In
un recente video, Luca Mercalli, meteorologo e conduttore di Rai 3,
tenendo fra le mani un pezzo di terra della bassa padana, afferma
quanto sia grassa, corposa, la migliore che ci sia.
Viene
subito in mente come la terra della nostra Pedemontana sia fin
meglio, vista la ricchezza di sali minerali apportati dai torrenti di
montagna.
Così
ricca da produrre abbondanza: dal pomodoro al frumento, dal mais
all'erba medica, base produttiva su cui si fonda l'intera economia
del prosciutto e del parmigiano.
A
vigilare sulla qualità dei prodotti ci sono i relativi consorzi.
Il
primo prescrive come le cosce di maiale debbano necessariamente evere una età di 11 mesi ed essere italiane, anche se spesso poi sono
invece solo di 8 mesi, gonfiate con antibiotici e di provenienza
estera.
Il
secondo bada che le aflatossine non finiscano nel mais e poi nel
latte inquinando il grana e che lo spandimento di letame in aree
sensibili non superi i 170 kg di azoto, anche se gli allevamenti
industriali non sono mai sostenibili, visto il particolato che
producono e le falde acquifere che inquinano.
Tutta
questa ricchezza fatta di sapienze secolari e di microclimi ideali
per le stagionature, ha sopra di sé i veleni di un'aria orribilmente
inquinata.
Lo
afferma la regione Emilia Romagna che definisce la nostra Pedemontana
"zona rossa", dove qualsiasi nuovo impianto industriale
dovrebbe essere a saldo zero di emissioni nocive, se non addirittura
in grado di diminuirle.
Veleni
veicolati dalle polveri sottili, che ogni anno superano i 35
sforamenti dei 50 microgrammi di PM10 consentiti dalla normativa.
Da
chi sono prodotte? Dall'industria? Dal traffico veicolare? Dagli
inceneritori di rifiuti?
Da
tutti questi ma non solo.
Secondo
Ispra per un terzo dal riscaldamento domestico da legna e pellet e
per un altro terzo dalla ricombinazione secondaria dell'azoto
ammoniacale degli allevamenti industriali.
Anche
l'Istat non c'è andata leggera quando ha riferito del picco di
mortalità, aumentato nel 2015 del 16,3% rispetto al 2014.
Un
fatto accaduto solo durante le due guerre mondiali.
Un
dato nazionale, spalmato su tutto il Paese, che è plausibile si
riferisca principalmente al Nord Italia.
Sempre
Ispra, il mese scorso, ha comunicato che il 65% delle acque
superficiali sono inquinate e stessa cosa per il 32% delle acque
sotterranee.
Nella
pianura padana tali valori crescono rispettivamente oltre il 70% ed
il 40%.
Ma
quello che Istat ed Ispra non dicono è che la pianura padana è
tappezzata da più di 1.000 centrali a biogas dell'ordine del MWe.
Ognuna di queste produce 40 milioni di Nm3 di emissioni nocive annue,
soprattutto ossidi di azoto, ma anche particolato secondario.
Moltiplicate
il tutto ed otterrete un valore emissivo di 40 miliardi di Nm3, che
sommato a quello delle centrali che bruciano cippato di legna,
dall'Alto Adige all'Appennino, si arriva a un valore emissivo
maggiore degli inceneritori del Nord Italia (una trentina).
L'inceneritore
di Parma emette 144.000 Nm3/h, in un anno 1,3 miliardi di Nm3. Fate
voi i conti.
Ci
siamo battuti per anni contro gli inceneritori, li stiamo facendo
dimagrire con la raccolta differenziata diffusa dai paesi alle città
e le lobby delle biomasse ci ributtano addosso le stesse emissioni
mefitiche con le centrali a biomassa.
Sulle
rinnovabili si sono tuffate anche le grandi corporations dell'energia
e del petrolio, trovando appetitosi gli incentivi pubblici e
fregandosene dell'insostenibilità ambientale.
Comoda
scusa è la direttiva Europea del saldo zero di emissioni di CO2 per
le biomasse, che è già bugiarda per la legna e del tutto falsa per
il grasso animale.
Scusa
valida anche per istituzioni ed enti pubblici, pronti ad accettar per
buone le autocertificazioni emissive delle lobby medesime.
Perché,
diciamocelo, sono le industrie stesse a suggerire i limiti normativi,
non certo le Ausl.
E'
ora di chiedersi, infatti, perché le nostre normative sono cinque
volte meno restrittive di quelle tedesche.
E
la salute dei cittadini? E l'inquinamento della base agroalimentare
da cui dipendono le nostre eccellenze?
Le
normative igienico sanitarie europee sulla produzione del latte
sembrano ritagliate sulle grandi stalle. Solo gli allevamenti
industriali sono in grado di rispettare quella pletora incredibile di
norme
burocratiche, le piccole stalle no, non ce la fanno.
E
così devono chiudere proprio le stalle di montagna, quelle che
lasciano ancora le vacche libere al pascolo.
Notare
che è proprio l'azoto ammoniacale degli allevamenti industriali
quello che emette il particolato secondario che grava sulla pianura
padana.
Dovrebbero
essere la Ue e l'Efsa a imporre lo strippaggio dell'ammoniaca anche
per impedire che la sua lisciviazione finisca in falda, inquinandola
come capita oggi.
Anche
nei prosciuttifici, le normative igienico sanitarie e le norme sulla
sicurezza del lavoro sembrano ritagliate sulle grandi aziende. Al
punto che i piccoli, gli artigianali, sono proprio quelli
maggiormente colpiti dai controlli e multati. Solo che una multa per
una grande azienda è poca cosa e viceversa per una piccola.
Le
grandi aziende hanno compresso i salari attraverso la robotica,
espellendo manodopera specializzata ed attingendo alla manovalanza
generica delle cooperative.
Tutto
questo per produrre di più, a detrimento, però, della qualità del
prodotto. Che, viceversa, i prosciuttifici artigiani hanno mantenuto
alta, proprio attraverso manodopera qualificata.
In
sostanza, sono i piccoli che mantengono e sviluppano la qualità.
Sono
loro che continuano a valorizzare i marchi d'eccellenza e la
possibilità di commercializzarli in Italia ed all'estero.
Sta
ai consorzi, ma soprattutto ai comuni, incentivare la produzione di
qualità e la crescita della piccola produzione.
Sono
consapevoli che più un'azienda è grande più tende a
finanziarizzare la propria attività, speculando sulla materia prima.
Andando ad occupare segmenti industriali speculativi che esulano
completamente dal settore lavorativo che le è proprio, come produrre
elettricità dalla combustione del grasso.
Le
eccellenze alimentari si sviluppano solo impedendo il degrado
ambientale che ogni processo industriale comporta.
Tutto
queste tematiche sono state portate in assemblee pubbliche per ben
due volte ad esempio a Felino, prima delle amministrative. Gli
argomenti sono stati condivisi largamente dalle due liste di
opposizione al Pd, sia di centro destra che di sinistra, soprattutto
sul no alle biomasse.
Eppure
lo spirito di bottega ha prevalso ancora una volta. Ha impedito che
si formasse una lista unica no inceneritore e no biomasse in grado di
mandare a casa gli amministratori attuali.
Rete
Ambiente Parma rimane in prima linea per un'alternativa sostenibile,
sotto tutti i punti di vista.
Giuliano
Serioli
9 giugno 2016
Rete
Ambiente
Parma
per
la
salvaguardia
del
territorio
parmense