Quando
al cemento si vuole rimediare col cemento
L'assessore
regionale all'ambiente Paola Gazzolo si è presa un mese di tempo per
valutare la fattibilità del progetto di una diga a Vetto, comune
montano della Val d’Enza.
La
siccità di quest'anno ha fatto diventare ancora d'attualità un
vecchio progetto abbandonato da tempo a causa del pericolo sismico
legato ad una faglia che corre lungo l'asta del torrente.
Abbandonato
per il pericolo che milioni di metri cubi d'acqua, basculando su
pareti montane argilloso-flyschoidi, possano creare frane.
Abbandonato
perchè il manufatto, spostando il punto neutro a monte, riempirebbe
presto di sedimenti l'invaso medesimo.
Abbandonato
soprattutto perché rimaneggerebbe le falde acquifere dell'alta
pianura.
Nelle
conoidi alluvionali, che i nostri torrenti appenninici formano
entrando nell'alta pianura, si sono depositati circa 100 metri di
alternanze di ghiaie, sabbie ed argille, sede fin dalla loro
formazione, nell'epoca della glaciazione Wurmiana, di falde acquifere
ad uso sia idropotabile che per l'irrigazione dei campi.
Tali
falde acquifere non sono inesauribili. La loro continuità è
garantita dalla falda sotto l'alveo stesso esistente in ogni torrente
(Enza, Parma, Baganza, Taro, Ceno).
Si
tratta di una corrente d'acqua che corre sotte le ghiaie dei nostri
torrenti.
"Ma
se l'acqua non scorre nel fiume, perchè trattenuta a monte nel
bacino d'invaso (formato da una diga), il processo si arresta e noi
rischiamo di perdere una risorsa la cui rialimentazione esige
centinaia di anni. Insomma l'acqua che estraiamo dalle falde può
essere considerata 'acqua fossile' e per riaverla occorrono tempi
lunghi".
Come
afferma il Luigi Vernia, docente dell’Università di Parma.
Ma
il problema della siccità, di come irrigare i coltivi, si mescola a
quello delle bombe d'acqua, piogge di particolare intensità che in
breve tempo possono minacciare il nostro territorio, come l'alluvione
di Parma ad opera della piena del Baganza nell'ottobre del 2014.
Amministratori
locali e forze politiche si sono orientati su grandi opere: cassa di
espansione sul Baganza per mettere in sicurezza la città da piene
bicentenarie, un manufatto da 55 milioni di euro che forse non verrà
mai utilizzato, e dighe in montagna per avere acqua disponibile in
caso di siccità.
Ancora
cemento per riparare ai danni fatti dalla cementificazione degli
alvei dei torrenti che ha eliminato le golene in cui si laminavano
naturalmente le piene.
E'
evidente che il bisogno d'acqua in primavera-estate è collegabile
alla laminazione delle piene autunnali dei nostri torrenti. Qualcuno
ha suggerito che invece della cassa-monstre di Casale di Felino e
della diga di Vetto, sia possibile la creazione di piccoli invasi
lungo l'asta dei torrenti, laghetti da mezzo milione di metri cubi,
in cui trattenere l'acqua delle piene per i mesi siccitosi.
E'
altrettanto evidente che in caso di una piena massiccia come quella
del Baganza del 2014 sarebbe
necessario
dell'altro. Una manutenzione dell'alveo e degli argini tale da
consentire, tramite sfioratoi, l'allagamento controllato e concordato
di parti di campagna a lato dei torrenti, con congruo risarcimento
danni alle aziende agricole che partecipano al progetto.
Chi
può allestire tali piccoli invasi e gestire un piano di allagamento
controllato?
Il
Consorzio di Bonifica parmense.
L'ente
ha già avviato una collaborazione con agricoltori ed istituzioni
locali, ha già iniziato a costruire piccoli invasi ad uso irriguo.
Si
tratterebbe di trasformare in progetto complessivo per il territorio
la sua attività minuta.
Il
tutto supervisionato e monitorato dall'Autorità di Bacino.
Giuliano
Serioli
Rete
Ambiente
Parma
salvaguardia
e sostenibilità del
territorio
locale