Da alcuni mesi sulla Gazzetta di Parma compaiono periodicamente
numerosi articoli che propongono con grande entusiasmo la costruzione
di una diga ad Armorano in Val Baganza. Ma perché tanta
intraprendenza? E’ bene fare chiarezza.
Tutto è cominciato con il progetto della cassa di espansione a Sala
Baganza che ha trovato la contrarietà di molti cittadini del luogo.
Anch’io sono contrario alla costruzione di quell’opera perché
ritengo che il modo migliore di prevenire le alluvioni sia quello di
naturalizzare i fiumi restituendo loro lo spazio che gli è stato
tolto. L’alluvione di Parma del 2014 non fu causata da un Baganza
cattivo e crudele ma da un innaturale restringimento alle porte della
città dovuto a innumerevoli attività umane. Ora il letto del fiume
in quel tratto è stato allargato e il rischio è notevolmente
diminuito ma rimane ancora molto da fare per renderlo ancora più
sicuro come, ad esempio, incentivare la delocalizzazione di alcuni
siti industriali che ancora operano nel greto.
A Sala Baganza invece alcuni personaggi molto influenti che
comprensibilmente non vogliono la cassa di espansione sotto casa loro
hanno pensato di risolvere il problema proponendo la costruzione di
un’opera ancora più devastante in casa altrui in base al noto
principio “not in my garden” (non nel mio giardino).
L’Unione Industriale ha preso la palla al balzo considerando la
possibilità di lauti profitti nella realizzazione di un’opera così
faraonica mettendo subito al lavoro la Gazzetta di Parma che, con la
solerzia e la tenacia di un imbonitore, stampa periodicamente
edulcorati articoli che vantano i miracolosi vantaggi che la diga
porterebbe (ricchezza, turismo, ecc.) senza fare il minimo cenno
alle numerose controindicazioni che un’opera così invasiva
comunque avrebbe sull’intera vallata. E’ noto a tutti che
l’Unione Industriali non è deputata alla cura e alla tutela del
territorio ma bensì, legittimamente, a garantire gli interessi dei
propri associati promuovendo occasioni di business.
Insomma l’idea della diga non è una proposta degli organismi
tecnici competenti preposti alla tutela del territorio ma
un’iniziativa di privati cittadini che attraverso l’UPI hanno
promosso la campagna di stampa sulla Gazzetta.
Ora cerchiamo di mettere i piedi per terra. La val Baganza è una
delle valli più fragili e franose d’Italia. Dalla pianura fino
alle sorgenti è costellata da innumerevoli frane attive (Ronzano,
Armorano, Chiastre, Casasevatica, Cervellino, solo per citarne
alcune) e chi transita regolarmente lungo la stretta di Armorano
trova continuamente sassi, massi e detriti che cadono dalla montagna
e ostruiscono la strada tanto da rendere quel tratto pericoloso nei
giorni di forti piogge. In questo punto la strada viene
periodicamente chiusa anche per lunghi periodi per consentire i
lavori di messa in sicurezza delle frane della Riva dei Preti e di
Armorano che finora nessuno è riuscito a domare e che anno dopo anno
sgretolano la montagna.
E’ in questo luogo così instabile e precario che si vuole
costruire la diga!
Non bisogna poi dimenticare le numerose frane quiescenti che si
riattiverebbero se venissero anche solo parzialmente ricoperte
dall’acqua. La tragedia de Vajont fu provocata da una frana di
questo tipo e, forse non a caso, l’originario progetto della diga
di Armorano degli anno ’50 venne definitivamente abbandonato nei
primi anni ’60 dopo questi tragici avvenimenti.
C’è
poi un altro problema: a causa della fragilità della vallata ad ogni
piena enormi quantità di fango e detriti vengono trasportati a
valle; lo sbarramento non farebbe altro che trattenerli riempiendo
l’intero bacino in poco tempo: è quello che è successo in val
d’Aveto (a 50 km di distanza) e che sta succedendo in Val d’Arda
nella diga di Mignano. Tutti gli abitanti della Val Baganza hanno
visto con i loro occhi le enormi quantità di fango e detriti che
l’alluvione del 2014 trascinò a valle e che, in presenza dello
sbarramento, ne avrebbe gravemente compromesso l’efficienza: un
bacino in una valle fatta di fragili montagne che si sgretolano in
continuazione richiederebbe quindi enormi costi di manutenzione.
E’ bene ricordare, inoltre, che gli invasi appenninici sono ben
diversi da quelli alpini alimentati da ghiacciai e piogge molto più
copiose. Gli invasi del nostro territorio sono quasi sempre semivuoti
e si presentano normalmente come un acquitrino circondato da una
vasta e desolante aureola di fanghiglia ed è difficile credere che
possano attirare flotte di turisti come sostiene la Gazzetta.
Insomma se la diga venisse costruita la stabilità e la sicurezza del
nostro territorio verrebbe gravemente compromessa, l’intero borgo
di Tavolana sparirebbe sotto una coltre di melma mentre il tratto più
bello e suggestivo della nostra valle apparirebbe come un acquitrino
fangoso a ridosso di una orrenda muraglia di cemento. La bellezza
della val Baganza (la sua vera ricchezza) verrebbe sacrificata in
nome dell'interesse di pochi.
La
costruzione della diga porterebbe lauti guadagni alle imprese
coinvolte e se poi le cose andassero diversamente da come previsto
non è più un loro problema. Il
problema resterà sulle spalle dei cittadini e della comunità che
ne ha sostenuto il costo come troppo spesso succede nel nostro paese.
Mi auguro che il buon senso ritorni presto sovrano.