"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

domenica 24 novembre 2013

Le bioenergie sono davvero a zero emissioni di CO2? ( L'agenzia Europea su combustione di biomasse ed effetto serra)



Il comitato scientifico dell'European Environment Agency (EEA) ha pubblicato un documento destinato a riconsiderare l'analisi dell'IPCC e ad accendere il dibattito sui conclamati benefici della bioenergia nelle strategie di lotta all'effetto serra e sui conflitti tra bioenegia e sicurezza alimentare, uso sostenibile del territorio, corretta gestione delle risorse idriche e forestali, qualità dell'aria.

Il parere dell'EEA punta il dito contro il presupposto — accettato anche dalla Direttiva UE 2009/28/EC sulle energie rinnovabili — per cui la combustione della biomassa è carbon neutral, in assoluto. Secondo il comitato scientifico dell'EEA la combustione della biomassa, quando il suo prelievo è accompagnato da una riduzione dello stock di carbonio nella biomassa e nel suolo, o quando con il prelievo si compromette il potenziale di un ecosistema di agire come carbon sink (bilancio netto positivo tra carbonio assorbito ed emesso), produce accumulo di carbonio atmosferico. Esattamente come il petrolio, il carbone e il gas naturale.

Nel caso di una superficie forestale matura che viene deforestata per una piantagione a fini energetici si verifica non solo la rimozione dello stock forestale (e il conseguente rilascio in atmosfera di gas-serra), ma anche l'interruzione della possibilità per quella foresta di aumentare il carbon stock (ossia la quantità totale di carbonio immagazzinata nella biomassa viva e morta e nel suolo) e generare ulteriore prelievo di carbonio dall'atmosfera almeno per un certo numero di anni.
In sostanza, secondo il comitato scientifico dell'EEA, la decisione di usare superfici agricole o forestali per bioenergia va a spese d'una minore quantità di carbonio immagazzinato nelle piante e nel suolo.
Il comitato scientifico dell'EEA invita l'UE a rivedere i regolamenti UE e i suoi target energetici e a favorire l'uso della bioenergia da biomassa solo se essa è realmente supplementare (o addizionale) rispetto
a quella esistente.

Il cambiamento d'uso del suolo verso una coltivazione-energia può avere impatti negativi su sicurezza alimentare, biodiversità, qualità del suolo, paesaggio, disponibilità e qualità dell’acqua, inquinamento di
fiumi e laghi, emissione di sostanze tossiche.

venerdì 22 novembre 2013

Assemblea di Langhirano di sabato 16 novembre 2013

Una bella assemblea quella di sabato 16 Novembre a Langhirano. Amministratori e comitati, tanta gente di montagna. Un dibattito intenso che deve continuare.

Considerazioni emerse sui tagli della legna.

Il bosco ha smesso da tempo di essere risorsa economica per la vita della montagna in termini di legnatico. Assumono sempre maggior valore altre sue funzioni.
Dal suo carattere di attrattiva paesaggistica alla sua funzione di spugna contro il dilavamento e lo scorrimento selvaggio delle acque piovane ( assorbe le piogge e restituisce l'acqua più lentamente). Il suo ruolo di presidio per l'assestamento del suolo dei versanti impedendo frane di scivolamento ( tali frane nascono per scalzamento al piede di un versante ad opera di acque fluviali o ad opera dell'uomo, o per processi di disgregazione meteorica. Le frane che non dipendono dall'assetto del versante e del suo boscamento cui si riferiva il tecnico provinciale dei tagli, sono le grandi frane gravitative come quelle di Corniglio e di Capriglio).  
Il suo ruolo, inoltre, di assorbimento della CO2 dall'atmosfera e quello di incorporo di carbonio nel suolo dal degrado graduale della sua necromassa. 
Infine la sua funzione di polmone per il ricambio dell'aria impregnata di polveri ed ossidi della Val Padana.

Ma i tagli dei boschi nella nostra montagna sono ripresi con una intensità senza precedenti negli ultimi anni.

