Una
visione che nel nostro Appennino sta inesorabilmente svanendo
Gli
indirizzi del nuovo piano regionale forestale dell'Emilia-Romagna ci
costringono ad una sfilza di codici, sigle, allegati, acronimi...
Tutto
per sentirci ripetere i principi ecologici, paesaggistici, sociali,
idrogeologici, di crescita della biodiversità come rituale
obbligato.
In
realtà il succo del discorso finisce per essere tutto sulla legna da
ardere, sulla sua commercializzazione e sulle bioenergie, cioè la
combustione di cippato.
Gli
stanziamenti da parte della Regione, infatti, vanno solo lì.
Il
“riconoscimento dei servizi ecosistemici resi dalle foreste”
avrebbe davvero senso se fosse legato ad esempio a fenomeni come
l'allagamento della città per l'alluvione del Baganza, per spiegarne
le motivazioni e realizzare una seria prevenzione, che parte proprio
dal bosco e dalle sue capacità di trattenere le acque meteoriche.
I
“servizi ecosistemici” forniti dai boschi sono essenziali per
tutto il territorio.
Rappresentano
la salvaguardia della biodiversità di flora e fauna, la regimazione
e purificazione delle acque, il consolidamento del suolo, la
produzione di legname d’opera e di combustibile, la produzione di
eccellenze come i funghi, e funzionano come luogo di svago, di
ricreazione educativa ed estetica, e infine e soprattutto aiutano la
stabilizzazione climatica.
I
boschi, infatti, consentono di fissare nella biomassa vegetale
l’anidride carbonica atmosferica.
Una
tonnellata di CO2 viene sottratta da 18 metri cubi di biomassa
legnosa in piedi o all'impianto, come si dice.
Il
patrimonio boschivo o forestale svolge un’insostituibile funzione
di regolazione climatica che compensa le emissioni dovute all’uso
di combustibili fossili prodotti principalmente nelle zone
industrializzate di pianura.
Perché
dunque non porsi l'obiettivo che a questi “servizi naturali” sia
riconosciuto un corrispettivo economico che vada a vantaggio di chi
contribuisce al mantenimento dell’ecosistema, come sostiene da anni
dall'ingegner Massimo Silvestri?
Come
abbiamo visto, coloro che si occupano di foreste, stanno agendo
nell’ottica dell’uso delle biomasse forestali come materia da
bruciare in sostituzione dei combustibili fossili, mentre ciò che
importa sempre più per il nostro territorio è incrementare la
funzione di resilienza dei boschi nei confronti dei veleni della
pianura padana.
Ciò
che importa è la quantità di CO2 che viene stoccata nella biomassa,
non quella che viene bruciata.
Le
nostre foreste crescono mediamente di 4 metri cubi all'anno per ogni
ettaro boscato.
L'accrescimento
forestale quindi porta alla fissazione di sempre maggior CO2.
Una
volta certificate le risorse forestali perché non venderle come
titoli con asta pubblica, conservando intatto l'apparato boschivo
accresciuto?
La
Regione Piemonte ha dato notizia nel 2013 dei primi interventi di
gestione forestale che produrranno crediti tra i 30 e i 35 euro per
tonnellata di CO2 vantati dagli operatori forestali, corrispettivi di
debiti la cui compensazione viene richiesta, su base volontaria,
dagli operatori economici .
Tali
interventi verrebbero utilizzati per compensare le emissioni di
settori industriali “energeticamente intensivi” ed “obbligati”
alla riduzione delle emissioni: cementifici, inceneritori, industrie
metallurgiche, industria dell'alluminio.
Una
valorizzazione dei crediti di fissazione di carbonio forestale
attorno a 35 €/t di CO2 consentirebbe di compensare il proprietario
del fondo con un importo circa eguale a quello che lo stesso riceve
da un’azienda di taglio boschivo.
Con
la differenza che il bosco rimarrebbero in piedi.
Una
tonnellata di CO2 corrisponde circa a 14 tonnellate di legna in piedi
che, se tagliata al prezzo corrente di 6,5 euro/t., darebbe circa 70
euro, cioè il doppio di quanto verrebbe pagata da chi acquista il
bosco per tagliarlo e di cui la metà andrebbe al proprietario del
bosco stesso.
In
tal modo si costituirebbero effettivamente consorzi di proprietari di
boschi, ora esistenti solo sulla carta, in grado di sviluppare una
corretta pianificazione delle utilizzazioni boschive, lasciate ora al
taglio selvaggio ed indiscriminato.
I
proventi andrebbero a coprire l’insostituibile funzione ecologica
che questi territori montani, economicamente marginalizzati, hanno
nella compensazione degli squilibri apportati all’ambiente dalle
zone industrializzate, restituendo loro dignità e valore e fornendo
una concreto sostegno al loro sviluppo turistico-commerciale.
Uno
scenario che nel nostro Appennino sta inesorabilmente svanendo.
Giuliano
Serioli
26 maggio 2015
Rete
Ambiente
Parma
per
la
salvaguardia
del
territorio
parmense