"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

giovedì 5 maggio 2016

Territorio, o salvezza o dannazione

Cosa fare e cosa non fare nel nostro ecosistema

E' ormai assodato da tempo che l'effetto serra ed il cambiamento climatico sono causati dall'emissione e dall'accumulo di CO2.
La CO2 in atmosfera è principalmente dovuta alla produzione di energia da fonti fossili.
Dal protocollo di Kyoto del 1997 fino al Cop 21 di Parigi la direzione intrapresa è stata quella di riuscire a produrre energia da fonti rinnovabili.
Impegno sottoscritto fin dal 2005 dall'associazione dei Comuni virtuosi, che fa del risparmio energetico e della partecipazione dei cittadini la sua bandiera.


Nei PAES dei "Comuni Virtuosi" della pedemontana, Felino in primis, viene ascritto e preso per buono l'elenco di tutte le fonti di energie rinnovabili, senza distinzione alcuna tra quelle che producono energia pulita: fotovoltaico, eolico, solare, geotermia e pompe di calore, e quelle che, pur derivando da fonti rinnovabili, producono energia con emissioni nocive per la salute e per l'ambiente: centrali a biogas e centrali a combustione di biomasse.
Come dire che un Comune che fa della partecipazione dei cittadini il suo stendardo non fa proprie le loro preoccupazioni per la salute.
Come se l'energia prodotta da un impianto fotovoltaico fosse uguale a quella prodotta dalla combustione di cippato di legna o da olio di grasso animale.
Felino, infatti, Comune autodefinitosi virtuoso, mette addirittura in bella mostra nel suo PAES il cogeneratore a grasso animale del Poggio di S.Ilario Baganza, quale misura di tale virtù, nonostante le proteste dei suoi cittadini per gli odori e gli inquinanti emessi.
Proteste additate come disinformazione e terrorismo mediatico.
E' vero che l'uso di biomasse, anche se con emissioni nocive, è a saldo zero di emissioni di CO2, come richiesto dal Protocollo di Kyoto?
Per la combustione di cippato di legna e pellet non è la verità.
La legna, se proviene dall'estero, è prodotta dagli scarti dei tagli della foresta pluviale che ogni anno viene rimaneggiata.
Se proviene dai nostri boschi cedui, si deve considerare che se non si perde superficie boschiva, si perde quella fogliare che impiega circa 3 anni a raggiungere la stessa capacità di cattura della CO2 di prima.
Il taglio industriale smuove il terreno ed il carbonio in esso contenuto da secoli, ributtandolo in atmosfera.
Quantificarlo come saldo zero è assurdo oltre che ridicolo.
Per la combustione di olio di colza o olio di palma, fonti rinnovabili, c'è lo stesso problema del mancato saldo zero di emissioni di CO2.
Intere foreste, infatti, vengono tagliate per far posto a tali coltivazioni, la cui superficie fogliare è nettamente inferiore alla capacità di cattura dei milioni di piante tagliate.
Per la combustione di grasso animale che sta sostituendo la colza, diventata troppo cara per l'aumento della domanda di mercato e anch'esso fonte rinnovabile, si pone sempre il problema del mancato saldo zero.
Se, infatti, dagli scarti di macellazione animale si sottrae grasso da bruciare con emissioni di CO2, si dovrà accrescere la produzione animale o la sua importazione dall'estero per compensare il loro mancato utilizzo nell'industria del pet e della cosmetica, e quindi con ulteriore emissioni di CO2.
Le emissioni nocive della cogenerazione di biomasse sono inversamente proporzionali alla potenza degli impianti stessi.
Più un impianto è piccolo, più inquina. Non avendo gli stessi numeri e valori di spesa di quelli grandi, non ha nemmeno filtri capaci ma solo cicloni per far precipitare unicamente le ceneri volanti.
Il problema emissivo, però, è già grave per i grandi impianti, perché il benzopirene non può essere fermato dai filtri. I suoi valori sono già oltre i massimi in Trentino Alto Adige.
Gli amministratori che hanno promosso quegli impianti sono in grave imbarazzo.
