago Santo.
Un turismo minuto ma attivo, capace di trovare da sé i canali logistici e culturali della propria diffusione, a tutto vantaggio della rivitalizzazione dei borghi.

Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma
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giovedì 14 luglio 2011

Cava le Predelle, l'amianto in Procura

Con un circostanziato esposto alla Procura della Corte dei Conti di Bologna, il comitato No Cava le Predelle di Roccamurata, Borgotaro, ha deciso di alzare il tono dello scontro sulle problematiche connesse all'escavazione della cava di ofiolite, non avendo avuto dagli enti locali le risposte a lungo attese.

Tutto ha inizio nel giugno del 2004 quando il comune di Borgotaro e la società Scavi e Strade siglano un accordo convenzione per la coltivazione della cava Le Predelle, situata tra Gorro e Roccamurata, a pochi chilometri dal capoluogo.

Dopo 5 anni di escavazione lo stesso comune concesse una proroga di un anno, per cui i lavori si sarebbero dovuti concludere nel giugno del 2010, con il ripristino e rinaturalizzazione dell'intera area.

Purtroppo passato oltre un anno l'enorme voragine è ancora lì e nessuna opera di risanamento e valorizzazione è stata messa in atto, anzi, i lavori sono proseguiti anche senza l'autorizzazione.

A nulla sono valse la molteplici raccomandate che i residenti hanno inoltrato al comune di Borgotaro, dove veniva denunciato il problema e si chiedevano gli atti relativi alla pratica di concessione.

Situazioni legate a scadenze non rispettate ma anche alle opere non portate a termine, Opere previste dalla convenzione sottoscritta dall'azienda che ha tratto lucro dall'attività estrattiva. Fatti anche preoccupanti, come ad esempio la sparizione di due strade comunali e la loro inaccessibilità, visto che sono diventate parte della cava stessa.

Gli stessi manufatti, comprendenti una pesa mobile, sono ancora presenti sul posto e la preoccupazione dei residenti è quella di un ipotetico riavvio delle opere di escavazione che visto l'enorme voragine, si ipotizza possano essere alla base degli imponenti fenomeni franosi che hanno lesionato molte abitazioni della zona.

La cava Le Predelle ha anche evidenziato un rischio sanitario, legato al particolare tipo di pietra prelevato, appunto ofiolite, che contiene fibre di amianto. Anzi la cava Le Predelle è considerata ad alto rischio proprio per il tipo particolare di ofiolite contenuta nelle pietre, la tremolite.

La situazione di Roccamurata è stata oggetto anche di una interrogazione regionale, che ha messo in evidenza lo smottamento e l'attività della cava ancora attiva nel dicembre del 2010 a cui fu fatta seguire la sanzione del comune di Borgotaro alla ditta escavatrice.

Tra gli abitanti rabbia e forte preoccupazione: per la loro salute ed anche per la tenuta statica delle loro case. Da paradiso la zona si è via via trasformata in un piccolo infermo, costellato di timore, paura, senso di abbandono.

Le abitazioni di Roccamurata presentano lesioni e forti fessurazioni, così come le strade vicine alla cava mostrano preoccupanti cedimenti, anche se naturalmente gli enti locali hanno subito negato correlazione tra l'enorme voragine della cava e i fenomeni franosi.

La situazione di Roccamurata è a dir poco esplosiva. Ora la Procura di Bologna è al corrente di tutte le situazioni, corredate di ampia documentazione e ci si aspettano a breve sviluppi importanti.

Ancora una volta sono i cittadini protagonisti dell'indignazione.

E' il comitato No Cava le Predelle che si è fatto carico di supportare la popolazione creando uno spazio virtuale sul web www.roccamurata.com , che è stato molto utile per fare informazione dove il silenzio e le bocche chiuse avevano sempre la meglio sulla protesta.

