La
nostra montagna oggi è colma di disastri: frane, frazioni
abbandonate, strade interrotte e quasi sempre sfondate.
La
frana di Capriglio, di Boschetto, di Pietta, sono a suggerirci che la
nostra montagna è per sua struttura molto franosa, la più franosa
d'Europa insieme a quella di Lucca.
Formazioni
rocciose come le argille e calcari, il flysch di monte Sporno e il
flysch del monte Caio sono da noi molto diffuse e con il
crioclastismo e le piogge battenti tendono inevitabilmente a
degradarsi
fino a provocare gli smottamenti.
Alla
franosità strutturale si deve oggi sommare il cambiamento climatico,
che ad esempio alle alte quote ha provocato la sostituzione della
neve con la pioggia.
La
neve per la montagna è fondamentale. Con la percolazione lenta
all'interno della roccia permette la ricarica delle sorgenti, nello
stesso tempo, ricoprendo tutto e sciogliendosi lentamente, impedisce
il dilavamento violento e massiccio causato invece delle piogge,
limitando l'innesco delle frane.
Ad
entrambi questi fattori, poi, con la crisi economica in atto, si va a
sommare il taglio massiccio dei boschi. E' la speculazione sulla
legna da ardere che determina le quantità di ettari di bosco da
tagliare e non certo l'autoconsumo delle genti dei borghi.
Pesanti
camion percorrono le strade delle valli per portare chissà dove la
legna tagliata, contribuendo significativamente allo sfondamento
delle stesse.
Una
devastazione dei boschi che ricorda certe foto di inizio Novecento.
Il
taglio generalizzato di interi versanti boschivi e la loro
denudazione provoca un dilavamento tale da asportare anche il
soprasuolo e il sottile strato di humus a contatto con la roccia,
innescando frane di scivolamento e accrescendo enormemente il
trasporto solido dei torrenti, capaci a loro volta di innescare altre
frane.
La
politica di prevenzione delle frane da parte delle amministrazioni è
praticamente inesistente.
Un
esempio significativo è il rifacimento della Massese da poco
terminato.
Dei
20 milioni di euro spesi, la quasi totalità è andata ad opere
prettamente di immagine, in vista della campagna elettorale. Di tutte
le varianti e correzioni della linea di curva effettuate, la sola
variante di Ranzano ha visto la sistemazione della frana dei Tre
Laghi con opere di canalizzazione.
Alcune
varianti costosissime come quella di Groppo con relativo viadotto, o
quella di Lugagnano i cui lavori sono durati due anni, si sono
rivelate totalmente inutili.
In
sostanza la metà di quei 20 milioni poteva essere utilizzata per
mettere in sicurezza la strada da frane storiche e da punti
pericolosi come Boschetto e Antognola, evitando l'interruzione
attuale della provinciale a Boschetto.
Senza
un'economia è impossibile fare prevenzione.
Tutta
la nostra montagna, tranne la Valtaro, non ha più un'economia.
In
questi trent'anni l'industria ha distrutto l'artigianato e
l'agricoltura di sussistenza, costringendo le genti a trovare lavoro
altrove.
Oggi
l'80% degli abitanti sono anziani e i giovani lavorano nella
pedemontana.
Le
amministrazioni, Comuni, Provincia e Regione, hanno commesso gravi
errori nel tentativo di ricostruire un tessuto economico, ad esempio
finanziando negli anni '80 cattedrali nel deserto costosissime come
gli impianti di Prato Spilla e l'albergo rifugio annesso.
Soldi
buttati, copiando lo sviluppo turistico dello sci del Trentino, in
una montagna che non lo permette sia per le basse altitudini, sia per
le temperature troppo alte che sciolgono rapidamente la neve.
Ora
tutti i finanziamenti si concentrano sulla legna. Soldi per
finanziare centrali a cippato, teleriscaldamento e produzione di
energia elettrica e soldi per finanziare cooperative di taglio per
rifornirle.
Come
se la montagna non subisse già la devastazione dei propri boschi per
la speculazione sulla legna da ardere.
Come
se il taglio della risorsa bosco creasse un'economia, inondasse di
soldi i borghi e impedisse che negozi e servizi chiudano.
Soldi
che sciamano, invece, come i camion verso la pianura, nelle tasche di
chi commercia la legna.
Ancor
meno economia creano le centrali a cippato, né lavoro.
Sono
solo soldi per la lobby degli inceneritori e i soliti interventi di
immagine degli amministratori. Se si impianta una centrale nel
capoluogo, che vantaggio ne avranno tutte le altre frazioni del
comune?
E'
un'ingiustizia bella e buona, oltre alle emissioni nocive di un
impianto industriale senza alcun filtro che limiti le emissioni.
Per
contrastare i disastri e fermare l'abbandono della montagna occorre
creare un'economia.
Canalizzare
tutti i finanziamenti nell'edilizia per il recupero dei borghi col
risparmio energetico, capace di costruire una ricezione dignitosa,
oggi inesistente, per un turismo diffuso.
Tramite
le unioni di comuni costruire le condizioni infrastrutturali (es:
macelli intercomunali), gli incentivi finanziari e locativi e la
disponibilità bancarie ad iniziative per la produzione e la
stagionatura artigianali di eccellenze alimentari che l'aria pulita e
l'elevata umidità possono garantire con un livello superiore di
qualità rispetto alla loro produzione industriale.
E'
questa l'unica alternativa possibile.
Ma
bisognerebbe non avere amministratori disastrosi.
Giuliano
Serioli
5
maggio 2014
Rete
Ambiente Parma