Se gli ettari richiesti al taglio e i tagli stessi riguardano solo in minima parte l'autoconsumo, significa una sola cosa : I TAGLI SONO DETTATI DAL MERCATO.
E' il mercato a decidere la quantità di esbosco del ceduo, la tempistica dei tagli e la destinazione della legna.
E nessuna legge o normativa lo può fermare. Non lo fanno le amministrazioni o la forestale, che al massimo comminano qualche multa che non funzionerà da deterrente perchè verrà poi discussa e ridotta in Comunità Montana.
Che, poi, il problema vero non è la qualità dei tagli, il modo in cui sono fatti ( anche se è un problema reale),ma il fatto che non c'è alcun limite alla loro quantità se non il mercato stesso e la sua domanda.
Il mercato, attraverso imprenditori e commercianti, scambia denaro con legna da ardere. Consuma una risorsa fondamentale per la montagna per pochi spiccioli.
Infatti, di tutto quel denaro resta poco in montagna.
La gran parte dei soldi per i proprietari dei boschi tagliati va in città ( i 3/4 delle case di montagna sono ormai seconde case e così presumibilmente anche le proprietà boschive). La gran parte della remunerazione per il lavoro di taglio va a gente dell'est-europa pagata in nero. Una quota consistente di denaro serve a ripagare
i macchinari necessari al taglio industriale. Ma la fetta più consistente va a chi commercia la legna, agli agenti del mercato.
Certo, anche in montagna c'è qualcuno che intasca soldi. Se uno che fa tagliare il suo bosco, riceve 1.000 euro per ettaro, ma poi per vent'anni non se ne parla più.
Se è uno che taglia in proprio, viene ripagato il suo sudore e la fatica che ha fatto.
Ma i pochi soldi che restano in più in montagna non creano un'economia. Non circolano lassù, non fanno lavorare altra gente, al massimo servono solo a comprare beni di consumo giù in città.
Se è uno di città che ha fatto tagliare, uno che ha ancora boschi lassù, incassata quell'una tantum di 1.000 o 2.000 euro non potrà più contare in futuro su quella misera rendita per far fronte alla crisi economica che morde. Non può, certo, esser quella la soluzione dei suoi problemi.
Pochi spiccioli che non mettono in moto un'economia e che consumano una risorsa naturale essenziale.
Pochi spiccioli divisi tra tante persone e tanti soldi, soldi veri solo per pochi, per i padroni del mercato.

Se il valore dei boschi è ormai altro, se la loro funzione è quella di un bene comune a tutti gli effetti, occorre ripensare la legge, le normative e il ruolo delle amministrazioni. Non basta progettare i tagli perchè siano fatti a regola d'arte, occorre limitarne la quantità e la distribuzione, disancorandoli dal mercato.
Probabilmente occorrerà sviluppare consorzi di proprietari che decidano in proprio le quote di taglio e il rapporto col mercato.

Se occorre ripensare alla loro funzione ad al loro valore, occorre contrastare la speculazione sulla legna da ardere.

lunedì 18 novembre 2013

Centrali termiche a cippato


Nella nostra montagna le centrali termiche, costruite o approvate ed in costruzione, sono ormai 8.
Milioni di euro di fondi FAS, di finanziamenti Regionali, di finanziamenti Provinciali e di debiti contratti dai comuni stessi sono andati ad alimentare l'industria dei combustori e dei cogeneratori, senza creare alcun posto di lavoro in montagna e senza contribuire a ricostruirvi un tessuto economico.
Soldi sottratti alla ristrutturazione dei borghi per il risparmio energetico, unico vero volano di lavoro per la ripresa dell'edilizia e del turismo.
Gli amministratori sostengono che una centrale termica a cippato inquina meno di tante stufe in quanto la combustione è ottimizzata e i fumi vengono trattati prima di essere emessi in atmosfera.
Non è vero.
Forse lo era per vecchie stufe e camini aperti, ma in montagna oggi si usano stufe a pellet o miste pellet-legna di moderna concezione e basse emissioni.
Una stufa a pellet da 20Kw di potenza costa 1900 euro, detraibili dalle tasse al 55% e scalda 150 m2 con poco più di 1000 euro in un anno.
Si chieda al comune di Palanzano che, dopo aver provato il cippato, nella centrale ( 700 Kw di potenza) è passato a bruciare pellet per non avere le emissioni e i quantitativi di cenere di prima.
Non si dice che, mentre il combustibile delle stufe in montagna è legna stagionata due anni, quello della centrale termica è cippato fresco di sfalci di bosco.
Il cippato, che appena tagliato ha un'umidità del 50- 60%, viene commercializzato fresco con umidità del 35-40% (potere calorifico indicativo di 2.500 kcal/kg, corrispondenti a 2 Kw/Kg, e con un elevato tenore di corteccia perchè da cippatura di ramaglie o di piante di piccola taglia. Paradossalmente dà meno cenere ed inquinanti la stufa che non la centrale, la quale arriva fino al 3% di ceneri pesanti.
Non si dice, altresì, che quel tipo di centrali termiche ( fino ad 1 Mw ) hanno come unico sistema di filtraggio il multiciclone che abbatte solo la fuliggine, cioè la cenere volante,quella più leggera,ma non gli inquinanti.
Lo stesso dott. Francescato, direttore di AIEL ( azienda italiana energia dal legno) afferma che nel caso di impiego di pellet e legna idonei, pellet di qualità certificata e legna con contenuto idrico M<20%, cioè legna stagionata due anni, l'emissione di particolato si attesta su circa 45mg/Nm3.
Mentre col solo multiciclone si hanno emissioni effettive di polveri tra i 75 e i 150 mg/Nm3.