La mail del comitato: com_cava_2010@libero.it

La prima lettera del comitato del marzo scorso
http://www.youblisher.com/p/152739-Prime-Lettere-Comitato-al-Comune-Strada-e-Fabbricati/

La prima risposta del comune di Borgo Val di Taro
http://www.youblisher.com/p/152743-Prima-Risposta-Comune-a-Lettere-Comitato-Strade-Fabbricati/

La seconda lettera del comitato
http://www.youblisher.com/p/152746-Seconda-Lettera-in-Risposta-del-Comitato-al-Comune/

La seconda risposta del comune di Borgo Val di Taro
http://www.youblisher.com/p/152747-Seconda-Letteradi-risposta-del-Comune/

Parma, 14 luglio 2011

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mercoledì 15 giugno 2011

Selvanizza: la guerra delle due dighe

Venerdì 10 giugno a Selvanizza affollata assemblea pubblica su 'montagna e rinnovabili'. Lo studio ing. Lariucci ha presentato per conto del Pd un progetto di bacino in località La Mora, presso Selvanizza, in grado
di raccogliere sia le acque del Cedra che dell'Enza. La diga in cemento armato, alta 55m con pelo libero dell'acqua fino a 40m, creerebbe un invaso di circa 7 milioni di m3, neanche un decimo dei 90 milioni di m3
pensati per la diga di Vetto. Un piccolo bacino molto meno invasivo del precedente progetto, è stato detto, e tuttavia in grado di alimentare tre centrali idroelettriche a scalare con le condotte forzate fino a Cerezzola, capaci di produrre circa la metà dell'energia elettrica che avrebbe prodotto quella di Vetto. In più, un sistema di filtraggio a vasca di decantazione a gravità, a valle della diga, in grado di rifornire di acqua potabile incontaminata la grande sete della pianura. La spesa per realizzarla : circa 60 milioni di euro. Recuperabili rapidamente, a detta del sindaco Moretti di Monchio, con i proventi annui dell'elettricità e degli incentivi verdi ( 6 milioni) e con lavendita annua dell'acqua ( 8 milioni).
A rompere l'incantesimo di tutto quell'oro colato gli interventi rabbiosi dei promotori della diga di Vetto, sentitisi abbandonati dopo tante assemblee in montagna in cui quegli stessi amministratori si erano detti antusiasti del loro progetto. Il bacino troppo piccolo. La fame d'acqua degli agricoltori della bassa non soddisfatta. Perfino il pericolo che quella massa d'acqua, col suo peso, facesse franare i versanti già di di per sè instabili. Insomma non gli andava bene niente.
Imbarazzo. Rabbia. Interventi tesi ed obliqui. Discorsi che rivelavano che era già da un pò che i due contendenti si facevano sgarbi e si accusavano di scorrettezze.
Era di scena la guerra delle due dighe.
Paradossalmente, a stemperare gli animi e a concentrare di nuovo l'attenzione di tutti, proprio l'intervento di reteambiente. Certo, un bacino piccolo era meno invasivo per l'ambiente. I numeri economici parevano allettanti. Lo stesso assessore provinciale alle attività produttive, Danni, aveva però ammesso che l'assetto intero della valle ne sarebbe stato alterato e che forse c'era anche da pensare a soluzioni
alternative come l'eolico.
Insomma si era davvero sicuri che sia l'una che l'altra diga non creassero più problemi di quanti ne risolvano? Si era a conoscenza che il lago artificiale creato anni fa nel piacentino, a Lugagnano, ha attorno il deserto e non certo un eldorado turistico? Che produce sempre meno elettricità perchè tende sempre più a interrarsi? Che il suo colore non è azzurro ma grigio, per la sedimentazione delle argille che la presenza stessa dell'invaso ha contribuito ad erodere ancor più massicciamente nell'alta valle?
La stessa situazione si creerebbe in val d'Enza. Qualsiasi diga farebbe retrocedere l'erosione a monte accrescendola e scavando in alto le argille rosse la cui sedimentazione non potendo sfogarsi più giù si
fermerebbe tutta nel lago, riempiendolo in pochi anni. Il che vuol dire che ci si ritroverebbe con un lago torbido e di colore rosso che significherà zero attrattiva turistica. Un lago che si riempie in fretta
vuol dire aempre meno produzione di energia elettrica. Un lago torbido e un'acqua carica di sedimenti in soluzione significa una spesa molto più massiccia per la sua depurazione e addio ai soldi facili della sua vendita.
Sia nell'uno che nell'altro caso gli scenari e i numeri economici prefigurati sarebbero stati da correggere o addirittura da cancellare.
Da ultimo, il peso della massa d'acqua avrebbe avuto un pesante effetto sulla stabilità dei versanti argilloso-calcarei, facendoli franare e con essi i boschi.
Una valle disastrata, ecco cosa ci si sarebbe dovuti aspettare.
Molto meglio puntare sul fotovoltaico. Meglio le Esco municipali, capitalizzandole con quello che c'è : scuole, immobili pubblici, terreni e ottenere mutui con cui intestarsi la proprietà degli impianti. Con gli incentivi pubblici investire sull'economia locale creando posti di lavoro. Non altro.
Anche i comuni indebitati, in questo modo, potrebbero seguire l'esempio di Monchio e investire nella ristrutturazione delle case del borgo. Non è il progetto della Provincia, quello del fotovoltaico insieme, che ha
seminato solo briciole ai comuni dando la gran parte dei soldi degli incentivi alle aziende e alle finanziarie.
E anche l'assessore Danni, poi, si era detto d'accordo con le Esco comunali.
Gli applausi e le strette di mano dei montanari per il forestiero e il suo discorso fuori dalle righe.
Poi la fine e i conciliaboli tra i guerreggianti in provvisorio armistizio.

