"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

martedì 28 agosto 2018

Inceneritore di Parma e prospettive per un futuro sostenibile

Lettera aperta
al Sindaco di Parma Federico Pizzarotti
all’Assessore all’Ambiente Tiziana Benassi

Parma, 28 agosto 2018

Come tutti i cittadini abbiamo avuto modo di seguire le ultime vicende relative all’impianto di incenerimento di Iren, situato ad Ugozzolo, ed in particolare la richiesta di incremento della capacità autorizzata di combustione (da 130.000 t/a al “carico termico” ovvero circa 190/195.000 t/a) inoltrata dallo stesso gestore.


Abbiamo letto l’accordo sottoscritto il 30 luglio tra Regione, Comune ed Iren, in cui quest’ultima “autolimita” la quantità di rifiuti all’inceneritore a 130.000 t/a, estendendo il territorio di conferimento oltre alle Province di Parma e Reggio Emilia (aggiunta nel 2016) alla Provincia di Piacenza.
Lo stop all’incremento è un passo in avanti ma è solo momentaneo e non del tutto rassicurante.
Da quel che si è capito il contenuto dell’accordo andava trasferito nella modifica autorizzativa, precisando che l’accordo cessa di efficacia al 31.12.2020, ovvero in corrispondenza al termine di validità del Piano regionale rifiuti che individua i flussi di rifiuti urbani da inviare anche all’impianto di Parma, “senza che ciò comporti la necessità di modifica dell’autorizzazione integrata ambientale” e comunque nel “rispetto della normativa nazionale e della pianificazione regionale”.
Dal sito regionale abbiamo scaricato il nuovo atto autorizzativo (determina ARPAE 3992 del 2 agosto 2018) nel quale ci sembra vi sia un passaggio stonato.
In tale atto, dopo aver richiamato l’accordo citato, si afferma che “a far data dal 1 gennaio 2021” la quantità di rifiuti (di ogni genere) in ingresso all’inceneritore sarà di 195.000 t/a.
Tale previsione stupisce e preoccupa in quanto ci saremmo aspettati che alla data di scadenza del 31.12.2020 la quantità autorizzata rimanesse vincolata alla (nuova) pianificazione regionale e che comunque, fino alla definizione della stessa, rimanesse la quota di 130.000 t/a.
Invece, da quanto indicato nella nuova autorizzazione, l’incremento a 195.000 t/a appare “automatico”, svincolato da qualunque atto programmatorio, come se la limitazione attuale fosse solo un preludio al via libera totale del gennaio 2021.
Non siamo affatto convinti, dalla lettura del provvedimento di VIA e di AIA del 2016, che vi sia un obbligo “automatico” di incremento nella quantità dei rifiuti e quindi qualunque modifica all’autorizzazione crediamo debba essere discussa tra gli enti (in questo caso in prosecuzione della conferenza dei servizi del 29.06.2018, come pure delle note inviate dal Comune, come ricordato in premessa nella nuova autorizzazione).
Ci chiediamo allora se l’accordo del 30 luglio scorso avesse come obiettivo semplicemente una dilazione temporale dell’incremento della quantità di rifiuti autorizzata all’inceneritore di Parma piuttosto che un serio ripensamento da parte di Iren sulla richiesta di aumentare i rifiuti inceneriti, una decisione questa che aveva visto l’opposizione di molti soggetti, anche di importanti realtà economiche locali, tutti compatti a dire no ad ogni possibile incremento.
Un netto no che non prevedeva un termine temporale o una momentanea e breve sospensione dell’incremento ma definiva una visione strategica del territorio per andare verso l’economia circolare, concetto che oggi l’Unione Europea spende come percorso ineluttabile.
Un percorso dove l’incenerimento deve diventare un fatto residuale in attesa di uno stop definitivo, come già deciso dalla regione Marche.
Ora le domande.
Il contenuto della nuova autorizzazione è stato approvato dall’amministrazione comunale di Parma? Oppure Arpae è andata oltre alla trasposizione dell’accordo nell’atto?
Se così fosse l’amministrazione intende intervenire e chiedere una modifica dell’atto del 2.08.2018 per la parte qui messa in evidenza?

