Il
lato oscuro del green washing
Giovedì
scorso, presso il circolo Zerbini, Rete Ambiente Parma ha organizzato
un incontro con l’adesione di Lesignano Futura, Commissione Audit e
l'associazione Gestione Corretta Rifiuti.
Si
è parlato dei tagli dei boschi nel nostro appennino, del dissesto
idrogeologico e della cosiddetta green economy, tre temi molto
connessi tra loro.
A
questo appuntamento tanti amanti della natura, ma anche attivisti di
commissione Audit, Rifondazione, WWF, Slow Food, rappresentanti del
comitato Palanzano, del Comitato di Felino, di Salviamo il Paesaggio.
Il
primo intervento quello di Roberto Cavanna, Centro studi Monte
Sporno, che ha mostrato e raccontato come vengono realizzati i tagli
dei boschi, le condizioni dei sentieri e il paesaggio che si presenta
dopo l'utilizzo scriteriato di motoseghe e mezzi pesanti.
Dalle
foto del territorio della Val Baganza (è così in larga parte
dell'appennino), un'area, che dovrebbe essere sotto tutela ambientale
e con vincolo d'immutabilità, si è potuto capire quanto sia lontana
la corretta gestione del patrimonio arboreo, a causa di tagli spesso
non controllati e lasciati alla "competenza" di tagliatori
improvvisati o non rispettosi delle norme vigenti.
Ci
sono aree dove il taglio è stato realizzato lasciando una
percentuale di matricine appena sufficiente, aree invece dove si è
adottato un taglio raso, non lasciando in piedi nemmeno un albero.
Un
altro elemento la "coincidenza" di alcuni tagli con la
formazione di frane.
Esempio
tipico la frana di Pietta nel Comune di Tizzano, e altre frane minori
lungo la provinciale che da Calestano porta a Berceto.
Si
taglia ovunque, vicino a una frana o su versanti fortemente in
pendenza.
Difficile
comprendere come le autorità non vedano tali pericoli.
Roberto
Cavanna ha mostrato il taglio anche di alberi molto vecchi,
utilissimi per il sostegno del suolo, anche con un diametro di un
metro e più.
Piante
secolari perse per sempre.
Un
altro grosso problema è il dilavamento del suolo.
I
solchi formatisi nel terreno vengono scavati dall'acqua, che non
avendo più alberi che rallentano il suo deflusso, innescano una fase
erosiva che porta smottamenti a valle.
L'utilizzo
di mezzi pesanti per recuperare la legna tagliata, escavatori e
caterpillar per creare vie d'accesso a trattori e camion creano
strade che una volta terminata la missione vengono completamente
abbandonate, provocando ulteriori erosioni.
Che
peso ha la green economy sul territorio e sulle persone?
Giuliano
Serioli si è posto la domanda su quali impianti servano alla
montagna per sopravvivere, e le centrali a biomassa certo
assomigliano di più ad una mera speculazione economica.
Tagliare
migliaia di tonnellate di legna, disboscando l'appennino, bruciare e
produrre una quantità misera di corrente elettrica, con un
rendimento nell'ordine del 10%, è una follia.
Eppure
la volontà della regione è di investire in centrali a biomassa,
così come la Toscana, che intende realizzare impianti per 70 MW, che
prevedono l'utilizzo di circa 700.000 tonnellate di legna ogni anno e
un esborso di circa 42 milioni di euro, quando con una centrale a
metano, meno impattante sotto il profilo dell'inquinamento da polveri
e metalli pesanti, si spenderebbe circa la metà.
La
strada per trovare energia è quella del risparmio, investire cioè
quei 40 milioni nell'efficientamento energetico degli edifici.
La
strada intrapresa dal mercato degli elettrodomestici, che oggi sono
arrivati a rese energetiche inimmaginabili anni fa.
Gli
impianti a biomassa invece portano sempre grandi problemi.
E'
il caso del cogeneratore della Citterio a Poggio S.Ilario (Felino)
che dopo lo stop per l'eccessiva acidità del grasso da bruciare, che
potevano creare seri problemi al motore, ha risolto l'imbuto
trattando lo scarto con reagenti chimici e soda caustica, soluzione
poi sversata nel Rio S.Ilario, adiacente allo stabilimento, con
conseguente inquinamento delle acque.
E
la diffida arrivata dalla Provincia.
La
strada da seguire per trovare un economia in montagna non può
passare dal taglio indiscriminato dei boschi e dagli impianti a
biomasse, ma da un piano di sviluppo rurale, turistico ed edilizio di
recupero dei borghi ed efficientamento energetico.
Enzo
Valloni, dell'università di Parma, ha portato l'esempio degli
interventi contro l'erosione delle coste adriatiche, che avviene con
annuali scarichi di tonnellate di sabbia, senza invece pensare a
risolvere il problema a monte, cioè nei fiumi che non apportano più
al mare la parte sedimentaria, che andrebbe a fermare il fenomeno
erosivo.
Bisogna
cambiare i PAES dei piccoli comuni della val Padana, in modo che
prevedano di risolvere l’inquinamento del suolo agricolo da
sversamenti di liquami degli allevamenti industriali.
Facendo
sì che le 500 centrali a biogas esistenti, che digestano mangimi
animali da coltivazioni dedicate, passino a trattare letame e,
attraverso lo strippaggio dell’ammoniaca, producano biometano da
autotrazione e da mettere in rete.
Andrea
Ferrari
Rete
Ambiente
Parma
per
la
salvaguardia
del
territorio
parmense