Questo perchè, in pratica, tali centrali termiche non hanno un sistema di depurazione fumi.
Il multiciclone di cui sono dotate, per intenderci, non abbatte neanche i PM 10. Per abbatterli ci sarebbe bisogno di un filtro a maniche o ancor meglio di un filtro elettrostatico, capace di abbattere polveri fino ai PM 2,5.
Ma le PM 1 ed oltre non le abbatte nessun filtro.
Le emissioni di elevate quantità di polveri ultra sottili sono il principale problema dei biocombustibili solidi.
Ma una volta che una centrale termica sopra i 500 Kw di potenza è impiantata è difficile che un'amministrazione non le applichi una turbina per produrre elettricità ed intascare gli incentivi.
Gli incentivi sono commisurati ai kWh elettrici prodotti e questo criterio – valido per gli impianti eolici, fotovoltaici, idraulici – è inadeguato e controproducente nel caso delle biomasse. Perché le biomasse non sono solo energia grezza trasformabile in elettricità, come quella del vento, ma sono la totalità delle sostanze vegetali, con infiniti usi e funzioni, sempre con ricadute energetiche ed ambientali.
Qualche amministratore gioca sulla convinzione sballata che la combustione della legna provochi solo 'emissione di vapore acqueo e poco altro.
Sbagliato.
La combustione di biomasse legnose provoca emissioni di vapore acqueo e CO2,ma soprattutto di sostanze pericolose come monossido di carbonio (tossico), ossidi di azoto (tossici, irritanti) idrocarburi (cancerogeni), e particolato (le poveri a diversa granulometria) composto fondamentalmente da metalli e residui inorganici che adsorbono e trasportano diossine e furani.
I metalli ambientalmente più pericolosi ( Pb, Zn,Cd) finiscono nelle ceneri volanti e sono maggiori nelle ceneri di corteccia.
Per poter essere usato come fertilizzante, il contenuto di metalli pesanti non deve oltrepassare certi valori della cenere derivante dalla combustione di legna allo stato naturale. La cenere raccolta nei cicloni di impianti funzionanti con cippato di legna già supera i limiti indicati e non può essere utilizzata come ammendante.

La legna, nella categoria «biomasse», è stata inclusa nella lista Ue di energie rinnovabili a bassa emissione di Co2 presumendo che la Co2 prodotta dalla sua combustione sia compensata dalla Co2 catturata dagli alberi cresciuti al posto di quelli tagliati. In realtà, però, bruciare la legna può essere a basse emissioni di CO2 solo a certe condizioni, a seconda della velocità di crescita degli alberi. Ma la pubblicistica scientifica del settore forestale afferma che un bosco ceduo sottoposto a taglio recupera la stessa capacità di catturare CO2 precedente il taglio solo dopo circa tre anni.
Secondo l'Agenzia europea per l'ambiente, supporre «che la combustione di biomasse sarebbe intrinsecamente a emissioni zero ignora il fatto che usare il terreno per produrre piante per l'energia significa che questo 
terreno non sta producendo le piante per altri scopi, compresa la cattura di Co2».

l'Ue,con le centrali a legna, ha creato un incentivo che costa molto, probabilmente non riduce le emissioni e non stimola neppure l'adozione di nuove tecnologie energetiche.