Rete Ambiente Parma
Farmacia Annunziata Parma

Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma
salvaguardia e sostenibilità del territorio

lunedì 27 agosto 2018

Prato di Monchio, è allarme acquedotto

La rete idrica "fa acqua" e provoca smottamenti

Un appello alla Regione contro Iren e le stesse autorità comunali da parte di residenti e proprietari di seconde case.
La frazione di Prato di Monchio è sul piede di guerra per un movimento franoso che provoca colamenti di terra, fessurazioni nelle abitazioni e avvallamenti nella strada.
La frana sembra essere causata delle abbondanti perdite dell’acquedotto locale.



Il sindaco, interpellato più volte, addossa le responsabilità a Iren, che lo ha in gestione.
Me nessuno si fa carico delle proprie resposabilità, nessuno si occupa del problema.
E i cittadini si sentono abbandonati.
L'acqua sversata dall'acquedotto, che risulta essere ormai un colabrodo, le piogge frequenti dell’ultimo periodo, una miscela micidiale che sta facendo smottare il terreno verso valle, spingendolo contro le case e i muretti a secco, provocando perfino la deformazione dello stesso tracciato stradale.
A favorire il processo la roccia sottostante l’area, che fa da piano di scorrimento.
Si tratta di argilliti rosse della formazione argilloso-calcarea, dominante in zona.
L'argilla, impermeabile, impedisce all'acqua di penetrare in profondità e il suo dilavamento crea smottamenti quando non addirittura veri e propri colamenti di terra, che diventata fradicia assume un peso sproporzionato, una massa enorme che scivola a valle.
Quest'anno il movimento è più consistente e le fessuarzioni nei muri delle case più marcati.
Due case sono già state "legate" con moduli di ferro: senza interventi si sarebbero aperte e i muri sarebbero crollati.
A questo punto è urgente intervenire. Riparare l'acquedotto e riattivare ii canali di scolo, per favorire il drenaggio dei suoli.
Tutto l'assetto dei terreni a valle del passo del Ticchiano dovrebbe essere monitorato, come le frane di Ceda e di La Valle suggeriscono.
Tutta la conca che scende dal Passo è costituita da tale formazione argillitica ed evidentemente la direzione degli strati coincide col verso delle pendenze sul terreno.
La dismissione di ogni forma di agricoltura in zona ha significato l'abbandono di ogni opera di scolo delle acque, che in passato limitava il fenomeno e che ora sta letteralmente innescando un enorme movimento franoso verso valle.
Con la complicità del silenzio delle autorità locali.

Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma
salvaguardia e sostenibilità del territorio

martedì 7 agosto 2018

No al decreto brucia foreste

Un danno enorme e forse irreversibile per le nostre montagne

Pensate ad un albero, inserito in una entità unica, quale può essere un bosco, o una foresta.
Non è semplicemente un pezzo di legno che, se tagliato, produce energia e può essere sostituito (dopo almeno trent'anni) da un altro “pezzo di legno", un'altra pianta.
Non è così.
Un albero è soprattutto un essere complesso, necessario alla nostra respirazione, al nostro esistere.
Pensate ad un bosco, esso agisce come un pompa naturale, alimentata dall'energia del sole, che permette la circolazione dell'acqua sulla Terra.


