Pare
che l'Istat non raccolga più dati sui tagli di legname nel nostro
paese dal 2017.
Fino
al 2016 però sono disponibili tutti i dati relativi.
Il
Bilancio Energetico Nazionale riporta che nel 2016 il consumo di
legna da ardere in Italia si è assestato su 25 milioni di
tonnellate.
Circa
il 20% di famiglie italiane si serve di legna da ardere per il
riscaldamento.
Infatti
negli ultimi anni sono state vendute 2 milioni di stufe a pellet e
circa 300 Mega Watt termici ed elettrici sono stati prodotti dalle
centrali a biomassa, frutto della speculazione che la cosiddetta
green economy perpetua sulle nostre bollette, incamerando gli
incentivi per la produzione di energia
"verde"
e rilasciando in cambio polveri sottili e veleni per tutta la
penisola.
Le
centrali a biomassa, dall'Alto Adige alla Calabria, passando per
Russi in Emilia, producono energia elettrica, disperdendo la gran
parte di quella termica, e vengono alimentate quasi del tutto da
legna importata dall'estero via nave, catalogata come scarto di
deforestazione.
Sono
esattamente i 3,3 milioni di tonnellate che troviamo nella relazione
del Bilancio Energetico Nazionale quale legna importata.
A
bilancio figurano quindi non più di 2 milioni di tonnellate di legna
di produzione nazionale. Sembrerebbe che il prelievo di legna dai
nostri boschi sia di conseguenza quasi nullo.
La
superficie forestale del nostro paese, infatti, è di 10 milioni di
ettari, cioè 100.000 km quadrati, un terzo della superficie del
Paese.
A
causa dell'abbandono della fascia montana dell'Appennino, tale
superficie boscata ha un ritmo di crescita eccezionale, 1.000 metri
quadrati al minuto, cioè circa 500 km quadrati all'anno.
Vuol
dire che la superficie boscata immette ogni anno 5,45 milioni di
tonnellate di legna prelevabile in più. Proprio uguale a quei 5,3
milioni di tonnellate di legna registrati a bilancio tra quella
prodotta in chiaro e quella importata.
Occorre
considerare però che l’accrescimento naturale non corrisponde ad
alberi in più ma ad apparato fogliare accresciuto e cimali soltanto.
Ma
allora tutti gli articoli di giornale sui tagli dissennati dei
boschi, sui prelievi eccessivi che mettono a rischio frane il nostro
paese sono una bufala?
Ovviamente
no.
Se
al consumo di legna da ardere (25 milioni di tonnellate) togliamo
l'accrescimento naturale dei boschi, le importazioni e il taglio
dichiarato in chiaro (in totale 10,3 milioni di tonnellate) restano
ben 15 milioni di tonnellate di legna tagliata “in nero” sui
monti del nostro paese.
Le
autorità nazionali e locali che si vantano della crescita costante
dei boschi, che è solo apparato fogliare in più, fanno finta di
niente sui tagli nascosti.
Se
la legna prelevabile cresce naturalmente ogni anno di 5 milioni di
tonnellate, nello stesso tempo cala di 20 milioni di tonnellate per i
tagli nascosti.
Il
saldo negativo è evidente: ogni anno perdiamo 1.500 km quadrati di
boschi, cioè 150.000 ettari (-1,5% ogni anno).
Lo
mettiamo in rilievo, parliamo di boschi e non di superficie boschiva.
I
nostri burocrati locali faranno a gara per rispondere a gran voce che
non si perde niente, che non si tratta di superficie boschiva, che i
boschi ricrescono.
A
loro rispondiamo in anticipo che quelle superfici metteranno
trent'anni a tornare come prima.
Ogni
anno perdiamo una quota di bosco.
I
tagli avvengono soprattutto sull’appennino tosco emiliano e su
quello ligure, le zone più vicine alla grande diffusione di stufe a
pellet, che quindi in questi ultimi 10 anni piccole matricine o
piante di pochi anni hanno preso il posto di boschi invecchiati su
circa il 25% della superficie boschiva di queste aree.
I
tagli rasi sono quasi la totalità, lasciando solo cespuglieti.
Il
danno idrogeologico è immane a fronte del cambiamento climatico.
Ci
saranno sempre meno radici di piante adulte a trattenere i pendii del
nostro Appennino, strutturalmente franoso di suo.
La
superficie foliare, capace di contrastare le bombe d'acqua, sarà
sempre minore.
Ne
risentirà il paesaggio e il turismo, fonte principale di introiti
economici per la nostra montagna.
Gli
introiti della gran parte dei tagli vanno ad aziende che pagano in
nero gente dell'Est Europa, esentasse.
Di
questi soldi niente o poco rimane ad alimentare le economie dei
borghi sempre più abbandonati, che devono ricorrere all'unità con
comuni limitrofi per poter garantire i servizi minimi con economie di
scala.
I
dati sono tratti dal convegno promosso da AIEL del 23 febbrario 2018.
Giuliano
Serioli
Rete
Ambiente
Parma
salvaguardia
e sostenibilità del
territorio