Perchè allora nella nostra provincia ed in tutto l'Appennino Tosco-Emiliano stanno sorgendo come funghi centrali termiche a cippato ?

Il motivo è semplice : una volta impiantate le centrali, le amministrazioni si chiederanno perchè non utilizzarle anche per produrre elettricità ed intascare incentivi, come ha già fatto il comune di Monchio. Ci racconteranno che visto che ormai ci sono, varrà la pena farci un pò di soldi anche se ridicolo com'è il rendimento della combustione della legna per produrre elettricità ( a Monchio è del 10%, detto dal sindaco) , occorrerà bruciarne dieci volte tanto e tagliare ancor più i boschi, già rimaneggiati dalla speculazione sulla legna da ardere.

Questo il progetto per il futuro che ci prospettano amministrazioni e governo: produrre elettricità bruciando i boschi.

Serioli Giuliano

domenica 17 novembre 2013

Tagli boschivi e normative

I criteri attuali delle normative forestali sui tagli, orientati alla funzione produttiva di legna dei boschi, si rivelano inefficaci di fronte a crescenti richieste di conservazione della biodiversità ed al valore economico e turistico del bosco come componente del paesaggio. 
Esiste oggi la necessità di predisporre progetti di taglio alternativi e più aggiornati per costruire consenso sociale attorno a nuovi, più completi e trasparenti indirizzi di gestione del patrimonio forestale.
Il bosco ceduo si trova da tempo al centro di un dibattito tra chi ne riconosce il carattere di sostenibilità e chi invece non lo considera compatibile con tale requisito.
Il tentativo di far coincidere il concetto di sviluppo economico con la crescita del PIL si manifesta attraverso due eclatanti fenomeni presenti in quasi tutti i paesi industrializzati: una crescente disoccupazione e un crescente degrado dell'ambiente.
Il taglio raso generalizzato del ceduo, come si sta di nuovo realizzando oggi, non risolve assolutamente il problema dell'occupazione in montagna mentre accresce notevolmente il degrado dell'ambiente.
La crescita economica non ha niente a che fare con l'equilibrio biofisico, che è invece alla base dello sviluppo sostenibile.

Il bosco per eccellenza è la foresta, la faggeta del Casentino, le distese di grandi alberi dei parchi naturali. E' anche l'intricata macchia mediterranea.
Ma nel nostro paese esiste tutt'ora il bosco da sottoporre a taglio economico, a ceduazione per produrre legna da ardere. Ed è circa 1/3 di tutta la superficie boschiva.
Dalla fine dell'800 agli anni '60 del novecento il bosco ceduo ha avuto una funzione energetica preminente ed è stato sottoposto ad un taglio economico anche decennale. La sua funzione è stata poi soppiantata dai combustibili fossili e i boschi sono stati gradatamente abbandonati.
La maggior parte del bosco ceduo infatti è oggi un ceduo invecchiato.
Da uno studio della dott.ssa Annalisa Paniz di AIEL ( azienda italiana energia dal legno) si apprende che al 2012 il nostro paese ricava dai boschi cedui, estesi per circa 3.663.000 ha, circa 12,5 milioni di t. di legna da ardere e circa 0.8 mln. di t. di pellet corrispondenti a circa il 92% del loro accrescimento annuo, cioè della loro possibilità di ricostituirsi.
La soglia della loro rinnovabilità è quindi molto vicina ad essere intaccata.
E' una ripresa dei tagli dovuta alla speculazione sulla legna da ardere e sulle biomasse che rischia di intaccare seriamente la superficie fogliare e quindi di compromettere anche la capacità di cattura di CO2 da parte dei boschi.

I boschi cedui devono rimanere in proporzione agli abitanti che popolano la montagna ed ai loro bisogni di autoconsumo di legna. I rimanenti possono essere avviati a totale recupero come corpi forestali effettivi, 
avviandoli da cedui invecchiati a fustaie.