Parma 13- 6 - 2011
Serioli Giuliano

lunedì 30 maggio 2011

Il nostro deprimente oggi

Viviamo giorni bui.

Balliamo sull'orlo del baratro, grasse risate davanti al nulla, quasi a fingere di non sapere e non conoscere verso dove stiamo tutti andando, coscientemente.

Lo stato di salute del nostro territorio, e della nostra gente, è preoccupante.

Eppure ogni giorno assistiamo a questo far finta di nulla, perché non bisogna allarmare, bisogna star tranquilli, calma e gesso.

Come scheletri che anche vestiti rimangono tali, l'eterna finzione della green city, delle greenways, della green economy, quando a Ugozzolo si costruisce la demolizione del futuro e l'aria è già oggi irrespirabile, senza bisogno di peggiorarla ulteriormente.

Ci accusano di terrorismo e di essere talebani, e abbiamo ribadito che per la salute lo siamo eccome, perché la salute dei nostri cari non ha prezzo ne bandiera.

Ci sembra veramente da dementi il far finta di non avere ascoltato le pesanti parole dei medici, che il 23 marzo scorso, in seduta congiunta delle commissioni ambiente a sanità, hanno sciorinato dati a voce unica, ma inutilmente.

Ci hanno spiegato i rischi e i meccanismi di questi rischi.

Le uniche risposte sono state le schermaglie partitiche, una immensa, irraggiungibile mediocrità, da parte dei nostri amministratori, di quale parte non sembra far mutare il giudizio.

Una superficialità preoccupante ma che specchia lo stato delle cose del nostro mondo di oggi.

Sarebbe tanto facile fare luce definitiva su questi argomenti così importanti per il nostro futuro.

Talmente semplice che nessuno ha il coraggio di produrre fatti e non chiacchiere.

Basterebbe eseguire i campionamenti sulle matrici biologiche: polli, uova, latte materno, cercando gli inquinanti dove ci sono e non dove non ci sono.

Prelevando nelle zone giuste, come ad esempio vicino all'inceneritore di Rubbiano, che da 10 anni sta emettendo fumi su Fornovo. Qui nel 2007 Arpa aveva eseguito test di mutagenesi, che erano risultati tutti positivi (nel senso che i campioni prelevati erano tossici, quindi pericolosi) ma nulla si è mosso nonostante questi dati allarmanti e il silenzio è tornato ad essere opprimente.

Stiamo assistendo ad una vera e propria pandemia silenziosa, i dati sull'incidenza dei tumori sono allarmanti.

Nell'infanzia il tasso di incremento annuo è del 1,1% in Europa, del 2,2% in Italia.

Nei linfomi +0,9 in Europa, +4,6 in Italia.

La donne di Parma si ammalano più di tutte quelle italiane (Rapporto sui tumori in Italia - Artum 2008), eppure noi, oggi, fingiamo serenità e ci occupiamo di amene distrazioni, spendendo più soldi ed energie per scegliere un paio di scarpe che per la salute dei nostri figli o magari per una biciclettata togli pensieri.