In tutti i PAES dei cosiddetti "comuni virtuosi" c'è il progetto di impiantare piccoli cogeneratori condominali ed aziendali sia a cippato che a grasso animale.
Una follia dal punto di vista del saldo zero di CO2, ma soprattutto dell'inquinamento dell'atmosfera del nostro territorio.
I prosciuttifici e i caseifici della pedemontana, da Traversetolo fino a Collecchio, sono i maggiori produttori di eccellenze alimentari, fonte di occupazione anche per l'indotto e di esportazione. Le materie prime che essi lavorano derivano dagli allevamenti zootecnici industriali. E gli spandimenti delle deiezioni animali che vi si creano, costituiscono il maggior problema per i suoli agricoli e le falde acquifere.
Proprio nei nostri territori vi sono aree sensibili in cui tali spandimenti non devono superare i 170 Kg di azoto per ettaro, la metà della norma, pena la compromissione di coltivi ed erba medica per vacche da latte. Conseguenza di tali spandimenti è anche la lisciviazione dell'azoto e l'arrivo di nitriti e nitrati nella falda acquifera, con grave inquinamento della stessa. Il pagamento dell'acqua in bolletta è il doppio del suo costo effettivo, proprio per la spesa di depurazione.
La soluzione di tali problemi ambientali, che tendono sempre più ad aggravarsi con la crescita dell'economia delle eccellenze alimentari, non può essere nelle centrtali a biogas che coi loro cogeneratori impestano già tutta la Pianura Padana e fermate proprio nel nostro territorio.
Ci può essere solo una soluzione alla radice del problema: eliminare l'ammoniaca dalle deiezioni con lo strippaggio e la neutralizzazione con soda caustica e formazione di solfato d'ammonio, un ammendante vendibile sul mercato. Tolta l'ammoniaca, le deiezioni animali possono essere trattate per produrre biometano da autotrazione o da mettere direttamente in rete. Un toccasana per gli stessi suoli agricoli, concimabili con sostanze naturali e non più con additivi chimici chimici.
Una soluzione del problema non più rinviabile.
Ma nei nostri territori si stanno infiltrando le mafie. Lo hanno già fatto. Si sono servite della grave crisi dell'edilizia per allettare qualcuno e servirsene.
E mettere radici. Hanno usato la necessità di finanziamenti che le banche non erogavano alle ditte per appropriarsi di queste o, peggio, per entrare a farne parte e agirvi dall'interno di nascosto, inquinando appalti pubblici, corrompendo amministratori locali, creando una ragnatela inestricabile di favori e collusioni in grado di condizionare la nostra vita pubblica e la nostra economia.
Farne piazza pulita è nostro dovere.
Attraverso la massima trasparenza nelle gare d'appalto.
Opponendo all'offerta minima il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Facendo in modo che il Comune si ponga come intermediario tra aziende edili e banche come garante dei prestiti.
Altro problema che è necessario affrontare è quello della cementificazione del territorio.
L'eccesso di urbanizzazione e cementificazione produce un mancato assorbimento delle acque piovane ed uno scorrimento troppo rapido verso aree a valle con alluvioni ed allagamenti.
Al modello urbanistico basato sui grandi centri commerciali che producono la chiusura delle piccole attività commerciali e la desertificazione dei centri storici, opponiamo il ritorno ad una commercializzazione diffusa favorita economicamente dal Comune stesso.
Ogni nuovo capannone che un'azienda aggiunga per esigenze di allargamento dell'attività deve essere inteso al netto di consumo di suolo, cioè una costruzione similare e abbandonata deve essere riportata dalla stessa azienda e a sue spese alla condizione di suolo agricolo.
Si deve evitare la cementificazione delle sponde di fiumi rii e canali e soprattutto il loro disboscamento affidato dai Comuni a terzi a spesa zero. Cosa che produce un taglio generalizzato dei boschi ripariali per produrre cippato di legna da vendere sul mercato.

Giuliano Serioli
5 maggio 2016

Rete Ambiente Parma

per la salvaguardia del territorio parmense