Gli svantaggi ecologici, infatti, associati all'esercizio della ceduazione, possono essere gravi se associati agli effetti a breve dei cambiamenti climatici.
  • Erosione e dilavamento del suolo. In seguito alla ceduazione del soprassuolo si verificano bassi valori di copertura fogliare che accentuano i rischi idrogeologici legati a fenomeni di erosione e di dilavamento, in particolare subito dopo il taglio raso.
  • Impoverimento del suolo. Erosione e dilavamento del suolo sono conseguenza diretta del progressivo impoverimento del soprassuolo boschivo. La ceduazione può inoltre comportare un graduale esaurimento del terreno a causa dello squilibrio tra le sostanze asportate e humus non ricostituito.
  • Riduzione del ciclo biologico degli alberi. Con il governo a ceduo i cicli di produzione hanno una durata di pochi decenni con turni anche solo di circa 15 o 20 anni. L'estrema riduzione dei cicli biologici determina una notevole disparità rispetto alla naturale longevità secolare delle specie arboree;
  • Riduzione della variabilità genetica. La riproduzione agamica, tramite polloni, non può essere considerata “rinnovazione”. Se è tale sotto il profilo legnoso-produttivo, dal punto di vista ecologico è un patrimonio genetico che si mantiene in vita, ma non si “rinnova”. Al contrario, la variabilità genetica si riduce.
  • Modificazioni estetiche e paesaggistiche. La ceduazione può provocare un forte impatto sul paesaggio, soprattutto nel caso di tagliate di una certa estensione.
A seguito delle tagliate il paesaggio è percepito come bruscamente alterato per la durata di anni.

E'possibile valutare misure di tutela e contenimento dell'impatto ambientale, in relazione agli obiettivi di Rete Natura 2000.
  • applicazione di turni più lunghi rispetto a quelli tradizionali;
  • riduzione della superficie delle tagliate;
  • sospensione delle utilizzazioni in zone di criticità (ad es. rilascio di fasce di rispetto);
  • adozione di tassi di utilizzazione cautelativi;
  • differimento spaziale delle utilizzazioni al fine di non creare ampie superfici prive di copertura;
  • rilascio di matricine, dove possibile per gruppi, e di specie diverse da quella principale per favorire la creazione di popolamenti misti;
  • rilascio di individui di grosse dimensioni di specie rare o sporadiche, o fruttifere
  • rilascio in bosco dei residui delle utilizzazioni dove non esistano particolari problemi legati al rischio di incendio, con l'obiettivo della creazione di humus.

Giuliano Serioli

venerdì 15 novembre 2013

"Togliete le castagne per le biomasse che rendono di più". E il biomassista Rossi (presidente PD della Toscana) si becca una clamoosa contestazione da un cittadino

Il presidente biomassista della Toscana, Rossi, contestato a Gallicano (lucchesia) da un imprenditore che non si è trattenuto quando il politico ha consigliato di eliminare i castagneti da frutto per trasformarli in piantagioni per la produzione di biomassa per le centrali. La contestazione "è stata un modo per tirar fuori la mia rabbia nel vedere tutto il nostro patrimonio sottratto alla comunità per l'avidità di qualche politico e gli interessi di qualche cooperativa”. Le biomasse come goccia che fa traboccare il vaso.



Il contestatore di Enrico Rossi: “Vi spiego perché ho reagito così…”
(01.11.2013)

