"Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti". (Martin Luther King JR)

lunedì 5 maggio 2014

Amministratori e disastri

La nostra montagna oggi è colma di disastri: frane, frazioni abbandonate, strade interrotte e quasi sempre sfondate.
La frana di Capriglio, di Boschetto, di Pietta, sono a suggerirci che la nostra montagna è per sua struttura molto franosa, la più franosa d'Europa insieme a quella di Lucca.
Formazioni rocciose come le argille e calcari, il flysch di monte Sporno e il flysch del monte Caio sono da noi molto diffuse e con il crioclastismo e le piogge battenti tendono inevitabilmente a
degradarsi fino a provocare gli smottamenti.
Alla franosità strutturale si deve oggi sommare il cambiamento climatico, che ad esempio alle alte quote ha provocato la sostituzione della neve con la pioggia.
La neve per la montagna è fondamentale. Con la percolazione lenta all'interno della roccia permette la ricarica delle sorgenti, nello stesso tempo, ricoprendo tutto e sciogliendosi lentamente, impedisce il dilavamento violento e massiccio causato invece delle piogge, limitando l'innesco delle frane.
Ad entrambi questi fattori, poi, con la crisi economica in atto, si va a sommare il taglio massiccio dei boschi. E' la speculazione sulla legna da ardere che determina le quantità di ettari di bosco da tagliare e non certo l'autoconsumo delle genti dei borghi.


Pesanti camion percorrono le strade delle valli per portare chissà dove la legna tagliata, contribuendo significativamente allo sfondamento delle stesse.
Una devastazione dei boschi che ricorda certe foto di inizio Novecento.
Il taglio generalizzato di interi versanti boschivi e la loro denudazione provoca un dilavamento tale da asportare anche il soprasuolo e il sottile strato di humus a contatto con la roccia, innescando frane di scivolamento e accrescendo enormemente il trasporto solido dei torrenti, capaci a loro volta di innescare altre frane.
La politica di prevenzione delle frane da parte delle amministrazioni è praticamente inesistente.
Un esempio significativo è il rifacimento della Massese da poco terminato.
Dei 20 milioni di euro spesi, la quasi totalità è andata ad opere prettamente di immagine, in vista della campagna elettorale. Di tutte le varianti e correzioni della linea di curva effettuate, la sola variante di Ranzano ha visto la sistemazione della frana dei Tre Laghi con opere di canalizzazione.
Alcune varianti costosissime come quella di Groppo con relativo viadotto, o quella di Lugagnano i cui lavori sono durati due anni, si sono rivelate totalmente inutili.
In sostanza la metà di quei 20 milioni poteva essere utilizzata per mettere in sicurezza la strada da frane storiche e da punti pericolosi come Boschetto e Antognola, evitando l'interruzione attuale della provinciale a Boschetto.
Senza un'economia è impossibile fare prevenzione.
Tutta la nostra montagna, tranne la Valtaro, non ha più un'economia.
In questi trent'anni l'industria ha distrutto l'artigianato e l'agricoltura di sussistenza, costringendo le genti a trovare lavoro altrove.
Oggi l'80% degli abitanti sono anziani e i giovani lavorano nella pedemontana.
Le amministrazioni, Comuni, Provincia e Regione, hanno commesso gravi errori nel tentativo di ricostruire un tessuto economico, ad esempio finanziando negli anni '80 cattedrali nel deserto costosissime come gli impianti di Prato Spilla e l'albergo rifugio annesso.
Soldi buttati, copiando lo sviluppo turistico dello sci del Trentino, in una montagna che non lo permette sia per le basse altitudini, sia per le temperature troppo alte che sciolgono rapidamente la neve.
Ora tutti i finanziamenti si concentrano sulla legna. Soldi per finanziare centrali a cippato, teleriscaldamento e produzione di energia elettrica e soldi per finanziare cooperative di taglio per rifornirle.
Come se la montagna non subisse già la devastazione dei propri boschi per la speculazione sulla legna da ardere.
Come se il taglio della risorsa bosco creasse un'economia, inondasse di soldi i borghi e impedisse che negozi e servizi chiudano.
Soldi che sciamano, invece, come i camion verso la pianura, nelle tasche di chi commercia la legna.
Ancor meno economia creano le centrali a cippato, né lavoro.
Sono solo soldi per la lobby degli inceneritori e i soliti interventi di immagine degli amministratori. Se si impianta una centrale nel capoluogo, che vantaggio ne avranno tutte le altre frazioni del comune?
E' un'ingiustizia bella e buona, oltre alle emissioni nocive di un impianto industriale senza alcun filtro che limiti le emissioni.
Per contrastare i disastri e fermare l'abbandono della montagna occorre creare un'economia.
Canalizzare tutti i finanziamenti nell'edilizia per il recupero dei borghi col risparmio energetico, capace di costruire una ricezione dignitosa, oggi inesistente, per un turismo diffuso.
Tramite le unioni di comuni costruire le condizioni infrastrutturali (es: macelli intercomunali), gli incentivi finanziari e locativi e la disponibilità bancarie ad iniziative per la produzione e la stagionatura artigianali di eccellenze alimentari che l'aria pulita e l'elevata umidità possono garantire con un livello superiore di qualità rispetto alla loro produzione industriale.
E' questa l'unica alternativa possibile.
Ma bisognerebbe non avere amministratori disastrosi.

Giuliano Serioli
5 maggio 2014

Rete Ambiente Parma


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