Il bosco è un polmone, aiuta a filtrare e rinnovare l'aria fissando il carbonio contenuto nell'anidride carbonica e liberando ossigeno durante il giorno.
Vi siete mai chiesti perchè d'estate in città non piove mai ed invece in montagna agiscono frequenti temporali locali?
Proprio ci sono i boschi. Che determinano microclimi che ci permettono di respirare meglio e di vivere al fresco.
Attraverso microscopiche aperture presenti sulle foglie, le piante respirano e traspirano, cioè rilasciano vapore acqueo che va a formare nubi, da cui l'acqua tornerà al bosco coi temporali.
Medicina Democratica ha inviato un appello, sotto forma di lettera aperta, al Presidente della Repubblica, per la difesa delle foreste dalla loro “valorizzazione energetica" che costituisce in realtà un loro impoverimento, in nome della produzione di energia attraverso combustione.
Sono le cosidette biomasse, già sottoposte a critiche scientifiche da associazioni ambientaliste e da numerosi scienziati.
La lettera aperta si oppone al decreto riguardante “Disposizioni concernenti la revisione e l’armonizzazione della normativa nazionale in materia di foreste e filiere forestali” che viola la Costituzione Italiana e rappresenta un danno all’ambiente, alla salute e all’economia del paese.
È nostra convinzione, supportata da dati scientifici, che tale provvedimento contrasti con alcuni punti fondanti della Costituzione, in particolare con l’articolo 9 dove la carta recita “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
E poi all’artcolo 32 dove si legge “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
Ed anche all’articolo 41. L’iniziativa economica…“non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Il nuovo dispositivo porterebbe danni enormi all’ambiente, all’economia e alla salute dei cittadini. Promuovendo la “valorizzazione energetica” del bosco, verrebbe in realtà promossa una fonte energetica inefficiente, favorendo il taglio del bosco in modo incondizionato e massiccio.
Ciò si tradurrebbe in danni al patrimonio ambientale, come consumo e degradazione del territorio, offesa al patrimonio boschivo e ambientale italiano, già incentivato dallo smantellamento del Corpo Forestale, degrado di fondamentali servizi ambientali quali la depurazione dell’aria, la regolazione del regime idrico, la conservazione del suolo e della biodiversità, l’aumento delle emissioni nette di gas a effetto serra, aumento dell’inquinamento atmosferico anche per il venir meno dell’azione depurativa dell’aria operata dalle piante, oltre che per l'aumento di combustione di biomassa.
Il nostro Paese è sotto procedura di infrazione da parte dell’UE per la cattiva qualità dell’aria.
Il rischio è che il proliferare incontrollato di impianti a biomassa porti alla combustione di materiale pericoloso per la salute pubblica.
Le centrali a biomassa portano con sé uno spreco di prezioso denaro pubblico. Quasi sempre sono in parte finanziate dalle Regioni, le stesse che finanziano la produzione di cippato perchè il mercato della legna da ardere, stante i suoi prezzi, non accetta di rifornire le centrali.
Le centrali a cippato di legna nel Parmense sono già cinque: ospedale di Borgotaro, Monchio delle Corti, Neviano Arduini, Calestano, Varano Melegari. Un totale di circa 3,5 megawatt di potenza termica e di circa 5.000 tonnellate di consumo annuo di cippato, corrispondenti a circa 50 ettari di bosco annui.
In sostanza il “Testo Unico sulle foreste e sulle filiere forestali” considera i boschi principalmente come fonte di energia rinnovabile, cioè legna da ardere e cippato per le centrali a biomassa.
Tale interpretazione del Testo Unico è avvalorata ancor più dal fatto che per conseguire gli obiettivi 2020 in materia di fonti rinnovabili, la legge finanziaria 2018 ha prorogato gli incentivi pubblici a favore degli esercenti di impianti per la produzione di energia elettrica alimentati da biomasse.
Risulta evidente che, a causa del combinato disposto di Testo Unico e Legge Finanziaria 2018, le nostre foreste subiranno una pressione molto forte da parte dei gruppi industriali che vogliono lucrare sugli incentivi.
Un danno enorme e forse irreversibile per le nostro montagne.

Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma
salvaguardia e sostenibilità del territorio