Personalmente ho assistito a decine, direi centinaia, di visite ufficiali di autorità, politici e amministratori vari. Solitamente la scena che si ripete è sempre la stessa e mi richiama sempre alla memoria la celebre e meravigliosa scena del secondo film di Fantozzi, quella del varo della nave al porto di Genova con esilarante elenco di personalità, dal sindaco con fascia tricolore, al ministro della marina mercantile, dalla 102enne baronessa all’arcivescovo con anello pastorale… 20-30 minuti di attesa, l’arrivo tra strette di mano e fotografie, i discorsi ufficiali e di circostanza, gli applausi: sempre uguale il copione, sempre meno che nell’ultima occasione, quella della visita a Gallicano del ministro dell’ambiente Orlando e del governatore della Toscana Enrico Rossi.
In particolare quest’ultimo è stato contestato da un cittadino, un imprenditore locale, presente nell’aula: una scena alla quale mai avevo assistito e che mi ha spinto a cercare quest’uomo, dotato sicuramente di grande coraggio e sincerità. Per capire le ragioni della sua reazione: si chiama Luca Lorenzi, imprenditore di Fornovolasco nella troticoltura e proprietario di un ristorante caratteristico della zona, L’Eremita alle pendici dell’Eremo di Calomini.
“Le ragioni della mia reazione? Sono semplici, mi trovavo all’incontro, assieme ad altri imprenditori della zona, per avere risposte istituzionali da parte di colui che ha il potere di gestire il denaro pubblico in occasioni come questa e da lui ci aspettavamo risposte chiare. Il governatore Enrico Rossi ha effettivamente detto che avrebbe dato qualcosa alle famiglie, mentre non si è preso impegni chiari con le aziende. A parte questo, sentir parlare di abbandonare la coltivazione delle castagne, in favore dello sfruttamento del bosco più redditizio, a sentire lui, per la legna per le centrali a biomasse mi ha veramente irritato”.
Lei pertanto contesta le parole di Rossi che ha esaltato la produzione di energia con le centrali a biomasse grazie alla legna dei boschi… “ Rossi ha affrontato l’argomento in maniera superficiale,affermando per esempio che gli impianti a biomasse non inquinano, che il bosco viene coltivato dai taglialegna. Chiunque sa, 
invece, che tagliando il bosco, il rischio è che franino le montagne”.
La sua reazione è stata pertanto giustificata… “La tensione accumulata nei giorni precedenti mi ha fatto reagire in modo sbagliato, anche se purtroppo era l'unico modo per farsi sentire. Mi scuso per il tipo di reazione, comunque”.
Come ritiene che dovrebbe essere affrontato il problema della tenuta dei boschi e del territorio? “Io credo profondamente che si debba vivere in armonia in un territorio, creare la bio diversità. Tutto ciò che va in una sola direzione porta all'impoverimento dell'ambiente. Abbiamo un territorio difficile anche da vivere ma che ha spettacolari bellezze. E' un territorio che risulta più facile e talvolta più remunerativo sfruttandolo dal punto di vista turistico. Io ne ho fatto una scelta di vita. Ho investito tutto per realizzare un'attività sostenibile in armonia con il territorio in cui vivo. La mia famiglia vive del territorio e lo cura, certo non diventeremo mai ricchi ma a noi non mancherà mai niente. Noi da 18 anni facciamo accoglienza ma è sempre più difficile farlo in un territorio abbruttito, scarsamente curato, poco pulito. La reazione che ho avuto e di cui mi scuso se è risultata offensiva, è stata un modo per tirar fuori la mia rabbia nel vedere tutto il nostro patrimonio sottratto alla comunità per l'avidità di qualche politico e gli interessi di qualche cooperativa”.

Simone Pierotti 

lunedì 11 novembre 2013

Incontro dibattito: tagli della legna in montagna e biomasse

COMUNE DI LANGHIRANO                                    RETEAMBIENTEPARMA 

incontro dibattito

TAGLI DELLA LEGNA IN MONTAGNA E BIOMASSE

Il paesaggio della nostra montagna sta cambiando: frane; interruzioni di strade; sempre meno gente nei paesi; pochi turisti e di contro un rinnovato utilizzo e sfruttamento dei boschi.

Autoconsumo o speculazione del mercato sulla legna da ardere?

Soldi che, restano in montagna; che generano reddito locale?

La legge non basta, non frena la speculazione. Occorre una pianificazione dei tagli in modo che non intacchino la rinnovabilità e non accrescano il degrado di versanti e strade.

E poi centrali, centrali a biomassa.

Bruciare biomasse per produrre calore ed elettricità è ammesso dalle normative vigenti ed è diventato un mantra intoccabile per i governi che si succedono nel nostro paese.

Quali possibilità hanno i cittadini per incidere sulle scelte energetiche dei territori come gli stessi PAES prevedono.

Cittadini preoccupati per le emissioni nocive come lo è la stessa Comunità Europea con la sua DIRETTIVA ARIA : "che prevede che ogni nuovo impianto non accresca l'inquinamento esistente, anzi lo abbassi”.

Ne parliamo:

sabato 16 novembre ore 17:00 presso il Centro Culturale di Langhirano

sono gradite adesioni di amministrazioni, comitati di cittadini, associazioni ambientali entro martedì 12/11.