Ogni anno in Europa 380 mila persone muoiono prematuramente a causa delle polveri sottili inferiori ai 2,5 micron (Agenzia Europea per l'Ambiente 2007), proprio quelle che gli inceneritori producono in quantità.

Ma noi, tutti i giorni, fingiamo di stare bene.

E fuggiamo da ogni confronto serrato con la verità.

Se l'ordine dei medici dell'Emilia Romagna chiede una moratoria sugli inceneritori, viene subito isolato e messo all'indice dai politici.

Se una associazione minaccia il boicottaggio di una azienda che costruirà un inceneritore gigantesco ed inutile, viene portata in tribunale.

Capite l'enormità di quello che ci passa sotto gli occhi ogni giorno?

E noi stiamo ancora davanti ai televisori con gaiezza, a guardare persone in mutande rincorrere una sfera, applaudendo pure, utilizzando le scene come uno scacciapensieri

Noi dobbiamo cambiare, nel cuore dobbiamo decidere di reagire.

Il nostro deprimente oggi ci deve scuotere.

Ora che sappiamo, non possiamo più tirarci indietro e fingere ignoranza come tanti nostri amministratori oggi stanno facendo. Tocca a noi fare la differenza.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di Parma - GCR
Parma, 29 maggio 2011

-343 giorni all'avvio dell'inceneritore di Parma, ORA lo possiamo fermare.
+363 giorni dalla richiesta a Iren del Piano Economico Finanziario del Pai, forse perché l'inceneritore costa 315 milioni di euro?
+41 giorni dal lancio di Boicottiren:http://tinyurl.com/boicottiren
Aderisci anche tu: boicotta Iren, digli che non finanzierai un euro dell'inceneritore di Parma


