"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

martedì 4 febbraio 2020

I NOSTRI TERRITORI CI PARLANO

Gli amministratori, PD in particolare, ci dicono che il taglio boschivo in montagna non incide nella salvaguardia dei boschi, perché la superficie boschiva cresce in continuazione. E' vero solo formalmente. La superficie boschiva statisticamente cresce perché i pascoli e i coltivi sono sempre 

più abbandonati ed il bosco finisce per riprenderseli.
Ma in alto vengono tagliati senza ritegno boschi di quarant'anni e più, rigorosamente in nero, e i soldi vanno ad imprenditori di chissà dove, non restano certo nei borghi di montagna, sempre più per altro spopolati.
Quindi assistiamo ad un paradosso: la superficie boschiva cresce ma i boschi in alto spariscono.

In alta pianura e nella prima collina l'economia tira. Grana e prosciutto vanno in tutto il mondo e creano occupazione, anche perché  il consorzio di produzione chiude entrambi gli occhi se le cosce non sono di razza autoctona ma duroc danesi od altro. I terreni agricoli, però, si riducono e la cementificazione del territorio aumenta di continuo: capannoni, strade etc.
I ricchi produttori fanno quel che vogliono del territorio, supportati in tutto dagli amministratori.

In tal modo si ha che l'alveo dei torrenti si riduce sempre più ed allora i padroncini chiedono dighe perché le piene dei torrenti non minaccino i loro possedimenti.
Le dighe nel nostro Appennino creano così un primo grave problema. Bloccano, come afferma il prof. Vernia, la corrente di subalveo dei torrenti, quella che alimenta le falde acquifere sotterranee nella conoide alluvionale allo sbocco in pianura, lasciando così a secco i coltivi in estate.
Ad una diga si chiede, poi, che produca energia elettrica, cioè che ci sia un salto significativo tra la base della stessa ed il livello dell'acqua all'interno dell'invaso.
In sostanza, che il livello dell'acqua sia sufficientemente alto da produrla.

Ma, a questo punto, ci si chiede come farà una diga a regimare una piena improvvisa.

I fautori delle dighe ovviamente non lo sanno e non ne parlano.
Ci sono poi amministratori e burocrati dei vari enti che hanno già deciso come salvare la città dalle alluvioni del Baganza cementificando quasi 1 km2 di terreno agricolo al Casale di Felino. Spesa circa 60 milioni di euro.

A tutti costoro rispondiamo che la prima difesa del territorio dalle piene avviene in montagna, lasciando intatti i boschi , governandoli in modo decente.
A tutti diciamo che costruire una diga in una montagna franosa è un non senso, che al posto di una cassa d'espansione si possono fare tracimazioni controllate dagli argini del Baganza, quando in autunno i coltivi siano già stati raccolti, rifondendo celermente i contadini dei danni subiti con minima spesa.

Che così facendo l'acqua delle alluvioni non scorrerà immediatamente in Po e poi rapidamente in mare, ma ristagnando in pianura, potrebbe alimentare le falde sotterranee utili in estate quando la penuria d'acqua si farà sentire. 

Come auspica il prof. Valloni. Questo ci suggeriscono i nostri territori e noi di ReteambienteParma da tempo lo ripetiamo, anche pensando alla difesa della città dalle alluvioni.

Anche perché l'attuale progetto di cassa è tarato sul livello attuale di piogge improvvise e di quantità d'acqua che scende dalla montagna.

Ma come sarà tale quantità in un futuro prossimo venturo, stante il cambiamento climatico in atto?

Serioli Giuliano
ReteambienteParma