Hanno già dato la loro adesione :


  • Comitato giarola-vaestano(palanzano)
  • Comitato pro val parma(corniglio)
  • Libera
  • WWF
  • Acgr
  • Legambiente alta val taro

martedì 5 novembre 2013

Aggiornamento tagli Monte Fuso

Disboscamenti avvenuti quest’anno sul versante sud del Monte Fuso.
I tagli corrisposti alle lettere B e C sono a valle del Monte Faino, la cui cima è visibile sull’immediata destra della lettera “C”,
mentre il taglio corrispondente alla lettera A, è molto più a ovest della suddetta cima.



 Taglio A da una posizione migliore.



Proseguendo verso est possiamo vedere un altro notevole taglio boschivo all’interno del Monte Lavacchio, il monte situato subito ad est del Monte Faino.



Più a est ancora, uno dei tagli più massicci, che arriva fino in prossimità del torrente Bardea.
Forse questa zona viene ampiamente martoriata per la posizione particolarmente nascosta alla vista, infatti la parte inferiore della macchia boschiva tagliata, non è visibile nemmeno da questa posizione.




sabato 2 novembre 2013


Una dilagante forma di grave illegalità ambientale 

Il nuovo crimine di devastazione di boschi e foreste tra "furti di legna" e reati di danno all'ambiente boschivo 


A cura del Dott. Maurizio Santoloci


Una nuova dilagante forma di crimine ambientale si aggiunge da qualche tempo ai già numerosi attacchi al nostro territorio posti in essere da fronti e per finalità diverse: il fenomeno dei tagli abusivi degli alberi nei boschi e foreste per depredare il legname che ne deriva a fini commerciali. Fenomeno che si indica comunemente come “furti di legna”, terminologia che – lo diciamo subito – a noi non piace perché molto riduttiva e fuorviante, in quanto culturalmente rischia di relegare queste azioni delittuose ad una mera “asportazione di legna” dal territorio e dunque di rispolverare arcaici concetti degli alberi visti solo come “legname” da commercio e non già in via primaria come preziosi beni ambientali. Sul bosco da decenni si fronteggiano due visioni del tutto antitetiche, tra una cultura che vede le nostre aree verdi solo come fonte produttiva di “legno” ed altri “prodotti”, ed una cultura che invece individua nel bosco un’entità di primaria importanza ambientale in senso totale ma anche paesaggistica. E le terminologie sono importanti per affrontare bene i fenomeni criminali conseguenti. E’ un po’ come l’uso di qualificare come “piromani” i criminali incendiari dolosi; sono due cose ben diverse (il primo è un malato psichico, il secondo è un soggetto che delinque in modo perfettamente consapevole). Le terminologie errate a volte creano retropensieri di tacita giustificazione o attenuazione di responsabilità latente.

Così oggi se ricolleghiamo il fenomeno, puramente criminale, dei tagli a raso di intere aree boscate ad un “furto di legna”, poi magari si passa a ricollegare tali tagli con il contesto della crisi generale e della necessità per qualcuno di “riscaldarsi” e di trovare un po’ di legname per non morire di freddo etc… etc… (vedo già articoli di stampa così orientati) e si passa implicitamente – a livello culturale – dal crimine puro al fenomeno sociale (che poi fa costume e notizia) sì illegale, ma poi di fatto meno illegale in via sostanziale.. E’ un po’ come l’alibi che molti furbi autori di scellerati abusi edilizi sulle coste sono riusciti abilmente a creare a livello di comunicazione sui mass media, inventandosi il concetto di “casa di necessità” per creare cortine fumogene a difesa degli scempi edilizi delle seconde case e fronteggiare poi le demolizioni mischiando tra ville sul mare qualche casetta modesta abitata da anziani da usare come scudo ideologico.

Il crimine di taglio di alberi a fini di commercio va dunque affrontato per quello che è, in relazione ai gravissimi danni che sta creando nelle aree boscate ed in connessione con tutti gli altrettanto gravissimi reati conseguenti che – logicamente – non sono collegati solo al “furto di legna” ma prima ancora anche e soprattutto ai danni ambientali provocati e – dunque – ai reati connessi con le norme ambientali ed a tutela del territorio. E questo – sempre logicamente – indipendentemente dal fatto che il bosco sia su un’area privata o pubblica. Il danno ambientale è in questo senso da sempre storicamente trasversale. Si cambia solo il soggetto di parte lesa.