sabato 28 maggio 2011

Scoppia il caso Laterlite E Paolo Rabitti fa paura

E' un Foro Boario gremito di cittadini quello che ha accolto venerdì sera, a Fornovo, i relatori dell'incontro “Il co-inceneritore di Rubbiano, impatto sanitario ed ambientale”, organizzato da Rete Ambiente Parma, assieme al comitato “Rubbiano per la vita”.
Nonostante il colpevole silenzio dei media, almeno duecento persone hanno seguito sino a tardi l'incontro, concluso con un acceso dibattito, a cui ha partecipato anche il sindaco di Fornovo Emanuela Grenti.
La serata pubblica aveva lo scopo di dare una puntuale informazione su un tema troppo a lungo marginalizzato, ma meritevole di ampia divulgazione e conoscenza, vista la portata e le implicazioni del non piccolo problema.
Come fondatore del comitato “Rubbiano per la vita”, Gianluca Ori ha elencato i punti salienti della vicenda. E' dal 2000 che lo stabilimento Laterlite di Rubbiano, nato sul territorio negli anni '60 contemporaneamente allo stabilimento Barilla, è stato autorizzato dalla Provincia di Parma a utilizzare al posto del gas metano, rifiuti tossico nocivi, per alimentare il forno che produce argilla espansa, le famose palline Leca, un prodotto che l'azienda presenta come ecologico.
L'autorizzazione ambientale integrata (Aia), che ha dato il via a questa modificazione, riporta cifre ragguardevoli, come le 65 mila tonnellate di rifiuti combusti all'anno, che hanno di fatto stravolto le emissioni ambientali dello stabilimento.
Un cambio di lavorazione che per 5 anni è stato tenuto sottotraccia, ignari tutti i cittadini, nonostante abbia cambiato totalmente l'impatto dell'azienda sul territorio, e che da ormai dieci anni continua senza sosta.
Il comitato Rubbiano per la vita, nato il giorno dopo che la notizia della trasformazione dell'impianto in un co-inceneritore di rifiuti fu rivelata, ha proposto oggi di fare chiarezza sulle emissioni e sulla loro nocività.
Un monitoraggio Arpa del 2007 aveva evidenziato la positività alla mutagenesi di tutti i test messi in campo, con valori altissimi che non hanno altresì portato ad alcuna conseguenza.
Laterlite, in uno stabilimento gemello di Boiano, Campobasso, è stata condannata penalmente nel 2007 per disastro ambientale e lesioni volontarie alla salute dei cittadini. Le parole della sentenza la dicono lunga sull'affidabilità dei controlli: “Se solo l'ente di controllo avesse adoperato la logica del buon padre di famiglia per tutelare la salute dei cittadini, forse i dati sarebbero diversi”.
Così oggi è venuta la proposta di 4 sindaci, Fornovo, Medesano, Varano, Solignano, i territori soggetti agli impatti dell'azienda, di inserire come consulente dell'osservatorio ambientale di Rubbiano il tecnico Paolo Rabitti.
Ma la proposta, portata in Provincia all'attenzione dell'assessore Castellani, è stata subito cassata, “perché Rabitti non è gradito all'azienda”.
Lo sconcerto a questo punto è evidente e la popolazione non può accettare questo tipo di imposizioni. Anzi se l'azienda è tranquilla sulle performance del proprio impianto non si riesce a comprendere come possa giudicare inopportuno un tecnico di levatura nazionale, che vanta esperienze di collaborazione con le procure di mezza Italia.
E' stata poi l'oncologa Patrizia Gentilini, dell'associazione internazionale Medici per l'Ambiente (Isde), a concentrare l'attenzione sui rischi della combustione di rifiuti, con l'imponente massa di emissioni e di ricadute ambientali, e sanitarie.
Abitiamo in un territorio, la pianura padana, già gravato da un fardello pesantissimo, quinta area più inquinata al mondo, con tassi di incidenza di malattie, tumori in particolari, sopra la norma, continuamente in crescita, in particolare tra i bambini.
Che senso ha aggiungere emissioni?
Non sarà il caso di applicare seri monitoraggi ambientali per stabilire lo stato di salute di persone e cose? Non sarà il caso di eseguire campionamenti su matrici animali quali polli e uova per stabilire una volta per tutte come stanno davvero le cose a Rubbiano?
Come mai fino ad oggi, dopo dieci anni di emissioni, gli enti preposti ancora non hanno messo in campo dei controlli di questo genere?
Il dubbio dei cittadini è un sentimento ancora lecito?
Matteo Incerti, giornalista di Radio Bruno che si interessa in particolare di ambiente, ha sottolineato la vicinanza di Laterlite con lo stabilimento Barilla, un binomio per lo meno scomodo per l'immagine del colosso alimentare, dicendosi stupito del gran rifiuto al tecnico Rabitti come consulente dell'osservatorio ambientale. Se tutto è in ordine che motivo ci può essere per respingere uno specialista che ha collaborato con tante procure italiane, dimostrando sempre le proprie capacità e l'irreprensibile valore dell'agire.
E' il momento di attrezzarsi, di rispondere alle mancanze del pubblico con azioni puntuali dei cittadini, per verificare la situazione ambientale sul posto con campionamenti ed analisi affidate a laboratori terzi indipendenti e certificati.
E' giunto di momento di non nascondere più le situazioni.
Se nulla preoccupa, se tutto è sotto controllo, che motivo c'è di titubare e di opporsi a una aperta, puntuale, completa verifica dello stato dell'arte, in modo da fugare ogni dubbio, paura, timore, che giustamente i cittadini sentono dentro.
Un appello alla trasparenza che l'ente pubblico non può più negare.
Un appello che Rete Ambiente Parma con il comitato Rubbiano per la vita faranno loro nei prossimi mesi. L'Aia di Rubbiano conclude la sua validità nel 2012. I cittadini oggi pretendono che l'azienda ritorni ad alimentare l'impianto con il gas metano che, tra i combustibili fossili, è quello con minori impatti ambientali. Aldilà della verifica degli eventuali danni fin qui provocati, questo ritorno al passato pare essere l'unica strada percorribile, la sola a poter riportare un po' di fiducia tra le popolazioni.
Nel frattempo è fuor di dubbio che se 4 sindaci hanno indicato un consulente non si può che prendere atto e dare l'incarico alla persona prescelta. Poi seguiranno i fatti, che tutti speriamo positivi per lo stato di salute dell'ambiente e dei cittadini.

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