Quanto
è di moda lo stronca i tronchi
Tempo
fa, la regione Emilia Romagna aveva stanziato 420.000 euro per pagare
il taglio dei pini seccati di Lagdei e Trefiumi, nonchè per il
diradamento nella pineta del passo del Ticchiano e per
un
altro diradamento nella faggeta sopra Valditacca, seguito da un
tecnico forestale.
I
reali motivi di tale finanziamento, e l'utilizzo della legna
tagliata, erano per noi finalizzati ad aiutare il rifornimento delle
centrali a biomassa esistenti in Appennino, in cui il costo del
cippato (4 euro) non è compatibile con il costo della legna (12
euro).
Tuttavia
ci pareva che la strada imboccata del diradamento fosse un segnale di
svolta da parte dell'autorità verso i consorzi di taglio.
Invece
tutto continua come prima: taglio raso matricinato, con matricine
sempre più piccole e distanti l'una dall'altra.
La
speculazione sulla legna continua con squadre di taglio dell'est
europeo, pagati in nero e senza alcuna assicurazione.
Intere
parti di montagne spogliate del loro manto boschivo: monte Fageto,
monte Caio, monte Navert, monte Aguzzo, Alpe di Succiso ed ora monte
Faino e monte Fuso, nell'Appenino Est.
I
tagli sono fatti con criteri industriali: massima resa nel minor
tempo. Per questo motivo il taglio raso è il più adatto.
Ruspe
per spianare sentieri e trasformarli in carraie percorribili da
macchinari e camion.
Tagli
anche dove l'acclività è del 100%, pendii oltre i 45° di pendenza,
dove una pioggia successiva può asportare completamente il suolo e
denudare la roccia, contribuendo a creare frane e a trasformare le
bombe d'acqua in alluvioni nella stessa alta montagna.
Il
manto boschivo ovviamente ricresce, ma ci mette 30 anni a tornare
come prima dal punto di vista paesaggistico.
Le
ferite come buchi di gruviera sulla montagna.
Poca
cosa, dicono le autorità, l'importante è che il bosco ricrescendo
molto più in fretta catturi la stessa quantità di CO2 di prima.
Ma
non è vero.
Studi
recenti ci dicono che ad un bosco sottoposto a taglio raso occorrono
circa 2,5 anni per arrivare al livello di prima nell'assorbimento di
CO2.
Ma
non basta, altri studi hanno verificato che i rami abbandonati e
morti e il suolo sconvolto procurano altre emissioni di carbonio che
va sottratto alla capacità di cattura del manto boschivo.
Non
sono sciocchezze di ambientalisti precisini. Il manto bioschivo del
nostro Appennino è l'unica forma di contenimento e di contrasto ai
veleni che risalgono dalla Pianura Padana.
Dopo
la denuncia fatta alla forestale dal comitato ambientale di Palanzano
per i tagli sconsiderati sul Fageto ora è il turno del monte Fuso.
Con
tagli che vanno da quota 600 metri fino a quota 1.000. Con nuove
carraie che segnano il lato sud della montagna dove prima c'erano
solo sentieri.
Un
danno al suolo, visibile dalle foto, che provocherà colamenti di
terra e frane con le prossime piogge.
Pare
che la ditta che ha effettuato tale scempio sia la stessa che è
stata multata per il danno al Fageto.
Giuliano
Serioli
Dimitri
Bonanni
Giuliano
Serioli
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