E va considerato – sempre in relazione al problema di inquadramento culturale sopra citato – che vanno bene valutate le relazioni tra illeciti amministrativi previste dalle norme (antiche) di settore che individuano il bosco ancora solo come “legname” e fonte economico/produttiva, ed i reati ambientali più moderni ed in linea con la tutela dell’ambiente a livello europeo. Se tali diverse tipologie di illeciti (derivanti da concezioni culturali appartenenti storicamente a visioni, ma soprattutto epoche, totalmente diverse) coesistono a livello di vigenza normativa nel nostro sistema giuridico, non significa certo che una esclude l’altra o – peggio – l’una “assorbe” l’altra…

Quindi, per essere più chiari, se tagliare alcuni alberi nel contesto della normativa specifica di settore sui tagli (più vetusta) è solo un illecito amministrativo connesso al problema “albero = fonte di legname e fonte di reddito”, per la legge sui vincoli paesaggistici ambientali e per le altre leggi a presidio del territorio (di più moderna concezione) quello stesso taglio è un grave crimine contro l’ambiente, ed anche e soprattutto in tale contesto va perseguito a livello di intervento di polizia giudiziaria (oltre che essere un furto ai sensi del codice penale). Ci possono dunque essere anche gli estremi – secondo i casi -­‐ per un arresto in flagranza o per un fermo di PG o per una richiesta di ordinanza di custodia cautelare alla magistratura. Comunque sono doverosi i sequestri preventivi delle aree e soprattutto dei mezzi (tutti, anche dei veicoli) utilizzati dagli autori di tali delitti, per impedire che il reato venga reiterato e/o portato ad ulteriori conseguenze (lasciare nella disponibilità di tali soggetti colti in flagranza gli strumenti e i veicoli utilizzati per commettere tali reati significa omettere l’azione preventiva di impedire quello ed altri futuri reati similari).

Questo fenomeno vede una particolare incidenza nel centro-­‐sud della penisola, nei parchi nazionali e nelle proprietà demaniali. I boschi maggiormente coinvolti sono – appunto -­‐ quelli demaniali, come quelli compresi in zone sottoposte a vincoli idrogeologici e paesaggistici, parchi nazionali e regionali. In generale tutte quelle foreste nelle quali sono presenti alberi di alto fusto e di specie particolarmente pregiate. Non vengono risparmiati neanche alberi secolari e zone di alto pregio ambientale.

A lanciare l'allarme è il Corpo forestale dello Stato, che solo nel 2012 ha rilevato più di 800 illeciti penali, con conseguenti 20 arresti, e quattromila illeciti amministrativi a fronte di circa 40mila controlli nelle regioni a statuto ordinario, per un totale che supera i 3 milioni di euro. E il trend è in aumento nel 2013 e conta già 25 arresti in flagranza di reato.

La formula è sottrarre grandi quantitativi di legname per poi rivenderli a basso costo. Non vengono lasciati in pace neanche alberi secolari. Questo perché piante di tale mole possono essere utilizzate per la fabbricazione di mobili o come combustibile.

Inoltre c’è da sottolineare che i tagli cosiddetti “a raso” creano un danno ambientale devastante, anche con incidenza diretta poi sugli assetti idrogeologici del territorio e favoriscono frane e crolli territoriali di ogni tipo, oltre che il mancato controllo del flusso delle acque delle piogge con i fenomeni poi che vediamo ormai frequentemente sulle cronache. Anche l’impatto ambientale sulla fauna di questo tipo di crimine a danno dei boschi è notevole dato che priva tutti gli animali di una vasta area di ogni possibile rifugio o luogo di nidificazione.

Insomma un vero e proprio “mercato nero” del nostro patrimonio boschivo con effetti nefasti a tutti i livelli che merita la massima attenzione da parte di tutti e – soprattutto . nessuno sconto a livello culturale, ma anche e soprattutto procedurale e sanzionatorio.


Maurizio Santoloci

Pubblicato il 31 ottobre 2013