"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

martedì 19 settembre 2017

Casse, dighe, torrenti

Quando al cemento si vuole rimediare col cemento

L'assessore regionale all'ambiente Paola Gazzolo si è presa un mese di tempo per valutare la fattibilità del progetto di una diga a Vetto, comune montano della Val d’Enza.
La siccità di quest'anno ha fatto diventare ancora d'attualità un vecchio progetto abbandonato da tempo a causa del pericolo sismico legato ad una faglia che corre lungo l'asta del torrente.
Abbandonato per il pericolo che milioni di metri cubi d'acqua, basculando su pareti montane argilloso-flyschoidi, possano creare frane.
Abbandonato perchè il manufatto, spostando il punto neutro a monte, riempirebbe presto di sedimenti l'invaso medesimo.
Abbandonato soprattutto perché rimaneggerebbe le falde acquifere dell'alta pianura.



Nelle conoidi alluvionali, che i nostri torrenti appenninici formano entrando nell'alta pianura, si sono depositati circa 100 metri di alternanze di ghiaie, sabbie ed argille, sede fin dalla loro formazione, nell'epoca della glaciazione Wurmiana, di falde acquifere ad uso sia idropotabile che per l'irrigazione dei campi.
Tali falde acquifere non sono inesauribili. La loro continuità è garantita dalla falda sotto l'alveo stesso esistente in ogni torrente (Enza, Parma, Baganza, Taro, Ceno).
Si tratta di una corrente d'acqua che corre sotte le ghiaie dei nostri torrenti.
"Ma se l'acqua non scorre nel fiume, perchè trattenuta a monte nel bacino d'invaso (formato da una diga), il processo si arresta e noi rischiamo di perdere una risorsa la cui rialimentazione esige centinaia di anni. Insomma l'acqua che estraiamo dalle falde può essere considerata 'acqua fossile' e per riaverla occorrono tempi lunghi".
Come afferma il Luigi Vernia, docente dell’Università di Parma.
Ma il problema della siccità, di come irrigare i coltivi, si mescola a quello delle bombe d'acqua, piogge di particolare intensità che in breve tempo possono minacciare il nostro territorio, come l'alluvione di Parma ad opera della piena del Baganza nell'ottobre del 2014.
Amministratori locali e forze politiche si sono orientati su grandi opere: cassa di espansione sul Baganza per mettere in sicurezza la città da piene bicentenarie, un manufatto da 55 milioni di euro che forse non verrà mai utilizzato, e dighe in montagna per avere acqua disponibile in caso di siccità.
Ancora cemento per riparare ai danni fatti dalla cementificazione degli alvei dei torrenti che ha eliminato le golene in cui si laminavano naturalmente le piene.
E' evidente che il bisogno d'acqua in primavera-estate è collegabile alla laminazione delle piene autunnali dei nostri torrenti. Qualcuno ha suggerito che invece della cassa-monstre di Casale di Felino e della diga di Vetto, sia possibile la creazione di piccoli invasi lungo l'asta dei torrenti, laghetti da mezzo milione di metri cubi, in cui trattenere l'acqua delle piene per i mesi siccitosi.
E' altrettanto evidente che in caso di una piena massiccia come quella del Baganza del 2014 sarebbe
necessario dell'altro. Una manutenzione dell'alveo e degli argini tale da consentire, tramite sfioratoi, l'allagamento controllato e concordato di parti di campagna a lato dei torrenti, con congruo risarcimento danni alle aziende agricole che partecipano al progetto.
Chi può allestire tali piccoli invasi e gestire un piano di allagamento controllato?
Il Consorzio di Bonifica parmense.
L'ente ha già avviato una collaborazione con agricoltori ed istituzioni locali, ha già iniziato a costruire piccoli invasi ad uso irriguo.
Si tratterebbe di trasformare in progetto complessivo per il territorio la sua attività minuta.
Il tutto supervisionato e monitorato dall'Autorità di Bacino.

Giuliano Serioli

Rete Ambiente Parma

salvaguardia e sostenibilità del territorio locale